Che miracolo! (2)

18 Luglio 2020Lorenzo Cuffini

 

 

Scritto da  MARIA NISII.

(La prima parte dell’articolo è stata pubblicata sul blog l’11 luglio 2020, e la puoi leggere a questo link: https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/che-miracolo )

 

 

Tornando ai nostri riscrittori degli anni più recenti, notiamo come questa posizione persista anche in Emmanuel Carrère nella sua riscrittura dell’opera lucana (Il Regno, 2015):

«noi, i moderni, preferiamo dimenticare i miracoli, nasconderli sotto il tappeto […e fare di Gesù…] una specie di psicanalista capace di guarire le ferite segrete, rimosse, di natura psichica e fisica, grazie soltanto al potere dell’ascolto e della parola» (Il Regno, p. 284).

Questo «imbarazzo da miracolo» colpisce alcuni, ma non indifferentemente tutti. In Gesù figlio dell’uomo di Kahlil Gibran (1928), un testo composto da numerosi racconti brevi in cui si dà la parola ai tanti che Gesù l’hanno incontrato o di lui hanno sentito parlare, Filemone – uno dei personaggi inventati – un farmacista greco e dunque un pagano, riferisce:

«Guariva malattie sconosciute ai Greci e agli Egizi. Si diceva perfino che richiamasse in vita i morti. Che questo risponda o meno a verità, testimonia comunque il suo potere; perchè solo a colui che ha compiuto grandi cose vengono attribuite cose grandi» (p. 21)

Nella stessa raccolta, dalla voce della sposa di Cana leggiamo:

«non provai stupore: perché già nella sua voce avevo udito i miracoli» (p. 32).

È però nelle parole di un pagano, Malachi di Babilonia, astronomo, che troviamo il più bel resoconto del libro sul tema:

«Questi miracoli di cui ti ho parlato li ritengo piccola cosa rispetto al miracolo più grande: lui, l’Uomo, che ha percorso le vie della terra, e ha trasformato in oro le mie scorie, e mi ha insegnato ad amare quanti mi odiano, e nel far questo mi ha dato conforto e ha ispirato dolci sogni al mio sonno. Nella mia esistenza è questo il miracolo. L’anima mia era cieca, l’anima mia era storpia. Ero preda di spiriti tormentosi, e giacevo privo di vita. Ma ora vedo con chiarezza, ed è eretta la mia persona. Sono in pace e sono vivo, per rendere testimonianza e proclamare il mio esistere a ogni ora del giorno» (p. 92)

Per ridire il miracolo, qualcuno ha pensato di usare parole diverse, per deviare dall’interpretazione classica o per aiutare a ripensarli. È il caso di Amélie Nothomb, nel recente Sete  (2020), in cui i miracoli nascono dal corpo, da un potere avvertito sotto la pelle che, in mancanza di parole adatte, Gesù stesso definisce «scorza». Per ottenere quello sforzo egli ha dovuto annullarsi, dimenticare la sua parte spirituale ed essere solo corpo:

«Non sono mai stato altro che me stesso, ma ho l’intima convinzione che questo potere lo possiedano tutti. La ragione per cui se ne fa così poco uso, è l’enorme difficoltà del procedimento. Occorrono coraggio e forza per sottrarsi allo spirito, non è una metafora» (p. 23).

Ancora adottando il punto di vista di Gesù, ma in questo caso con risultati migliori, in Cominciò in Galilea di Stefano Jacomuzzi (1995), la prostrazione fisica esprime piuttosto un senso di vicinanza al dolore umano:

«Scendono le ombre e desidero che la notte venga rapida, profonda. Per circondarmi del suo silenzio. Ma davanti alla casa di Simone vedo arrivare gente sempre più numerosa. Sono malati, soli o accompagnati da amici e parenti, e mi gridano la loro pena e piangono e hanno piaghe brutte, e tremano in tutte le membra, brancicano ciechi nell’aria vuota. Alzo gli occhi al Padre e tutta quella sofferenza mi cala addosso come un manto di stanchezza estrema. Poi mi metto a benedire, a toccare, a guarire» (p. 39).

Il miracolo in quanto fatica del corpo si presenta come un’alternativa alla completa rimozione, un’interpretazione più vicina alla sensibilità moderna, perché, pur non annullando l’elemento soprannaturale, «umanizza» (talvolta anche normalizza) l’evento che lì si dispiega. Lo ritroviamo infatti, in un’interpretazione molto efficace, anche nel film Maria Maddalena di Garth Davis (2018), in cui vediamo un Gesù interpretato da Joaquin Phoenix (da cui sono tratte le due immagini precedenti) che si sdraia accanto a un uomo per ridargli la vita, e appare fisicamente spossato dopo le guarigioni. Un film «fisico», che parla del corpo, come il romanzo breve di Nothomb, centrato sull’incarnazione. Perché il miracolo è anche una faccenda di corpi e il cristianesimo, in proposito, dovrebbe saperla lunga!

 

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