Alì e l’altro uomo dagli occhi azzurri in Uccellacci e uccellini

4 Giugno 2022Lorenzo Cuffini

 

 

Scritto da  DARIO COPPOLA.

 

Centenario pasoliniano (2)

Troviamo in Uccellacci e uccellini (1966) diversi omaggi al grande cinema: Totò e Ninetto ricordano nei movimenti e nei dialoghi personaggi chapliniani; si vedono anche elementi felliniani nelle caratteristiche grottesche di alcuni personaggi.

Pasolini ha rivelato espressamente il sottofondo religioso di questo e di altri suoi film con una serie di autocitazioni e rimandi, che si rifanno alle vicende evangeliche. Basti guardare II Vangelo secondo Matteo per coglierne alcune: l’arcangelo Gabriele, nell’Annunciazione, è interpretato in quel film dalla stessa attrice (Rossana Di Rocco) che in “Uccellacci e uccellini” è la ragazza con le ali d’angelo, per la recita religiosa.

 

Inoltre in “Uccellacci e uccellini” scorgiamo, in filigrana, cenni chiari del percorso evangelico. Il corvo dirà: “Beati voi…” riferendosi ai semplici, riprendendo le Beatitudini (Matteo, 5); la cacciata dei mercanti al tempio è collocata nel film durante la leggenda di s. Francesco, il quale cita “Il Capitale” di Karl Marx: volutamente Pasolini, giocando con i contrasti, accosta i due estremi, come già ha fatto nel film Il Vangelo secondo Matteo, ove fa risuonare i canti rivoluzionari russi mentre il Cristo parla alle folle. La gente che è radunata a causa di una morte, in Uccellacci e uccellini, dà lo spunto per la riflessione dell’autore sull’esistenza, ma ricorda la folla dei racconti evangelici che chiedeva i miracoli al Cristo che risuscitava i morti. L’incontro con la prostituta è presente anche negli Evangeli, così come l’annuncio profetico della propria morte fatto dal Cristo e dal corvo parlante in Uccellacci e uccellini.

 

 

 

 

Se l’ultima cena è anticipazione della passione e della morte di Cristo negli Evangeli, nel film è subìta dal corvo che viene mangiato: coincidono con la cena, la passione, la morte in termini religiosi, psicologici e anche antropologici (la ripresa del pasto totemico di S. Freud in “Totem e tabù”…). Anche nei film Accattone e Mamma Roma troviamo evocato lo stesso percorso evangelico (Angelo – passione – Ultima cena – morte). I tre enigmatici protagonisti ricordano le tre persone della trinità: Padre, Figlio e Spirito santo (quest’ultimo rappresentato da una bianca colomba, normalmente). Ma dopo la morte, secondo l’ateismo marxista è assente la vita e quindi il corvo è, a un tempo, la goffa e tetra immagine dell’angelo decaduto, il cui nero colore è inquietante e contrasta con la sua dolcezza, con la sua fragilità ma soprattutto con la sua arguzia. Il corvo richiama lo scarafaggio di kafkiana memoria; evoca funesti presagi che, dalla sua comparsa, riconducono direttamente il pensiero alla morte: non a caso il corvo si introduce nel discorso quando il padre e il figlio (simbolo della vita che continua nelle generazioni) riflettono sulla morte.
Un’altra serie di riferimenti, sia stilistici sia contenutistici, va ai classici: sicuramente compaiono elementi tipici del teatro dell’assurdo (S. Beckett, Aspettando Godot) e anche riferimenti a M. Cervantes (don Chisciotte della Mancia). Ma fondamentale è la ripresa di uno stile caro a Esopo, a Fedro e poi a La Fontaine, che mettevano sulla bocca degli animali, talora proprio a un corvo, le parole suggerite agli uomini dalle menti di questi ultimi, spesso più feroci di quelle degli animali stessi. In questo caso, il corvo è più innocente degli innocenti, anzi è vittima innocente di essi.

 

 

L’uomo sembra subordinato alla bestia ma, alla fine, solo comportandosi da bestia, domina la bestia; al contrario dell’”uomo umano” incarnato da frate Ciccillo, la cui summa del pensiero è espressa in quel suo idealistico e filantropico “Cantico delle creature”, subito smentito dalla realtà (è Marx che si stacca da Feuerbach). B. Pascal diceva: “l’uomo non è né angelo né bestia; disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo fa la bestia” (Pensieri, 358). Il tema dell’albatro (o del gabbiano), le cui ali troppo grandi imprigionate nella tolda di una nave lo portano alla lenta morte e all’impossibilità di spiccare il volo, è notoriamente attribuito a  Baudelaire e a Coleridge: sono riferimenti presenti anche in  Accattone ma evidentemente sono racchiusi qui nel corvo di Uccellacci e uccellini.

 

Altro livello interpretativo è quello storico-politico: la storia del comunismo russo evocato dai riferimenti, anche musicali, all’Internazionale, a Karl Marx, al partito comunista italiano al quale Pasolini aderì, l’omaggio a Palmiro Togliatti, alla Cina di Mao e all’Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII: sono soltanto alcune citazioni e cammei che esprimono, al di là dell’omaggio, l’autocritica pasoliniana, sulla propria figura inadeguata e non compresa di intellettuale di sinistra che si rivolge altrettanto criticamente al suo partito e alla Chiesa.

 

In essa Pasolini, pur criticamente, spera autocitandosi: il testo predicato da s. Francesco nella scena dell’invio missionario dei fraticelli Ciccillo e Ninetto, con riferimento al Cristo, è “Profezia”, una poesia rielaborata ma già pubblicata dallo scrittore[1]. Al ritorno dei frati da s. Francesco, Pasolini fa citare dal santo di Assisi lo stesso Marx, sfumandone il testo. In questa dissolvenza di testi troviamo le parole del papa! Già ne parlammo in queste pagine:

Lo spettatore non si accorge che Pasolini passa da Marx alle parole del papa Paolo VI, che è l’uomo dagli occhi azzurri di cui parla s. Francesco.  Il papa è citato da Pasolini letteralmente[2]: egli era appena tornato in missione di pace dall’ONU, ove pronunciò le parole ‘Mai più la guerra’[3].

 

 

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Fine. La prima parte dell’articolo è pubblicata su questo blog in data 28 maggio 2022

  • Note

[1] Riportiamo integralmente l’articolo del 2017, tratto dal sito MDF https://www.decrescitafelice.it/2017/04/profezia-una-poesia-di-pier-paolo-pasolini/ [19.05.2022] su questo componimento pasoliniano. “Profezia” conosciuta come Alì dagli occhi azzurriè una poesia di Pier Paolo Pasolini considerata una dei componimenti poetici e profetici tra i più importanti del nostro tempo.

Scritta, probabilmente, nel 1962 e pubblicata nel volume Poesia in forma di rosa l’opera è stata, per stessa ammissione del poeta, il frutto di una conversazione tra Pasolini e il suo amico Sartre. Testimonianza ne è la dedica che ne fa da introduzione: “A Jean Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri”. Pasolini si trova a Parigi per far vedere il Vangelo, resta fortemente deluso, per non dire offeso, dalla reazione degli intellettuali francesi marxisti. Sartre lo consola e Pasolini dice: “Ho dedicato a lei, Sartre, una poesia, Alì dagli Occhi Azzurri, sulla base di un racconto che lei mi fece a Roma…”. E Sartre gli risponde: “Sono del suo avviso che l’atteggiamento (della sinistra) francese di fronte al Vangelo… è un atteggiamento ambiguo. Essa non ha integrato Cristo culturale. La sinistra lo ha messo da parte. Né si sa che fare dei fatti che concernono la cristologia. Hanno paura che il martirio del sottoproletariato possa essere interpretato in un modo o nell’altro nel martirio di Cristo”.

Poesia in forma di rosa esce nel 1964, ma nello stesso anno Pasolini pubblica ancora una seconda versione della Profezia e la mette nella importante raccolta di racconti, sceneggiature e progetti di film che va dal 1950 al 1965.

Al volume, pubblicato nel 1965, l’autore addirittura conferirà il titolo di Alì dagli occhi azzurri. Il titolo viene spiegato alla fine in una “Avvertenza” che descrive l’incontro con Ninetto in un cinema romano. Ninetto è un “messaggero” e parla dei Persiani.

I Persiani – dice – si ammassano alle frontiere. / Ma milioni e milioni di essi sono già pacificamente immigrati, / sono qui, al capolinea del 12, del 13, del 409 … Il loro capo si chiama: / Alì dagli Occhi Azzurri”.

Alì dagli Occhi Azzurri

uno dei tanti figli di figli,

scenderà da Algeri, su navi

a vela e a remi. Saranno

con lui migliaia di uomini

coi corpicini e gli occhi

di poveri cani dei padri

sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,

e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.

Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.

Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,

a milioni, vestiti di stracci

asiatici,e di camicie americane.

Subito i Calabresi diranno,

come da malandrini a malandrini:

” Ecco i vecchi fratelli,

coi figli e il pane e formaggio!”

Da Crotone o Palmi saliranno

a Napoli, e da lì a Barcellona,

a Salonicco e a Marsiglia,

nelle Città della Malavita.

Anime e angeli, topi e pidocchi,

col germe della Storia Antica

voleranno davanti alle willaye.

Essi sempre umili

essi sempre deboli

essi sempre timidi

essi sempre infimi

essi sempre colpevoli

 

[2] Paolo VI, Udienza generale di mercoledì 6 ottobre, in Insegnamenti di Paolo VI, 1965, v. 3, Tipografia poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1966, 548.

[3] La citazione dei mercanti al tempio di Gv 2, 15-16 v’è pure in Uccellacci e uccellini (1966), nel racconto di frate Ciccillo: parabola pasoliniana, mirabilmente interpretata da Totò, nella quale è rappresentato san Francesco, che fa un riferimento (ossimorico) alla Tesi su Feuerbach n. 11 di K. Marx: «I filosofi hanno […] interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo». Subito, senza soluzione di discontinuità, però il personaggio di san Francesco profetizza che «un uomo dagli occhi azzurri» verrà e dirà: «Sappiamo che la giustizia è progressiva […] progredisce la società, si sveglia la coscienza […] vengono alla luce le disuguaglianze […] fra classe e classe, fra nazione e nazione […] minaccia […] alla rottura della pace». Chi è costui? Nulla a che fare con  l’Alì, già nominato nel titolo di “Profezia”.

 

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