Un tale che passava, un certo Simone da Cirene
Scritto da MARIA NISII.
21Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. (Mc 15)
32Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. (Mt 27)
26Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. (Lc 23)
17ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota (Gv 19)
Come in altri casi ci è capitato di osservare, le riscritture offrono la possibilità di fermarsi su singoli versetti, dettagli, parole. E spesso è in quelle minime pieghe che può emergere qualcosa d’inatteso. Durante il cammino verso il Golgota, che la tradizione ha fissato e a sua volta ampliato nella forma della Via Crucis, compare un personaggio inedito – mai incontrato prima e mai più citato poi – che il vangelo di Marco e quindi gli altri sinottici identificano con il nome (Simone) e la località di provenienza (Cirene, in Libia). Ci si potrebbe chiedere allora perché personaggi importanti come il discepolo amato non siano mai nominati e un uomo di passaggio che fa la sua comparsa in un solo versetto sia identificato in modo tanto preciso. Secondo alcuni autori un indizio arriva dal vangelo di Marco, unico a ricordare i nomi dei figli, riferimento che ha fatto supporre si trattasse di volti noti alla comunità marciana a cui il testo è rivolto. E poiché uno dei figli si chiama Rufo, possibile latinizzazione di Ruben, c’è chi l’ha persino collegato all’omonimo personaggio ricordato nei saluti della lettera ai Romani (16,13).
Che cosa possiamo dire di questo personaggio misterioso? Per la sua provenienza da Cirene, potrebbe essere uno straniero, oppure un ebreo della diaspora che si trovava a Gerusalemme per la Pasqua. E tuttavia il fatto di arrivare dalla campagna non si spiega facilmente: a metà giornata non si torna già dal lavoro e questo ha fatto supporre si trattasse di un proprietario terriero, ma certo non un personaggio a tal punto distinto da impedire ai soldati di obbligarlo a portare la croce. L’omissione del riferimento alla campagna in Matteo ha fatto pensare al divieto della legge di lavorare nei giorni festivi, sebbene tale richiamo non implichi – come detto – alcuna attività lavorativa, né possiamo tout court attribuire al Cireneo un’identità ebraica.
Se l’episodio ha un indubbio valore storico, non possiamo eluderne il senso teologico. Portare la sua croce (Mc 15,21) richiama Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mc 8,34), immediatamente successivo al primo annuncio della passione. Ma qui Simone non compie un atto volontario, bensì viene obbligato, forse persino con la forza. E a dispetto di tale involontarietà Simone va oltre la richiesta di Gesù, in quanto non porta la propria croce, ma – fuor di metafora – quella di un altro. Analoga sottolineatura sulla costrizione è presente in Matteo, che usa il verbo angaréuo: Simone viene “angariato”, caricato del patibulum – un atto resosi necessario dalla prostrazione in cui Gesù si trovava per aver subito la flagellazione. Luca arricchisce questo episodio con la variante portare dietro a Gesù, un rimando esplicito (quello dell’andare dietro) al discepolato – come sembrerebbe lecito dedurre a partire dal richiamo dei figli. Se volessimo colmare gli spazi bianchi lasciati dal resoconto biblico potremmo allora dire che prima Simone e poi la sua famiglia siano divenuti seguaci del Cristo.
La mancanza di tale riferimento in Giovanni non deve stupire, tenuto conto come in ogni passaggio della passione il quarto vangelo faccia emergere la regalità di Gesù che, anche nei momenti più critici, è pienamente padrone del suo destino – dal suo andare incontro a chi voleva arrestarlo fino alla consegna dello spirito. La sua uscita dalle mura della città, caricato della trave della propria croce, ne mostra quindi la piena dignità regale.
È da questa assenza nel vangelo di Giovanni che curiosamente un testo teatrale, Il quinto evangelista, (posto a conclusione de Il quinto evangelio di Mario Pomilio) deduce un elemento sulla storicità dei vangeli. Nel testo si racconta come durante una serata in una sala parrocchiale, prenda vita una discussione sulle diverse versioni del racconto evangelico. E poiché il dibattito si fa vivace e appassionato, il parroco propone che quattro diverse voci leggano il punto di vista di ciascun evangelista. Tuttavia spontaneamente anche gli altri convenuti iniziano a prendere la parola, arrivando a drammatizzare molti passaggi della vicenda evangelica, così che a un certo punto dell’acceso dibattito, fa il suo ingresso sulla scena il sacrestano per lamentare il suo essere obbligato agli straordinari dal quell’incontro che si protrae oltremodo:
Ero già pronto per andarmene, e scopro che qui si faranno le ore piccole […] Per una sera, per una sera… Come se fosse la prima volta. Il fatto è che loro ci prendono gusto alle loro discussioni. Ma di portare la croce, alla fine, spetta sempre al sottoscritto: il solito cireneo.
Ecco quindi che, citato, questo nuovo personaggio entra a sua volta in questione, assunto – come visto, anche qui quasi naturalmente -, dal personaggio che l’ha chiamato in causa:
[…] Il più estraneo alla vicenda e in pratica il più incolpevole, addirittura il tipico personaggio tirato in mezzo a forza e costretto ad addossarsi una croce non sua…
Ed è appunto discutendo della sua assenza nel quarto vangelo che, dalla voce del personaggio che assume il punto di vista di Caifa, sentiamo qualcosa di meno classico rispetto alla tradizionale comparsa del Cireneo nella quinta stazione:
È vero, sì, che si tratta d’un dettaglio trascurabile, d’un episodio incidentale, ma proprio per questo diventa una prova della veridicità dei tre sinottici. […] Riflettiamoci un istante: se le cose non fossero andate precisamente come le narrano i primi tre evangelisti, perché avrebbero introdotto un particolare di così scarso peso, che non serve a nulla, che non aggiunge nulla, ma che però, si badi, ha sapore di vita vera? Pensate all’inciso di Marco: “Il padre di Alessandro e Rufo”. Pensate a come s’esprime Luca: “E lo caricarono della croce, perché la portasse dietro a Gesù”. Par di vederlo.
Quest’ultimo intervento è indubbiamente molto pertinente al nostro discorso, sia perché mette in campo la questione storica (la verità contenuta nella storia) sia perché parla dell’effetto narrativo (il ritratto sa di vita vera, tanto che par di vederlo), ovvero quel di più presente nel testo letterario.
(Continua)
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- In copertina : Tiziano, Cristo portacroce (1576)
- Nell’articolo: Sieger Koder, Uno straniero aiuta. Simone di Cirene porta la croce (1925)