YHWH! Io Ci Sono…

15 Gennaio 2022Lorenzo Cuffini

Scritto da  NORMA  ALESSIO.

 

Mosè pascolava il gregge di Ietro suo suocero, sacerdote di Madian, e, guidando il gregge oltre il deserto, giunse alla montagna di Dio, a Oreb. L’angelo del SIGNORE gli apparve in una fiamma di fuoco, in mezzo a un pruno. Mosè guardò, ed ecco il pruno era tutto in fiamme, ma non si consumava. Mosè disse: «Ora voglio andare da quella parte a vedere questa grande visione e come mai il pruno non si consuma!»Il SIGNORE vide che egli si era mosso per andare a vedere. Allora Dio lo chiamò di mezzo al pruno e disse: «Mosè! Mosè!» Ed egli rispose: «Eccomi».Dio disse: «Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo sacro». Poi aggiunse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe». Mosè allora si nascose la faccia, perché aveva paura di guardare Dio. (Es 3,1-6)

Questo episodio dell’Antico Testamento è una delle espressioni della manifestazione di DIO (teofania), che annuncia a Mosè la missione di condurre il suo popolo fuori dall’Egitto e la voce è accompagnata da elementi dei sensi come la vista, l’udito, la sensazione del caldo, il tatto. Lo troviamo presente anche nel Corano dove Mosè osserva un incendio nella Valle di Tuwa e Dio che lo chiama dal lato destro della valle da un roveto, su ciò che è venerato come Al-Buq‘ah Al-Mubārakah “la terra benedetta”.

La tradizione cristiana ha dato al fenomeno del Roveto più di una interpretazione, sia iconografica che teologica e la sua diffusione nell’arte è avvenuta con stili diversi nel mondo secondo le culture locali.Nei primi secoli dell’arte cristiana l’immagine compare nella sua forma più semplice, con Mosè che si slaccia i sandali, il roveto vicino e la mano di Dio che compare dall’alto, come nel mosaico nell’arco trionfale del monastero di Santa Caterina (1)  sul Sinai del VI secolo, antico luogo sacro dove si pensa sia avvenuto l’episodio, non solo per i cristiani ed ebrei, ma anche per i musulmani.

 

(1)

 

Dal IV secolo la teofania si arricchisce di un significato profondo attraverso il pensiero dei Padri della Chiesa e lo sviluppo dei testi liturgici. A partire dal V secolo, i Padri greci hanno interpretato il roveto ardente come una prefigurazione della Madre di Dio, quale strumento e luogo dell’Incarnazione, che conservò intatta la sua verginità senza essere consumata dal “fuoco dell’essenza divina” (lo Spirito Santo). Il Roveto così divenne un simbolo e un nome, quello di Maria, che rimase Vergine pur diventando Madre, mistero incomprensibile agli uomini, come la coesistenza tra le fiamme e la legna di un roveto, un parallelo che ha ispirato molti artisti. Nei dipinti comunque coesistono nei secoli entrambe le interpretazioni. Una delle raffigurazioni della Madre di Dio come un “Roveto ardente”, in cui la visione di Mosè si fonde con il mistero dell’Incarnazione, si trova nella scena centrale del Trittico della fine del XV secolo, detto del Roveto, nella cattedrale di Saint Sauveur in Aix-en-Provence (2), del pittore francese Nicolas Froment, ricca di significati simbolici. Maria è nel mezzo di un cespuglio ardente ma fiorito, con in braccio Gesù che tiene uno specchio in cui entrambi sono riflessi, come cita il libro della Sapienza al versetto 26 del Capitolo 7: “È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà”; simbolo della Salvezza, che si contrappone al medaglione indossato dall’angelo, che ricorda l’Annunciazione, in cui sono impressi Adamo ed Eva con il serpente, simbolo del peccato originale.

 

(2)

 

Sandro Botticelli, tra il 1481 e il 1482, invece, nell’affresco realizzato nel registro mediano della Cappella Sistina in Vaticano, identificato come le “prove di Mosè”(3)  colloca questo episodio in alto a destra tra altre scene in un unico riquadro, realizzate in parallelo alle Storie di Cristo, con lo scopo di indicare la continuazione tra Antico e Nuovo Testamento. Egli descrive semplicemente quanto è raccontato nella Scrittura: Mosè che si toglie i sandali e di nuovo lui che si avvicina al roveto ardente, con finale in basso a sinistra, in cui esaudisce la richiesta di Dio guidando il suo popolo verso la Terra Promessa.

(3)

 

A comprova della varietà di interpretazioni indipendenti dal periodo storico, a Brescia, probabilmente nel 1529, Alessandro Bonvicino detto Moretto eseguì l’affresco (4) nel soffitto della cappella del palazzo del vescovo Mattia Ugoni, ora staccato e conservato a Brescia nella Pinacoteca Tosio Martinengo, in cui Mosè è visto di scorcio, nell’angolo in basso a sinistra, mentre avanza, in primo piano verso il centro; porta la mano sinistra agli occhi e tiene nella destra il bastone, davanti a lui il gregge di pecore; in secondo piano, più in alto a destra, il roveto ardente in cui appare solo Maria, incoronata Regina, di tre quarti con le mani giunte e il viso volto a destra, priva di Gesù.

 

(4)

 

Anche il pittore ebreo russo Marc Chagall, tra il 1960 e il 1966, include nella tela esposta a Nizza al Museo Nazionale del Messaggio Biblico (5) , la scena della missione che è stata affidata a Mosè: il cespuglio ardente è al centro della composizione e Mosè, sulla destra, cade letteralmente in ginocchio prima dell’incontro con il divino, qui rappresentato dall’angelo. Sulla sinistra, un’enorme onda, a forma di un corpo, di una folla di persone, gli Egiziani inseguitori, e una nuvola di luce che li divide dagli Ebrei che si mettono in salvo; sulla sommità c’è il volto di Mosè, giallo come la luce, dopo aver ricevuto le tavole della legge. Il rosso e il giallo, contrastando il blu dello sfondo, sembrano formare un arcobaleno, simbolo spesso utilizzato per raccontare la teofania, che collega i due episodi.

 

(5)

 

Anche il Maestro dell’arte “visionaria” e “realismo fantastico”, l’austriaco Ernst Fuchs, nato nel 1930, figlio unico di un rigattiere ebreo e di una sarta cattolica, che all’età di 12 anni fu battezzato per sottrarlo alle persecuzioni naziste, dà la sua versione del Roveto ardente (1957) , conservata nel Belvedere Superiore di Vienna (6) . Qui non riconosciamo più nulla dell’interpretazione degli artisti prima citati, dove il roveto in fiamme e il fuoco stesso sono come umanizzati. Eglitenta invece di far vedere ciò che non è visibile, raggiungendo uno stato visionario che va oltre le modalità ordinarie della percezione e rende le immagini delle figure meno consistenti e poco definite, ulteriormente alleggerite con i colori applicati fino al raggiungimento dell’immaterialità, trasmettendo un senso di irrealtà della dimensione ultraterrena. Le sue opere combinano elementi della pittura medievale con motivi ispirati all’arte del modernismo.

 

(6)

 

Un esempio recentissimo dello stesso episodio biblico, del 2012, di padre Marko Ivan Rupnik, è rappresentato in un moderno mosaico, nel lato sinistro dell’abside della Chiesa del Collegio San Lorenzo da Brindisi a Roma (7) . Mosè di fronte al mistero del roveto ardente, attraverso il velo che gli copre il volto “vede” un fuoco che brucia e l’immagine della Vergine, Madre di Dio, che tiene teneramente la testa di Gesù con aureola crucifera, simbolo di quello che gli accadrà; accanto i sandali e il bastone spesso al fianco di Mosè in molti eventi miracolosi secondo quanto è riportato nelle scritture.

 

(7)

 

Vi sono altre raffigurazioni del Roveto ardente che ci permettono di identificare i diversi piani su cui si svolge l’incontro tra l’arte cristiana e le culture delle immagini in Europa, in Africa, in America latina o in Asia, pur nella diversità di stili.

Vediamo una risposta indiana alla lettura dell’episodio biblico in una stampa su batik del 1984 di Paul Koli (8) , artista formatosi a Kyoto con gli insegnanti dell’Asian Christian Art Association. La presenza dei personaggi è incentrata sulle impronte delle mani (di DIO), dei piedi scalzi (di Mosè) e degli occhi (lo sguardo), tipico della tecnica buddista dei tangka (pitture portatili su tela che si arrotolano) tibetani e, ancora prima, nell’India antica per esprimere la manifestazione del divino con la presenza-assenza dei personaggi sacri, con ilsimbolismo della scena che ne coglie l’essenza o lo spirito.

(8)

 

Tutte queste iconografie, seppur diverse, offrono la possibilità di interiorizzare le Scritture permettendo il collegamento tra i vari elementi di ognuna, certamente dal fascino irresistibile.

 

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