Una verità ridicola
Scritto da MARIA NISII
Io sono un uomo ridicolo. Adesso loro mi chiamano pazzo. Sarebbe un avanzamento di grado se non mi trovassero sempre lo stesso uomo ridicolo. Ma adesso non mi arrabbio più, adesso li amo tutti, e persino quando se la ridono di me, anche allora, mi sono particolarmente cari. Io stesso riderei con loro, non di me stesso, ma per l’amore che gli porto, se non fossi così triste nel vederli. Così triste perché loro non conoscono la verità, mentre io, io conosco la verità.(Fëdor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo,1877)
L’io-narrante di questo racconto di F. Dostoeveskij sostiene di possedere la verità, una verità a cui avrebbe avuto accesso in sogno, la notte stessa in cui aveva deciso di ammazzarsi. Era giunto a quella decisione perché tutto attorno gli era divenuto indifferente, ma quel giorno un moto di pietà e la vergogna per non aver prestato soccorso al dolore di una bambina, gli impedisce di mettere a segno il proprio progetto. Così, inaspettatamente mentre riflette sul fatto, si addormenta: sogna di essersi ucciso e di essere stato sotterrato. In quello stato di morte cosciente in cui non s’attende nulla, penetra però nella bara uno stillicidio di gocce d’acqua che ne suscitano l’indignazione. Si rivolge allora a Dio, casomai esistesse e non volesse vendicarsi del suo suicidio, perché gli permetta di giacere in uno stato più ragionevole. A quel punto viene fatto uscire dalla bara e sollevato nello spazio da un essere ultraterreno, che lo conduce in un’altra terra dove gli uomini e le donne vivono la condizione dell’Eden, nella beatitudine prima del peccato originale: sono belli, felici, si amano gli uni gli altri senza gelosia e possesso, vivendo una vita perfetta, persino in armonia con le piante e gli animali.
[…] io li ho pervertiti tutti… la causa del peccato originale fui io. Come una disgustosa trichina, come un atomo di peste che contamina interi paesi, così io stesso ho contaminato tutta quella terra che prima di me viveva felicemente e senza peccato. Impararono a mentire e amarono la menzogna, conobbero persino la bellezza della menzogna. Oh, forse tutto questo prese inizio innocentemente, per scherzo, per civetteria, un gioco fra innamorati, o forse realmente da un atomo, ma quest’atomo di menzogna sprofondò nel loro cuore e gli piacque.
Il semplice contatto dell’uomo venuto da fuori consente a questi uomini innocenti di conoscere il male nelle sue diverse forme, cadendo uno alla volta in tutti gli errori commessi nella storia dell’umanità. E primo tra tutti i disvalori, arriva la menzogna, di cui questi uomini apprendono la possibilità, arrivando persino a vederne la bellezza. In breve tempo finiscono col dimenticarsi di essere stati felici e innocenti: Ridevano persino della possibilità di questa loro passata felicità, e la chiamavano “un sogno”.
L’uomo è addolorato per quanto suo malgrado ha provocato e per questo chiede di essere inchiodato a una croce, una richiesta che in quella gente suscita ilarità:
Mi giustificavano, essi dicevano di non aver ricevuto altro che quello che desideravano, e che non potevano non avere ciò che adesso avevano. Alla fine mi dissero che ero diventato pericoloso e che mi avrebbero rinchiuso in un manicomio se non me ne stavo zitto.
Al culmine del dolore, l’io-narrante si sveglia, ritrovando accanto a sé la pistola carica. Da quel momento però è un uomo nuovo, perché sa di aver visto la verità e di doverla predicare: gli uomini possono essere belli e felici, il male non è la loro normale condizione e l’unico modo per realizzare quel paradiso è amare il prossimo come se stessi: una vecchia verità che è stata sempre ripetuta, che è stata letta bilioni di volte, eppure non ha ancora piantato le radici!
L’uomo ridicolo si dichiara l’untore di un mondo in stato prelapsario, colui che vi ha introdotto la possibilità del male contagiandolo con la sua sola presenza. L’innocenza perduta se n’è andata con la memoria di quello che è stato, tanto che il suo ricordo resta nella dimensione del sogno. Il sogno dell’uomo ridicolo, appunto. E questo sogno consiste nel fatto che l’utopia è stata realtà, ma a questo nessuno può credere. Colui che crede nella possibilità di un’età dell’oro non può che essere ritenuto ridicolo, un sognatore. Tuttavia quel sogno ha tolto l’uomo dall’indifferenza e dal nulla in cui versava, trasformandolo in una persona nuova. Dal buio nulla in cui era sprofondato, egli ha scoperto la verità di un bene possibile come un’epifania. Apparsa e presto scomparsa.
Nella prima parte della narrazione, l’uomo dichiara il non-senso universale ma dopo l’incontro con la bambina deve constatare che qualcosa resta: la pietà e la vergogna infatti continuano a esistere. Nella seconda parte la visione profetica di una terra uguale in tutto e per tutto a questa tranne per l’infelicità, la povertà e la miseria creaturale è sufficiente a suscitare una dichiarazione d’amore per il mondo, che egli ha abbandonato per disperazione:
Gli dicevo spesso che tutto questo io lo avevo presentito già da tempo, che tutta questa allegria e questa gloria io l’avevo già sentita quando ero sulla nostra terra, attraverso un senso di invitante nostalgia che talvolta si trasformava in un dolore insopportabile… e che molto spesso, sulla nostra terra, non potevo guardare il sole tramontare senza versare le mie lacrime.
Ma questo nuovo mondo appena conosciuto diventa presto fiaba, mito, sogno. E i suoi stessi abitanti non vi credono,così che quando l’uomo ridicolo ricorda come stavano le cose, tutti gli ridono in faccia. Eppure quel mondo è stato tanto vero da aver lasciato nell’uomo una traccia indelebile, che diventa inesauribile fonte d’amore: io l’ho vista e la sua immagine vivente ha riempito per sempre la mia anima.
L’io-narrante è ridicolo perché ha il coraggio della verità, tanto più perché si tratta di una verità difficile da credere. Gli uomini infatti non si riconoscono in quello stato di beatitudine perfetta in cui vengono descritti. Hanno presto dimenticato e la menzogna che si è fatta strada nel mondo è l’unica verità che conoscono. Al contrario, la verità che l’uomo ridicolo rivela suscita in loro sarcasmo, apparendo come menzogna. Come se la caduta fosse un tutt’uno col riconoscimento che la verità è menzogna.
Nell’uomo quella verità è invece salvifica e per questo non può tenerla per sé, deve andare a predicarla: da quel tempo, io predico! Questa predicazione è però impedita dalla perdita delle parole: come dire il bene e l’innocenza, la felicità e la perfezione?
…come realizzare il paradiso non lo so, perché non sono capace di dirlo con le parole. Dopo il mio sogno ho perduto le parole. Perlomeno le parole principali, le più utili.
Il sogno ha donato una visione, non le parole per esprimerla. Come comunicare senza parole? E le parole sono ancora utili quando non possiedono in sé una forza veritativa? La verità è nelle parole o negli eventi?
È stata la sofferenza della bambina a distruggere in un momento l’indifferenza dell’uomo, salvandolo. La capacità di provare ancora pietà ha convertito il vuoto nulla in pienezza d’amore, ha convertito la menzogna in verità. E lo stesso, dice lui, potrebbe avvenire per tutti gli altri uomini: la cosa è così semplice: in un giorno, in un’ora soltanto, tutto potrebbe essere fatto di colpo! …Se soltanto tutti lo volessero, tutto si organizzerebbe subito.
Dopo la caduta – dice Dostoevskji -, la menzogna si è vestita di verità e la verità contiene sempre almeno un atomo di menzogna. Bene e male tendono a con-fondersi, anch’essi soggetti alla legge della relatività universale. Colui che grida la possibilità di un bene perduto è un uomo ridicolo, perché “Il mistero dei misteri non è il male, ma il bene” (Giuseppe Riconda, Il trionfo del bene, 115).
Peccato che l’uomo sia ridicolo, altrimenti dovremmo credergli anche noi!