Una persona con due nature in quell’Agnello

1 Maggio 2021Lorenzo Cuffini

 

 

 

Scritto da  DARIO COPPOLA.

 

Francesco De Gregori ha dichiarato che la sua canzone “L’agnello di Dio”, anche se è scritta da un non-credente, è piena di fede. Scorriamone il testo, concentrandoci sugli elementi desunti dalla teologia liturgica contenuta nelle formule più note del rito cattolico romano: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». Secondo la simbologia ebraico-cristiana, con tale metafora si indica il Messia-Cristo, termini che rispettivamente in ebraico e in greco indicano l’Unto (si ungeva, in quel contesto, chi aveva una vocazione regale, sacerdotale o profetica), e Gesù, per i cristiani, è l’Unto per eccellenza, il Cristo appunto (participio passato del verbo greco chrio). A Dio (YHWH) gli ebrei offrivano sacrifici, immolando su piccoli altari in pietra agnelli.

 

 

L’uccisione in croce del Cristo è il sacrificio per eccellenza, secondo i cristiani: è Gesù la vittima, l’Agnello immolato, colui che porta il giogo del peccato su di sé, come espiazione per la redenzione della natura umana. I cristiani sono chiamati a seguire la via intrapresa dal Cristo… Ma, presto, cominciano a stancarsi e a trasformarsi in agnelli teneri solo in apparenza. Ecco dove si inquadra la riflessione di De Gregori, che letteralmente citiamo:

«Ecco l’agnello di Dio che viene a pascolare/ scende dall’automobile per contrattare […] All’uscita della scuola/ ha gli occhi come due monete/ il sorriso come una tagliola/ Ti dice che cosa costa/ Ti dice che cosa ti piace/ prima ancora della tua risposta ti/ dà un segno di pace».

Rileggendo il brano attentamente, soprattutto i versi seguenti, si può cogliere anche un riferimento alla natura divina dell’Agnello di Dio: c’è una volontà, espressa gradualmente, di seguire quell’Agnello (si badi alla maiuscola!) «Oh aiutami a fare come si può/ Prenditi tutto quello che ho/ Insegnami le cose che ancora non/ so, non so/ Dimmi quante maschere avrai […]». Il termine ‘maschera’, in greco, si diceva proprio pròsopon, e significa ‘sul volto’, l’ubicazione della maschera. Nella teologia cristiana, pròsopon designa il concetto di ‘persona’: Dio si rivela in tre persone, la seconda delle quali ha due nature, quella divina e quella umana, ed è proprio il Cristo, l’Agnello di Dio. La passione del Cristo, che consiste nelle sofferenze lancinanti alle quali è sottoposto dall’uomo, si rinnova nei cristiani e negli altri uomini:

«Ecco l’agnello di Dio/ vestito da soldato/ con le gambe fracassate/ col naso insanguinato/ si nasconde dentro la terra/ tra le mani ha la testa di un uomo[…] Ecco l’agnello di Dio/ venuto a chiedere perdono […] percosso e benedetto/ ai piedi di una montagna […] legato sopra un altare […] che nessuno lo può salvare/ perduto nel deserto – si pensi alle tre tentazioni – […] senza niente da mangiare […] senza un posto dove stare».

Nei versi appena scorsi, notiamo un’identificazione del cantautore nell’agnello, e il testo si fa preghiera, emergendo dalla meditazione profonda sin qui giunta all’achmé. È una preghiera, certamente laica ma preghiera, quella di Francesco De Gregori, che come un agnello fra gli altri agnelli, umani troppo umani (Esopo direbbe che sono migliori degli uomini), si rivolge al modello, all’ideale, all’Agnello divino che, alla fine è ancora invocato: «Regalami i trucchi che fai/ insegnami ad andare dovunque sarai/ sarò/ E dimmi quante maschere avrò/ se mi riconoscerai/ dovunque sarò/ sarai».

 

 

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  • Questo articolo di Dario Coppola è tratto dalla rubrica “Religione e Società“,  curata per il Corriere di Torino e della Provincia (testata storica, ormai non più attiva), ed è già stato pubblicato il 9/11/1996
  • A questo link, il video della canzone di De Gregori con sovraimpressione del testo: https://www.youtube.com/watch?v=VCknAkyg0gk

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