Trono & Altare: la musica non cambia

8 Dicembre 2023Lorenzo Cuffini

Scritto da  LORENZO CUFFINI.

 

Riscrittura per Sant’Ambrogio – La Prima della Scala

 

Se  qualcuno avesse ancora dei dubbi sulle conseguenze nefaste dell’accoppiata trono/altare puo’ levarseli definitivamente seguendo una rappresentazione del DON CARLO di Giuseppe Verdi,  magari quella in edizione extralusso messa in scena per la Prima della Scala del 2023.

Al centro di questo cupissimo dramma tutto giocato sulla ragion di stato e sul cinismo richiesto dal suo esercizio – oltre che sulla solitudine umana che essa comporta –  sta difatti il rapporto ferreo quanto ambiguo tra Corona e Chiesa, personificate  dal re Filippo II di Spagna e dal Grande Inquisitore. Intendiamoci: nell’opera i due visibilmente non si amano. Piuttosto si temono, e in ogni modo  sono costretti  a convivere dai rispettivi ruoli e dalla dinamica del potere che entrambi esercitano. Convivere e  rafforzarsi reciprocamente: simul stabunt et simul cadent potremmo dire a ragione.

Uno braccio secolare dell’altro, o, in lettura parallela, uno garanzia della natura divina e soprannaturale del secondo. Potenti, temutissimi, onnipresenti entrambi, ed entrambi desiderosi intimamente di poter fare a meno dell’altro: senza mai poterlo minimamente fare. Verdi, per nulla benevolo verso il mondo clericale  e fortemente influenzato dalla lettura ormai codificata nel suo tempo della Inquisizione, un castigamatti della giustizia  non solo religiosa, dà di questa relazione  una lettura sbilanciata: è il Grande Inquisitore la vera eminenza grigia, lui il perfidissimo eroe negativo dell’opera, lui che spinge senza alcuna remora il re Filippo a mandare a morte sia il figlio, don Carlo appunto, sospetto di ribellione e tradimento, che il suo migliore amico, per ragione analoga. Oltre ad aizzare la corona alla repressione senza esitazioni dell’ eretico “popolo di Fiandra”, protestante e dunque degno di sterminio.

Due sono le scene in cui Verdi rappresenta magistralmente l’atmosfera cupa e oppressiva di questo mostro bifronte: il  trono/altare. Il finale del terz’atto, intanto, in cui irrompe sulla scena la folla, inferocita e pronta a  insorgere e a ribellarsi al re che ha imprigionato l’erede al trono.

 

Qund’ecco  sopraggiungere  davanti alla turba esagitata il Grande Inquisitore: tale è il terrore che emana la sua figura, da sortire un effetto immediato:

 

L’altra scena in realtà è precedente: si tratta del grande quadro dell’Autodafé. Il re, che ha appena mandato in galera il figlio che gli chiedeva autonomia e libertà, per sé e per il popolo delle Fiandre, si dirige con la regina, la corte e il popolo ( e il clero naturalmente) ad assistere a quella che nel libretto vine definta sinistramente “ la festa”. Si tratta al contrario di  una cerimonia pubblica,  l’ Autodafé appunto –  tipica della tradizione dell’Inquisizione spagnola, in cui veniva eseguita, coram populo, la penitenza o condanna decretata dal tribunale. La parola, ironia della sorte,  deriva dal portoghese auto da fé (in spagnolo, acto de fe), cioè “atto di fede”.

Racconta il libretto:(il Re s’incammina dando la mano alla Regina: la corte lo segue. Vanno a prender posto nella tribuna a loro riservata per l’auto­da­fé. Si vede il chiarore delle fiamme lontano)

Il coro di popolo, come sempre, per secoli, davanti alle esecuzioni e alle gogne di mezzo mondo, gioisce crudelmente e grottescamente davanti al supplizio imminente:

A questa esultanza irresponsabile e sinistra della ggente, anticipazione delle tricoteuses a venire, ecco contrapporsi il lugubre contraltare dei frati: loro sanno, e commentano la realtà atroce del momento che giunge.

 

 

Una voce dal cielo, che con contrasto surreale piomba sulla scena da forca, scandisce:

Volate verso il ciel, volate, pover’alme, v’affrettate a goder la pace del Signor!

A rimarcare l’assurdo, all’epoca non rilevato, della sostanza. Come a dire: o “presunto” eretico, io t’ammazzo , ma ho tanta cura della tua anima che ti invito fino all’ultimo a pentirti e alla salvezza.

La chiusa della scena, poi,  non lascia scampo, e più che il sipario, è come se calasse una mannaia a chiuderla. Dice il libretto:

(mentre il rogo s’accende) i deputati in disparte cantano: E puoi soffrirlo, o ciel! Né spegni quelle fiamme! S’accende in nome tuo quel rogo punitor!  (la fiamma s’alza dal rogo. Cala la tela).

Dunque: trono & altare uniti esercitano la legge e appiccano i roghi. Trono & altare insieme controllano e soggiogano il popolo, anche quando dà segno di protesta. Una società di mutuo soccorso ( o una società a delinquere?).

In un altro passo cruciale dell’opera, in un momento di sincerità, non potendone più, dopo il faccia a faccia tremendo con l’inquisitore, il Re Filippo sbotta esasperato: Dunque il trono piegar ~ dovrà sempre all’altar! Eccola qua, la  visione sbilanciata di Verdi, di cui si diceva sopra. Questa idea del potere “prigioniero” dell’inquisizione è probabilmente forzata;  la combinazione tra i due è verosimilmente paritaria e basata su reciproci, fortissimi interessi. E’ una alleanza esclusivmente di potere, dove il gran sfoggio di simbologia, termini, riti e apparati religiosi è smaccatissimamente strumentale. E non si pensi che sia ormai tramontata storicamente, una volta per tutte. Se è vero che il Concilio Vaticano II ha espresso anche in questo senso una svolta decisa e apparentemente definitiva, continuano a riproporsi costantemente esempi lampanti di alleanze trono/altare che sembrano infischiarsene della storia andata e dei tempi che noi crediamo nuovi. Saranno anche nuovi i tempi, ma non certamente gli uomini di potere – laico o religioso che siano, e le dinamiche che  possono svilupparsi: sempre quelle. Basti pensare al caso  della chiesa ortodosa Russa legata a filo doppio  a Vladimir Putin, in una continua esibizione  a favore di telecamere e social di gesti pii dell’autocrate davanti a icone studiatamente esposte, e, parallelmente, di solenni benedizioni e sermoni infuocati pro Santa Madre Russia da parte del patriarca  Kyrill e confratelli.

C’è poi un altro lato, meno appariscente, ma non meno  significativo, che dimostra come sia ancora tenace e dura a morire, specie in certi polverosi ambienti, la nostalgia per le forme di Santa Alleanza, declinate in tutti i modi possibili. Basta dare una occhiata in questi giorni alla ringhiosa campagna condotta da certi giornali, e galassie di siti e blog satelliti, una campagna di aggressione  pesante alla Chiesa Cattolica Italiana, ai suoi organi di informazione e, non tanto velatamente, su su a salire; rei sostanzialmente, di aver scelto e messo in opera strade di azione e stategie palesemente diverse da quanto la  momentanea “corona” in carica sembrerebbe aspettarsi e pretenderebbe di ottenere. Su un organo di stampa cattolica si è letta una frase lapidaria, proprio in questi  giorni: La Chiesa italiana sceglie la strada dell’incontro con l’umanità, metterlo in discussione è disonestà allo stato puro.

Chiesa & altare, Dio & Patria, Dio è con noi, Dio lo vuole: cambia la musica, e purtoppo non è quella magnifica di Verdi, ma la sostanza resta quella. Siam sempre punto e a capo. E c’è chi, come il re Fillipo, oggi sbotterebbe, ma alla rovescia: Dunque l’altar, sempre dovrà piegare al trono!

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito è protetto da reCAPTCHA e da Googlepolitica sulla riservatezza ETermini di servizio fare domanda a.