Un Cristo donna

3 Settembre 2022Lorenzo Cuffini

 

 

Scritto da MARIA NISII.

https://www.youtube.com/watch?v=uX0iavGvLYQ

Nel mondo distopico di Cecità, raccontato da José Saramago e tradotto in immagini nel film di Fernando Meirelles, tutti gli uomini e le donne uno a uno diventano ciechi senza ragione apparente. Che questa cecità non sia un fatto meramente fisico è chiaro dal biancore latteo che tutto avvolge in luogo della normale caduta nelle tenebre. Questo male che affligge l’umano è rivelativo della sua natura, come in ogni situazione estrema, ma di quale male si tratti non è detto, sebbene molte interpretazioni arrivino dai diversi personaggi della storia (cfr: https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/tutti-ciechi).

L’unico personaggio a essere esonerato dall’esperienza della cecità è la moglie dell’oculista. I suoi occhi rimasti efficaci sono tuttavia costretti a vedere l’orrore che gli altri possono solo immaginare, ovvero come il mondo di ciechi sia riuscito ad abbruttirsi e ad abbruttire tutto quello su cui ha messo le mani. Sin dall’inizio la donna si finge cieca per seguire il marito nella quarantena ordinata dalle autorità in un ex manicomio, dove man mano arrivano i pazienti che erano nello studio dell’oculista il giorno in cui è arrivato il primo cieco (il paziente zero). Nei giorni a seguire il manicomio si riempirà ben oltre le sue possibilità di ricovero, e a quel punto è ormai chiaro che la cecità è un male contagioso. Le vettovaglie però, sin da subito irregolari, si faranno sempre più rade. Così, in mancanza di condizioni igieniche adeguate e di quel minimo di assistenza necessaria, il mondo degli internati si trasforma presto in un inferno.

 

 

Il primo gruppo di ciechi – composto dal medico, la moglie e i pazienti dell’ambulatorio – riescono a restare uniti fino alla fine, anche grazie all’aiuto della donna che, pur non rivelando il suo vero stato, li guida e soccorre al di là delle proprie forze. Ma nel momento di crisi, quando la camerata degli ultimi arrivati ruba le vettovaglie di tutti per distribuirle solo dietro compenso (prima tutti i possessi che i ciechi hanno portato con loro e poi prestazioni sessuali), assieme alle altre donne la moglie del medico sacrifica il proprio corpo perché altri possano continuare a nutrirsi. Mentre la sua determinazione e forza d’animo è in grado di suscitare seguaci: «Dovunque andrai, verrò» (p. 169-70), le dice ripetutamente un’altra donna – rimando a Lc 9,57 «Ti seguirò dovunque tu vada».

 

https://www.youtube.com/watch?v=mgZLIQx8E4Q

Affamati per il protratto digiuno, quando ormai i viveri da fuori non arrivano più, un gruppo nutrito di ciechi decide di assaltare la camerata dei bruti per recuperare il cibo sottratto. Il narratore li descrive come «angeli con l’aureola» e le sbarre di ferro dei letti che prendono come arma, divenute pesanti per la debolezza, sono come «croci sulle loro spalle» (p. 177).

 

 

La donna è ritratta come una figura cristica, l’unica da cui possa provenire salvezza da un mondo irredento. Si è sacrificata per l’uomo che ama, accettando di assistere al suo tradimento in un momento di debolezza. Quando non ci sono più guardie a vigilare che nessuno esca dall’edificio, i ciechi si precipitano fuori ma nessuno vuole restare solo perché «sanno che nessun pastore li andrà a cercare» (p. 186).Il gruppo guidato dalla moglie del medico invece ha il suo pastore e «sembrano un solo corpo» per come sono uniti (p. 188). Dopo un’uscita estenuante, la donna cerca un luogo dove potersi riprendere e di lei il narratore dice che non trova «pietra su cui posare il capo» (p. 266)– richiamo a Lc 9,58: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».

 

 

Come dentro il manicomio, anche fuori è sempre lei la salvezza del piccolo gruppo, andando in cerca di cibo e poi guidando i sette ciechi nelle rispettive case, vivendo insieme l’ansia di quello che avrebbero trovato e i piccoli momenti di pace che per loro diventano una festa. Dopo aver girato per le altre case, raggiungono infine l’abitazione del medico e di sua moglie, miracolosamente preservatasi dai saccheggi. Per non sporcarla vi entrano scalzi come in un luogo sacro, bevono acqua pura da bicchieri di cristallo come a riprodurre un rito. Lì il gruppo vive semplicemente, ascoltando alla sera la donna leggere storie di un’umanità perduta. Una piccola comunità umana che ricomincia una nuova vita, basata su regole di comunione, solidarietà, convivenza. Quasi a conclusione il bagno delle donne sul balcone sotto la pioggia  è un momento di gioia quasi infantile, ma puredi purificazione dalla sporcizia fisica e morale che hanno vissuto.

 

 

Durante i primi mesi della pandemia questo e altri romanzi famosi come La peste di A. Camus o altri che non riscuotevano interesse da tempo (La peste scarlatta di J. London o Diario dell’anno della peste di D. Defoe) o persino non ancora mai tradotti in italiano (L’ultimo uomo di M. Shelley) diventano letture d’obbligo. In tanti vi hanno cercato richiami a quanto si stava vivendo, per altri semplicemente è stato un modo per sfruttare il tempo improvvisamente divenuto libero per leggere. In Cecità l’ateo irridente che è stato Saramago ha raccontato una storia dell’orrore donandoci una piccola luce nell’oscurità, una salvezza possibile incarnata in una figura femminile. Una donna che sembra non avere niente di speciale per essersi preservata dal contagio, nulla al di fuori dell’amore che nutre per l’uomo che ha sposato e poi per gli amici che incontrerà sulla sua strada.

 

 

 

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