VEDERE…ASCOLTARE…INTENDERE
Scritto da NORMA ALESSIO.
“Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento:«Ascoltate»”(Mc.4,2-3)
“Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro (alla folla) la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.” (Mc. 4,33-34)
Le parabole evangeliche, sezione importante dei Vangeli sinottici, sono dei racconti per immagini che indicano realtà nascoste, in cui ogni elemento deve essere interpretato, perché il loro significato possa essere compreso e da cui trarre un insegnamento per un àmbito che supera l’esperienza: il mondo invisibile e quello futuro.
Molte parabole, previste nella liturgia o nella catechesi, hanno testi che sono ripetuti periodicamente, così che sono diventate talmente famose che, appena ne sentiamo l’inizio, già sappiamo a memoria tutti i dettagli del racconto, finale compreso. Poiché nell’ambiente di Gesù l’allegoria era il modo corrente di esprimersi per immagini, era ovvio che le parabole venissero interpretate per taluni come un’allegoria, per altri come un brano di vita reale o ancora come metafore. Inoltre, per tutta una serie di parabole esistono molteplici possibilità di spiegazione, a seconda del punto di vista con il quale ci si accosta. Infatti, tutta la storia della Chiesa è attraversata da studi per una loro corretta interpretazione.
Nell’arte figurativa solo alcune parabole hanno riscosso molto successo e sono state rappresentate frequentemente. La scelta di quali parabole rappresentare doveva essere finalizzata a una loro precisa lettura e al loro valore teologico.
Gli artisti si sono trovati di fronte alla necessità di dover sintetizzare in una sola scena questi racconti evangelici, imperniati su immagini tratte dalla vita concreta o dall’esperienza, evocanti quello che capita, sia nella natura, sia nella vita della gente: gesti degli artigiani contadini, relazione di datori di lavoro con i loro operai, modi di agire che comportano sanzioni o ricompense, ecc. Fatti di esperienza comune, da cui trarre gli insegnamenti.
Questo mio studio dei dipinti sulle parabole, inizia con due artisti vissuti in due secoli diversi – XVII e XIX – e appartenuti a vari periodi artistici che hanno in comune l’aver realizzato numerose opere con questo soggetto.
Domenico Fetti, nato a Roma nel 1589, fu chiamato a Mantova nel 1613 dall’ex cardinale, poi duca, Ferdinando Gonzaga, in qualità di pittore di corte e agente per acquisti di opere d’arte.Tra il 1617e il 1621 circa, traduce con la sua “personale sensitiva profonda religiosità in anni di forti regolamentazioni scolastiche controriformistiche” (Renzo Zorzi *) il racconto biblico in scena di genere; si tratta di in un ciclo di dipinti su tavola di tredici parabole evangeliche, di piccolo formato, destinate originariamente per il rivestimento ligneo della grotta di Isabella d’Este a Mantova e poi trasferite al piano terreno di corte Vecchia a Palazzo Ducale e ora disperse (anche le copie) tra numerose collezioni in Europa e nel mondo. L’intera serie comprendeva le parabole del Seminatore di zizzania (Mt. 13,24-30) – due copie,una alle Gallerie dell’Accademia a Venezia e una alla Galleria del Castello Reale a Praga -; della Pagliuzza e della trave (Lc. 6,41-42) – al Metropolitan Museum di New York -; del Tesoro nascosto (Mt. 13, 44) – collezione privata a New York – e della Perla preziosa (Mt. 13,45-46) – al Kunsthistorysches Museum di Vienna-, dei Ciechi (Lc.6,39) (Mt. 15,14), del Servitore spietato (Mt. 18,21-35); del Convito o del banchetto e dell’abito di nozze (Mt. 22,1-14) e (Lc. 14,15-24), della Pecora smarrita (Lc.15,1-7) (Mt.18,12-14), della Dracma perduta (Lc. 15,8-10), del Figliol prodigo o del padre misericordioso (Lc. 15,11-32), del Fattore Infedele o dell’amministratore disonesto (Lc. 16,1-13), tutti alla Gemaldegalerie di Dresda; del Buon samaritano (Lc. 10,30-37) – alle Gallerie dell’Accademia a Venezia – di Lazzaro e del ricco Epulone (Lc. 16, 19-31), opera smarrita, ma testimoniata da alcune copie e da un’incisione.
L’intero ciclo ha quali caratteristiche comuni: una stanza, un androne, un poggiolo, il cortile di una casa padronale, il porticato di una piazza, logge, ruderi che si allargano fino a comprendere un campo, un ovile, un podere, un fossato nel bosco, un sentiero in aperta campagna in cui sono inseriti i protagonisti come attori su un palcoscenico, a rivestire i ruoli più svariati, con inquadrature da teatro volute proprio da Fetti.
Tra tutte queste mi soffermo ad analizzarne solo due, mentre per quella de La pagliuzza e la trave, è sufficiente la sola osservazione del dipinto qui sotto riportato per capire come l’artista l’abbia interpretata.
La prima, I ciechi, è riportata da Luca; Gesù disse ai discepoli: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?». L’atmosfera è estremamente drammatica, accentuata dalle forme dei due tronchi d’albero nodosi al centro in primo piano, e la scena inquietante delle figure dei ciechi che si trascinano verso il fossato senza urlare anche se precipitano, in contrasto con il contadino sullo sfondo che spinge due buoi (particolare assente in una copia sempre dello stesso autore).
La seconda, Il seminatore di zizzania, è narrata dall’evangelista Matteo :“Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò”. Nel dipinto la scena è ambientata in un campo che, secondo le parole di Gesù è il mondo, ed effettivamente mostra un andamento convesso. I contadini sono abbandonati nel sonno, ignari del nemico diavolo, travestito da uno di loro: con il piede biforcuto e le piccole corna tra i capelli, sta seminando zizzania contro vento e con la mano sinistra abbassata dietro di sé, attraversando i solchi e non seguendoli, con un cestino chiuso anziché aperto, quindi svolgendo azioni maligne e per di più contrarie alla logica. L’olmo sulla sinistra è avvolto dall’edera, simbolo dell’immortalità e della resurrezione.
Un altro artista che ha raffigurato numerose parabole è Jacques JosephTissot altrimenti noto con il nome di James (1836-1902), pittore e incisore francese vissuto nel XIX secolo: nel 1885, a seguito di un’esperienza mistica, decise di cambiare radicalmente la propria arte e i soggetti delle sue opere. Con la definitiva conversione al cattolicesimo passò il resto della sua vita a illustrare la Bibbia e a viaggiare per dieci anni (tra il 1885e 1896) in Medio Oriente e in Palestina per illustrare il Nuovo Testamento nel modo più veritiero possibile e ritrovare l’autentica testimonianza delle scritture. Approfondì la sua conoscenza del paesaggio, dell’architettura, dei vestiti e delle abitudini della gente dei paesi in cui visse Gesù, producendo 350 gouache (guazzo simile al colore a tempera) esposti per la prima volta a Parigi nel 1894, ed ora al Brooklyn Museum di New York.
Ne Il seminatore di zizzania (1896),Tissot ha riassunto la parabola con il versetto principale del vangelo di Matteo: “Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò”. L’azione avviene di notte, il cielo è buio con un bagliore di presentimento, il seminatore è un uomo che si guarda attorno con espressione minacciosa, cosciente che sta agendo male; il paesaggio attorno è pressoché arido, con uno strato di pietre.
Nella Parabola dei ciechi l’ambiente è sempre arido, ed essi, si tengono l’un l’altro, disposti in una lunga fila, secondo un uso ancora in essere, come afferma l’artista, nelle strade di Gerusalemme, ma sotto la guida di uno di loro che aveva familiarità con gli ostacoli da evitare e conosceva ogni angolo della città. Qui invece ne sono privi e vanno verso il pericolo costituito dal fossato. La precisione è tale da far apparire le immagini come fotografie: i costumi e gli accessori sono resi con ricchezza e dovizia di particolari e le figure con un realismo così intenso che alla fine risultano fredde ed incapaci di suscitare un autentico sentimento religioso.
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