La lavanda di Gesù (1)

11 Novembre 2023Lorenzo Cuffini

 

Scritto da MARIA NISII 

Di piede in piede.(6)

Praticamente succede questo, Giulio. Li invita a cena e, mentre stanno cenando, li sorprende con un agguato. Li attacca affrontandoli da sotto, dal basso: Lui ch’è venuto dall’Alto per illuminare i bassifondi, gli scantinati, i sottoscala. Si mette a maneggiare i piedi, che sono i ripostigli delle sciagure. Li sfida da rasoterra. Sono uomini boriosi di cuore. Quell’Uomo, accartocciato ai loro piedi, ha la bellezza di un imperatore; trasuda un’imperiale tristezza, ha un’amarezza allegra in viso. I piedi son piante, Giulio: le piante dei piedi. Non han radici, però: son fatti per muoversi. I piedi di quei discepoli sono anche la loro memoria: nei loro piedi sono registrate le terre attraversate, le strade percorse, la polvere respirata. Le scarpate risalite. […]

Quando passa, di piede in piede, non guarda di chi sono i piedi: li lava tutti senza sapere a chi appartengano. E li bacia tutti, a uno a uno: non vuole che gli amici rimangano statue di marmo dentro il museo, coi piedi freddi, il cuore gelato. Siccome sa che stanno per farlo fuori – perché lui lo sa già – decide che questo sarà il suo ultimo gesto.” (Marco Pozza – “Alla fine è sempre all’improvviso” p. 200-201)

Non abbiamo esaurito (purtroppo e per fortuna) tutto il ventaglio di possibilità che la Bibbia offre in termini di immagini e metafore attorno al tema dei piedi. E tuttavia non possiamo non concludere con la pagina più alta che sia stata scritta in proposito, una pagina che non casualmente si collega all’inizio del nostro percorso, quando i piedi erano quelli del messaggero di buone notizie (https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/di-piede-in-piede). Ma andiamo per ordine.

 

 

La pagina con cui qui abbiamo aperto è tratta da un bel romanzo di Marco Pozza, cappellano delle carceri di Padova, che nella storia raccontata in Alla fine è sempre all’improvviso mette in scena proprio un prete da carcere e un detenuto. Le parole riportate sono quindi quelle che pronuncia il prete per spiegare il Vangelo durante la messa che celebra nella cella del giovane sbandato, che lentamente sta cambiando vita. E pure i suoi piedi, come quelli dei discepoli di Gesù, faranno molta strada…

https://soundcloud.com/circololettori/la-mia-anima-e-triste-fino-alla-morte-marco-pozza?in=circololettori/sets/torino-spiritualita-2023

[per recuperare l’incontro con l’autore a Torino spiritualità]

 

 

 

Come in altri casi, il gesto del lavare i piedi non è una novità di Gesù. Nell’Antico Testamento, anche al di là dell’ovvia pratica igienica, significa infatti accoglienza, come emerge nel celebre testo di Gen 18,1-5:

Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».(Gen 18)

Un segno di ospitalità che ai tempi di Gesù era ben noto, come si legge in Lc 7,44-46 ove invece è disatteso:

E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi.

Un gesto che veniva eseguito dalla servitù, a cui era affidata quella parte del corpo che – come visto in precedenza – non godeva di grande reputazione: “Si tratta di ciò che sta in basso, di ciò che tocca fare all’inferiore, al subalterno, allo schiavo, anche alla donna, in una gerarchia indiscussa e indiscutibile” (Nault p. 13). È così che la interpreta di fatto Abigail, quando informata dell’intenzione di Davide di farla sua sposa in 1Sam 25,41:

Ella si alzò, si prostrò con la faccia a terra e disse: «Ecco, la tua schiava diventerà una serva per lavare i piedi ai servi del mio signore».

Gesù riproduce il gesto di ospitalità eseguito dallo schiavo, cambiandogli però modo e significato. Non li lava infatti in vista del pasto, ma durante il pasto (Gv 13,2):

Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.(Gv 13,14-17)

Il gesto che veniva eseguito dallo schiavo o dalla donna è ora riprodotto dal maestro, il quale vuole in questo modo dare l’esempio affinché anche i suoi discepoli lo proseguano istituendo una tradizione (con l’esplicito comando a ripeterla). Non si tratta più infatti di accogliere e ospitare, bensì di mostrare il servizio a cui sono chiamati. Un servizio (o sacramento, come è stato definito) al fratello, che Adolphe Gesché ritiene potrebbe essere introdotto nelle celebrazioni domenicali senza presbiteri.

 

 

Scelgo di commentare questo episodio giovanneo, attingendo dal testo già citato di François Nault, La lavanda dei piedi (Qiqajon, 2012), che pone un forte accento sul tema del corpo qui denudato, coperto solo da un asciugamano, come sarà il corpo torturato e nudo sulla croce:

“Se nel racconto sinottico dell’ultima cena Gesù dice: Questo è il mio corpo, qui il Vangelo di Giovanni mostra il corpo. A cominciare da quello di Gesù, che viene esibito, letteralmente messo a nudo. Carne consegnata, prima della sua morte. […] Il corpo nudo del Figlio di Dio che si offre allo sguardo – e oltre, in una passività estrema, orante […], quel corpo nudo sarebbe forse ancora tollerabile se si limitasse a fare questo: mostrarsi. Ma no, tocca pure. Lava. Lava dei piedi e li accarezza.” (p. 13-14)

Senza tralasciare, ma anzi evidenziando la scandalosa portata erotica del gesto, Nault richiama una scena di Pulp Fiction:

“Del resto è per questo motivo che appare giustificato il gesto di Marsellus Wallace nel film Pulp fiction di Quentin Tarantino: fa scaraventare giù dalla finestra quel disgraziato che ha avuto la cattiva idea di massaggiare i piedi di sua moglie” (p. 14).

 

 

Che fosse la scandalosità o l’abbassamento che l’atto richiede, certo è che la prassi istituita da Gesù ha suscitato forti resistenze, come mostra sin da subito la reazione indignata di Pietro (Gv 13,8), tanto che oggi possiamo affermare senza dubbio che tale prassi sia stata un fallimento e forse persino un fallimento programmato: Gesù “ha prescritto ciò che non poteva verificarsi, quando ha scelto di istituire il ‘non istituibile’” (p. 18).

(cont.)

 

 

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