Cavalli e cavalieri

10 Settembre 2022Lorenzo Cuffini

 

 

Scritto da   NORMA ALESSIO.

 

Quando sentiamo nominare “I cavalieri dell’Apocalisse”, l’immagine che evoca in noi è quella di quattro cavalieri che seminano morte e distruzione attorno a loro. Alcune opere, decisamente “apocalittiche” e fortemente simboliche, mostrano le inquietudini dell’età contemporanea, rendendo visibili simultaneamente gli otto versetti del sesto capitolo dell’Apocalisse, ma nella descrizione drammatica si basano probabilmente sull’ultimo: “Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra” (6,8).

Infatti così gli artisti moderni li hanno raffigurati, come nel disegno di Salvador Dalì del 1970, dal titolo “Il cavaliere dell’Apocalisse”, in cui  si esprime con drammatico surrealismo, attraverso il segno, i colori forti e l’aggiunta dell’atmosfera che ritroviamo in un frammento della Scrittura sul tempo dell’apparizione dei quattro cavalieri dell’Apocalisse: “… vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna diventò tutta simile a sangue” (6,12), stravolgendo il senso dato dalla scrittura che invece è pieno di speranza.

 

 

Lo stesso soggetto lo ritroviamo in altri ambiti dell’arte,come quello cinematografico, con il film di Vincente Minnelli, remake del film omonimo di Rex Ingram del 1921, tratto dal romanzo di Vicente Blasco Ibáñez. Qui si racconta che alla fine degli anni ’30, allo scoppio della seconda guerra mondiale, Julio Madariaga, un anziano argentino, muore tra le braccia del nipote, Julio Desnoyers, profetizzando la venuta dei quattro dell’Apocalisse intesi simbolicamente con la peste, la guerra, la fame e la morte ( questo è il significato più frequentemente assegnato a ognuno di quattro cavalieri, segni che caratterizzano l’umanità).

 

 

 

Anche gli autori di videogiochi si sono cimentati su questo tema utilizzando esaltanti effetti grafici per il gioco dal titolo Darksiders. Analizzando la Sacra Scrittura nel sesto capitolo dell’Apocalisse con l’espressione “vengono”, appaiono, a seguito di una chiamata, uno alla volta dopo l’apertura dei primi quattro sigilli, altrettanti cavalieri che cavalcano cavalli di colore diverso e con differenti attributi: un arco, una spada, una bilancia e l’«inferno», a cui sono state date nel tempo dagli esegeti le interpretazioni.“Ed ecco, mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso, per vincere ancora” (6,2). “Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada(6,4). “… E vidi: ecco, un cavallo nero. Colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii come una voce in mezzo ai quattro esseri viventi, che diceva: «Una misura di grano per un denaro, e tre misure d’orzo per un denaro! Olio e vino non siano toccati” (6,5-6). “E vidi: ecco, un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano. Fu dato loro potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra” (6,8).

 

 

Inizialmente il tema era legato alla rappresentazione dell’intero ciclo dell’Apocalisse che si diffuse in tutta Europa dal Medioevo, divenendo raro dopo il XVI secolo. Da esso ne derivò la figura autonoma del quarto cavaliere come il “Trionfo della morte” (vedi post del 3 novembre 2017: https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/il-trionfo-della-morte) in cui la morte, simboleggiata solitamente con uno scheletro, avanza con una falce, talvolta seguita dal simbolo dell’Inferno. Nelle raffigurazioni più antiche, tra XI e XIV secolo, i quattro cavalieri erano rappresentati generalmente separati, come vediamo ad esempio nelle miniature illustrate da Facundus, conservate alla Biblioteca Nazionale di Madrid, per una versione del codice dell’XI secolo al Commento all’Apocalisse, scritto nell’VIII dal Beato di Lièbana.

 

 

Ancora distinti sono nell’affresco del XIII secolo, nell’abside centrale della cripta di San Magno della Cattedrale di Anagni: il primo cavaliere, l’unico con l’aureola, è su un cavallo di colore bianco e sta per scoccare una freccia in direzione del secondo cavaliere, che fuggendo si volta atterrito, vestito in origine di colore rosso, come ancora si intravvede nelle poche tracce rimaste;  il terzo cavaliere nudo, scuro e alato, con la bilancia in mano, insegue il quarto cavallo dal colore verdastro.

 

 

Non rimane quasi nulla della tradizione apocalittica nel dipinto di Carlo Carrà del 1908, conservato all’Art Institute of Chicago, che risale al suo periodo futurista. Rappresenta – attraverso i colori dati ai cavalli difficilmente distinguibili- il dinamismo del movimento: i cavalieri visibili sono tre, due dei quali figure femminili che anziché cavalcare con determinazione, sembrano piuttosto trascinate nella corsa dei loro cavalli. Il quarto cavaliere monta un cavallo bianco e non verde, è rappresentato con una figura di donna nuda che non porta nessun attributo che la indichi come portatrice di distruzione. La morte è il quarto cavaliere, che dovrebbe cavalcare il cavallo verde, mentre qui, per assumere una posizione centrale e dominante, cavalca il terzo, reggendo un’asta, forse come ricordo del bastone della falce, e appare avvolta in un manto rosso che si gonfia e nasconde il secondo cavaliere. Il terzo cavallo quasi si rovescia trascinato nel vortice della cavalcata.

 

 

 

Non ci sono colori a contraddistinguerli, ma solamente gli attributi nel gruppo scultoreo in bronzo “I quattro cavalieri dell’apocalisse e il bianco cavallo della pace, del 1973, posto nei Giardini pubblici Indro Montanelli a Milano, di Harry-Pierre Rosenthal : uno scultore viennese, ebreo, sfuggito alle persecuzioni naziste, convertitosi al cattolicesimo. È formato da quattro statue di cavalieri con basamenti di diversa altezza collocati a distanza l’uno dall’altro come sono nel testo biblico; due cavalli sono rampanti, uno è slanciato in avanti e uno è fermo. L’artista ha introdotto una quinta statua con un solo colore simbolico: il “bianco” indicante la trascendenza divina (Dn 7,9) realtà propria del Risorto (Ap 1,14-18) come riporta il Teologo Marcello Marino; è senza basamento, un cavallo senza cavaliere, fermo, intento a brucare l’erba, quasi in disparte a testimonia della  profonda e originale religiosità dell’artista.

 

 

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