Vasco e la rabbia del maggiore
Scritto da LORENZO CUFFINI.
Riscrittura inconsapevole *
“Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». 31Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato“. (Lc 15,25-32 )
______________________________
Il mio vecchio questa volta ha davvero esagerato
Non solo è un sacco di tempo che me lo sorbisco in sospiri e attesa, a scrutare l’orizzonte dalla terrazza di casa, nella speranza di veder ricomparire quel fagnano di mio fratello minore, sì, quello che se n’è andato, e chi s’è visto s’è visto. Non solo ho dovuto raddoppiare il lavoro, facendo il mio e il suo; quello del fratello piccolo, dico, quello che un bel giorno, toh: sai che c’è? Padre mio, me ne vado: dammi la mia parte dei beni, e ognuno per la sua strada. Lui sparito, io piantato nei campi, come una zucca, sole e pioggia, estate e inverno, tutto il santo giorno a spaccarmi la schiena, piegare la fronte e inghiottire la bile. Un padre aveva due figli, dice la gente raccontando la nostra storia: li aveva, sì, ma era come se ne avesse perso uno, dal momento che quello se n’era andato a cercare…che cosa? Ventura? A godersi la vita, se n’era andato, ma diciamocelo: a bruciarsi in anticipo la sua parte di eredità in donne, bordelli, mangiate, bevute, perso in chissà che posto. Aveva due figli, il padre: ma gliene era restato uno solo, al fianco. E lui, invece di riconoscerlo, di maledire quell’altro, di ritenerlo morto, girar pagina e via, che aveva fatto? Nulla: tutto il giorno, tutti i giorni, a sperare, a scrutare, a guardare e a illudersi in un ritorno di quel bestione.
Ma adesso si è superato, e ha superato il limite della mia pazienza e della mia sopportazione. Tanto per cambiare, io ero nei campi. Finisce la giornata, me ne torno a casa, stanco come uno straccio strizzato. Mentre mi avvicino, cosa sento? Musica. Canti. Suono inconfondibile di danze. Da casa di mio padre? Da casa nostra? Una festa, qui? Acchiappo per il braccio il primo servo che risale su per il sentiero, gli occhi accesi e la faccia ridente, e gli chiedo: ma che succede? “Non lo sai?, fa quello tutto trafelato. Tuo fratello è qui! E’ tornato! e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Poi si divincola, e scappa via. Mi avesse dato uno schiaffo in piena faccia, mi avrebbe fatto meno male. Mio fratello? Mio “fratello”? “Mio” fratello? Qui? Adesso? E arrivato da dove? E arrivato come? E perché?. Poi , feroce come una martellata picchiata in testa: il vitello grasso? Quello? Quello speciale, quello unico e solo, quello delle grandi occasioni, ammazzato così, là per là, in tutta fretta? Per festeggiare? Ma festeggiare cosa? Mi lascio cadere a bordo della strada, senza parole e senza fiato.
In tutto questo tempo, persino parlare con mio padre mi è stato difficile: perché lui non c’era. Io lo sentivo , lo vedevo, e soprattutto lo sapevo lontano, con la testa lo sguardo e il cuore persi nella speranza disperata di rivedere quell’altro. Certo, il suo carattere è così, mi dicevo: per scusarlo e mettere un tappo alla mia rabbia. Non si cambia la propria natura. Non è mica come cambiare una robetta da poco. Cambiare un attrezzo, una macchina per lavorare i campi, per dire, puo’ esser molto facile. Cambiare donna, faccio per dire….. cavoli, già un po’ più difficile. Ma cambiare vita e modo di vita, quello è quasi impossibile! Vorrebbe dire cambiare tutte le abitudini, eliminare quelle meno sensate e meno utili, che so… quella di stare ore e ore alla finestra a struggersi scrutando l’orizzonte a cercare di intuire la sagoma di quel depravato che se ne torna a casa. Vorrebbe dire cambiare direzione, e abbandonarlo finalmente e per sempre al suo destino, concentrandosi piuttosto su di me, stupido poveraccio che è rimasto al suo posto, per senso del dovere e dell’onorare il padre e e la madre, secondo il decalogo…
Mille, ma che dico, diecimila volte, mi sono chiesto: ma il vecchio, a me, ci pensa, ogni tanto? Ha una lontana idea di quello che mi costa, mi è costato e mi costerà, restare qui, al mio posto, fedele e inamovibile come una roccia che non muove? Con l’esempio sotto il naso di quell’altro, con il sapere che basterebbe chiedere e via: anche a me, soldi, parte di eredità, libertà, libertà, libertà. Anche per me: tutto quello che vorrei. Sai che c’è? Lui mi ha sempre dato per scontato. Ma cosa crede? Che non abbia anche io le mie passioni, la mia voglia di scatenarle, il mio diritto di cavarmi una a una tutte le mie voglie? Crede che non mi sia costato nulla limitarmi, cancellare “ i vizi”, far finta che non ci siano? E non parlo delle piccole rinunce quotidiane, quelle non son poi così difficili: parlo della grande lotta, della lotta fondamentale e tutti i giorni ripetuta: tenerle a freno, le passioni, soffocare le mie emozioni, non cadere nelle tentazioni. Crede, il vecchio, che solo quel debosciato di mio fratello avesse il diritto e la possibilità che gli è stata riconosciuta senza colpo ferire di fare quel che gli passava per la testa e non solo?
Di colpo , la musica si è fatta più forte, le grida sono aumentate a dismisura, una porta si è aperta e quel vociare insopportabile e quasi osceno alle mie orecchie mi è arrivato addosso con tutta la sua caciara. Ed è stato allora che me lo sono visto davanti. Lui. Mio padre., Il Padre. Irriconoscibile, il vecchio: illuminato, raddrizzato, rinvigorito. Ringiovanito, ecco. E che fa? Inizia a blandirmi, e a supplicarmi di entrare, e di andare, e di partecipare alla festa…E si è vestito a festa pure lui, il vecchio: con la veste più ricca e splendente che possiede, e non riesco a non pensare che a una cosa sola: che così, mio padre io non l’ho mai visto in tutta la mia vita. Chiudo gli occhi, per non vederlo più. Mentalmente mi tappo le orecchie per non sentire più le sue parole, le sue suppliche che traboccano di una contentezza e di una giocondità letteralmente insopportabili tanto sono genuine. Cosa mi stai chiedendo, vecchio? Ma che cavolo mi stai domandando? Fammi capire: arrivato a questo punto, io, IO, dovrei cambiare logica? Io? Oh, sulla carta, molto bello, molto nobile, molto facile. Ma tu, la tua, l’hai mai cambiata? Non mi pare, e dunque, che vuoi da me? Cambiare idea, cosa già molto piu difficile? Cambiare in qualche modo la “fede” in base alla quale ho agito? Certo: tutta mia, ma forte, incrollabile, tanto che mi ha tenuto qui e in piedi fino ad adesso senza che ti mandassi sulla beata e me ne andassi anche io. Sai quante volte ci ho pensato? Cambiarla, questa “mia fede” , è quasi impossibile. Dovrei essere io a cambiare tutte le mie ragioni, sante , santissime, sacrosante? Riconoscere di ragionare in modo sbagliato? Riconoscere che sono quelle ragioni a essere fonte del mio errore di adesso? Un errore di giudizio, di valore, di considerazione, di merito, nel NON volere, as-so-lu-ta-men-te, per nulla al mondo, partecipare alla tua sconcia festa. Ma questo, insomma, non sarebbe nemmeno naturale.
Così gli grido, senza nemmeno guardalo il faccia: Festa? Quale festa? A quale festa mi supplichi di partecipare? Io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Te lo ricordi questo? Lo sai questo? Dovrei far finta di niente, passare sopra a quanto è successso in tutto questo tempo? E ora, che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. E io dovrei applaudire, partecipare a questa follia, come se nulla fosse successo? Scordatelo. Dici bene: Questo tuo figlio– E’ tuo figlio, non è più mio fratello. Fammi capire: lui va viene, briga, disfa, due lacrimucce e due paroline di pentimento e tutto cancellato, dimenticato, tutto come prima? Anzi: meglio, di prima?
Ma lo sai quello che mi chiedi, vecchio? Si’, vecchio: chiamarti padre mi costa troppo. Quello che mi chiedi, è troppo. Vedi: cambiare opinione non è difficile. Cambiare partito è molto più facile. Cambiare il mondo è quasi impossibile. Tu te ne stai lì a dire belle parole e a supplicarmi, e mi chiedi di cambiare me stesso: così, come fosse poco, come fosse niente. Ma è tutto! Se io ci riuscissi, farei una vera rivoluzione. E se avessi voluto farla, la rivoluzione, non me na sarei stato qui, bravo, obbediente, a cuccia e fedele come un cagnolino al fianco di un vecchio padre ingrato.
Poi mi taccio. E apro gli occhi. Perché sopra di me, la sua voce ha smesso di parlare, le suppliche e le esortazioni sono cessate. In silenzio io, silenzioso lui. Lo guardo, e riscopro, pur se vestito in quell’incredibile tenuta da gran festa, il volto stanco, appassionato e senza tempo che scrutava ogni giorno l’orizzonte da lontano in tutti questi anni. E’ con quello stesso sguardo, che adesso guarda me: a scrutarmi dentro, a capire cosa guardare e cosa vedere, cosa cercare e cosa trovare. Quando apre bocca, la sua voce non è più festosa e squillante, ma pensosa e bassa. Così bassa che devo fare uno sforzo per sentire fino in fondo quello che mi sta dicendo. Ed è questo: “Tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato“. Tutto qui. Poi, un lungo sguardo carico di affetto esausto, e se ne va.
Vecchio . Vecchio pazzo. Vattene. Va via. Lasciami in pace. Vattene, torna a fare festa. Tu sei sempre con me, dice. Tutto ciò che è mio, è tuo, dice.. Sempre con me, mio, tuo. Sono a pezzi, ma quelle parolette mi sono restate in testa. Queste, e più nient’altro. Macerie mentali, rovine di pensieri, desolazione, e queste parolette. Svuotamento, e queste: sempre, con me, mio, tuo.
Valeva la pena vivere bene o cercare di vivere al meglio? Fare il meno male possibile? Devo, devo, devo. Guardami qui, in che stato mi trovo adesso, io con il mio assoluto senso del dovere. Forse, non si tratta di dover essere il migliore, costantemente, senza ammetterlo. Sei sempre con me, cioì che mio è tuo: allora non si tratta, , di avere paura di perdere tutto. No lo so, no lo so. Riesco solo a pensare che , ancora un volta, sono e restano cavoli miei, e che sarà difficile, cavarsela da questa situazione.
_________________________
(*) Riscritture inconsapevoli: canzoni scritte dai loro autori per motivi e contesti tutti diversi, eppure in grado di rappresentare, almeno a qualche orecchio, un pezzo di Scrittura, che si riscopre lì dentro, come inconsapevolmente richiamata.