Toccare e lasciarsi toccare: la lavanda di Gesù (2)
Scritto da MARIA NISII
Di piede in piede (7) .
Mille volte mi ha visitato il ricordo di quella notte. E so che ancora mille volte verrà a visitarmi. La terra dimenticherà i solchi arati nel suo seno, e la donna le gioie e i dolori del parto, prima che io dimentichi quella notte.
Avevamo trascorso il pomeriggio fuori dalle mura di Gerusalemme, e Gesù disse. “Entriamo in città, e andiamo a cena alla locanda”. Era buio quando arrivammo alla locanda, ed eravamo affamati. L’albergatore ci diede il benvenuto e ci condusse in una stanza al piano superiore. E Gesù ci invitò a sedere attorno al tavolo, ma lui rimase in piedi, e i suoi occhi indugiarono su ognuno di noi. E parlò all’albergatore e disse: “Porta una bacinella e una brocca d’acqua, e un panno per asciugare”. E ci guardò di nuovo e disse dolcemente: “Toglietevi i sandali”. Non comprendevamo, ma obbedimmo al suo comando. L’albergatore portò quanto gli era stato chiesto, e Gesù disse: “Ora laverò i vostri piedi. È necessario infatti che io liberi i vostri piedi dalla polvere dell’antica strada, così da donare loro la libertà della nuova via”. Tutti eravamo turbati e intimiditi.
Allora Simon Pietro si alzò e disse: “Come posso tollerare che il mio Signore e Maestro mi lavi i piedi?”. E rispose Gesù: “Laverò i vostri piedi perché possiate ricordare questo: chi serve gli uomini sarà il più grande tra gli uomini”. Poi ci guardò uno a uno e disse: “Il figlio dell’uomo che vi ha scelti come fratelli, il figlio dell’uomo a cui ieri sono stati unti i piedi con mirra d’Arabia, e asciugati con capelli di donna, ora desidera lavare i vostri piedi”. E prese la bacinella e la brocca e s’inginocchiò e lavò i nostri piedi, iniziando da Giuda Iscariota. (Kahlil Gibran, Gesù figlio dell’uomo, p. 176-7).
Ci sono un’infinità di varianti del racconto della lavanda dei piedi: da quella giullaresca di Dario Fo in Mistero buffo alle tante versioni artistiche, letterarie e cinematografiche delle riscritture evangeliche. Ma persino alcune inattese nella cultura pop!
Intanto notiamo l’ampliamento della riscrittura di Gibran riportata in apertura, che assume il punto di vista di Giacomo, fratello di Gesù, all’interno dei numerosissimi personaggi che raccontano il proprio personale incontro con l’uomo Gesù nella raccolta di racconti che è Gesù figlio dell’uomo. Anzitutto il ricordo indelebile nella memoria, poi la descrizione di un gruppo di uomini che eseguono senza comprendere i comandi del maestro, e per concludere il suo iniziare da Giuda Iscariota. Mi pare invece di troppo, ma forse è un gusto personale, la spiegazione che vede la necessità di togliere la polvere della vecchia strada per aprire alla libertà della nuova. Ma quanto alla strada, fuor di metafora, ne avrebbero percorsa quei piedi! Perché il Vangelo ha avuto bisogno dei “bei piedi” di molti messaggeri (e messaggere).
Che il gesto sia stato interpretato dalla Chiesa in funzione sacerdotale, al punto da arrivare a praticarlo nel giovedì santo, è un dato successivo. Certo è che, pur non essendo diventato un sacramento, è stato tuttavia integrato nei riti battesimali di alcune tradizioni ecclesiali, come quella ambrosiana.
Come già ricordato, è stato però soprattutto interpretato come “sacramento del fratello”. Ed è così che la comunità dell’Arca lo ha praticato, coinvolgendo portatori di handicap e volontari, perché rivestisse un carattere di reciprocità e di uguaglianza, un gesto semplice di servizio nei confronti dell’altro e di accoglienza del gesto altrui: “è commovente vedere persone incapaci di parlare, che vivono con un handicap abbastanza pesante o con disturbi della personalità, lavare i piedi di un assistente con tenerezza e amore. È normale e naturale che un assistente lavi i piedi di una persona che ha un handicap; il gesto assume una bellezza particolare” (le parole del fondatore citate in F. Nault, La lavanda dei piedi, p. 82). In questo contesto il rito della lavanda diviene particolarmente eloquente, perché riflette una prassi concreta di cura e solidarietà.
L’agnostico Emmanuel Carrère, che si trova a fare esperienza di questa particolarissima ritualità durante un ritiro, ne riporta l’intensità a conclusione della sua ampia riscrittura Il Regno (Adelphi, 2015):
Ci togliamo le scarpe e i calzini, arrotoliamo l’orlo dei pantaloni. Comincia il direttore delle risorse umane, si inginocchia davanti al preside, versa con la brocca acqua tiepida sui suoi piedi, li strofina un po’ – una decina di secondi, una ventina, piuttosto a lungo, mi sembra che lotti contro la tentazione di fare svelto e ridurre il rituale a un gesto puramente simbolico. Prima un piede, poi l’altro, li asciuga con l’asciugamano. Dopo tocca al preside inginocchiarsi davanti a me e lavarmi i piedi prima che io lavi quelli della funzionaria della Caritas. Guardo i suoi piedi, non so a che cosa sto pensando. È veramente molto strano lavare i piedi di uno sconosciuto. Mi torna in mente una bella frase di Emmanuel Lévinas sul volto umano […]: appena lo si vede, non si può più uccidere. […] sì, è vero, ma è ancor più vero per i piedi: i piedi sono ancora più poveri, più vulnerabili, sono proprio la cosa più vulnerabile: il bambino in ognuno di noi. E anche se lo trovo un po’ imbarazzante, mi sembra bello che della gente si riunisca per stare il più vicino possibile a ciò che c’è di più povero e vulnerabile nel mondo e in se stessi. Mi dico che è questo, il cristianesimo. (p. 426)
Pur notando l’imbarazzo dilagante, l’autore non manca di evidenziarne l’efficacia: avvicinarsi alle povertà dell’altro e alle proprie. Un significato che, a suo dire, coinciderebbe con lo stesso cristianesimo e che nelle pagine finali lo scioglie fino alla commozione. Un testo ricco e ampio in cui sedimenta un lungo lavoro di ricerca e studio del cristianesimo delle origini, e che sembra non trovare miglior conclusione del gesto della lavanda.