Trappole per volpi

16 Settembre 2017Lorenzo Cuffini

Scritto da GIAN LUCA CARREGA.

 

Il linguaggio metaforico è un lusso che ci possiamo permettere facilmente perché non è troppo dispendioso. Puoi dire a qualcuno: “Sei un asino!” e quello capisce bene che non deve correre davanti a uno specchio per vedere se gli son cresciute le orecchie, ma pensa che alludiamo alla sua stupidità.Questo, purtroppo, a scapito di un animale per nulla stupido e assai prezioso.Ma l’efficacia di una metafora è condizionata dal contesto culturale: il mittente e il destinatario devono condividere lo stesso codice altrimenti l’immagine va persa o viene fraintesa.

 

Quando leggiamo i vangeli gli incroci culturali sono più complessi di uno svincolo autostradale, per restare nell’ambito della metafora. Anzitutto c’è la mescolanza di culture nel territorio palestinese, in cui Gesù vive e opera, dove la tradizionale cultura ebraica è permeata di suggestioni provenienti dal mondo ellenistico e dal retaggio dei popoli mesopotamici e cananaici. In secondo luogo c’è il gap cronologico tra quell’epoca e la nostra, per cui il medesimo concetto si carica di significati che possono allontanarsi da quello originario. Vediamo un esempio pratico per chiarirci le idee.

 

Verso la metà del vangelo di Luca Gesù viene informato dai farisei (che sarebbero i suoi nemici, ma si sa che a volte i nemici ti si affezionano più dei tuoi cari) che il tetrarca Erode ha intenzione di fargli la festa, perciò è bene che se la dia a gambe fin che è in tempo.Gesù li rimanda indietro con un’ambasciata per Erode che inizia così: “Andate a dire a quella volpe…” (Lc 13,32). Quale idea o valore si cela qui dietro alla metafora animalesca? Nel nostro contesto non avremmo dubbi: Gesù intende riferirsi all’astuzia del tetrarca che viene associata a quella di un animale che ne è simbolo. Questa connessione esiste anche nel mondo antico, non solo in ambito greco, ma anche giudaico. Un testo di qualche secolo dopo, ma attribuito a Rabbi Akibà che visse nel secondo secolo d.C., racconta la storia di una volpe che vedeva i pesci del fiume saltare di qua e di là. Si fermò a domandare: “Da cosa scappate?”. Quelli risposero: “Dalle reti degli uomini”. Allora la volpe fece loro una proposta: “Perché non venite qui all’asciutto? Potremmo vivere fianco a fianco come i nostri antenati”. Quelli risposero: “E tu sei quello che chiamano il più astuto degli animali? Ma va’ là, tu sei pazzo, non sei astuto. Se abbiamo paura qui che siamo nel nostro elemento, pensa quanta ne avremmo una volta fuori!” (bBerakot 61b).

 

Ma il mondo giudaico conosce anche un’altra caratteristica legata alla volpe, quella di un animale la cui ferocia non può essere paragonata a quella del leone e per questo viene temuta assai meno. Anche qui un breve aneddoto ci è d’aiuto.Uno studioso godeva sulle prime di grande considerazione, ma ad un esame più approfondito si rivelò una persona totalmente incapace. La gente, allora, diceva: “Quello che dicevano essere un leone si è rivelato una semplice volpe” (bBaba K. 117a). Perciò una volpe appare come un leone di serie B. Se consideriamo il contesto dell’episodio evangelico le conseguenze sono interessanti. Erode è un tetrarca, cioè sta un gradino sotto il re come la volpe sta un gradino sotto il leone. Vuoi vedere che Gesù ironizza su quest’uomo che ambiva alla corona ma non riuscì mai a ottenerla?

Come la volpe e l’uva, ma questa è un’altra storia e un’altra metafora!

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