Non è qui,è risorto!

17 Aprile 2022Lorenzo Cuffini

 

Scritto da  NORMA ALESSIO.

 

In questo periodo così pieno di immagini di dolore, non propongo opere d’arte riferite ai momenti della Passione di Gesù. Su questo tema rimando comunque al post (*) del 13 aprile 2019 “La via crucis del terzo millennio a JasnaGòra” in cui l’autore, il polacco Jerzy DudaGracz, dipinge la Passione di Gesù attualizzando il mistero della Croce, accostandola al dolore dell’uomo di oggi. Come cristiani siamo chiamati a essere portatori di speranza nella salvezza e la nostra fede porta a concentrarci sulla risurrezione di un corpo, quello di Cristo; partendo dall’ultima affermazione sulla rappresentazione della Crocifissione di Tintoretto nel blog “Tutto è compiuto“ del 2 aprile 2021 (**) –  Egli è già sorgente di vita e di salvezza per coloro che volgeranno a lui lo sguardo –  metto a confronto alcuni modi di interpretare l’avvenimento della Resurrezione da parte degli artisti.

 

(1)

 

La formella di ceramica invetriata della quattordicesima stazione della Via dolorosa Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro” di Mimmo Paladino (1), del 2015, nella Cappella del Centro Pastorale C. M. Martini dell’Università Milano-Bicocca, rappresenta il punto di arrivo della via crucis, il “riposo del sabato santo”, quel sabato regno del già-e-non-ancora, oltre il quale ci viene dato di vedere la luce e la gioia della Pasqua. La formella non contiene una descrizione o un’illustrazione, ma solo un segno pittorico che fa pensare che il sepolcro stia per schiudersi diventando uno speranzoso atto di qualcosa che inizia, simbolo di una morte affrontata ma sconfitta e della nuova vita che avanza.

 

(2)

 

Questo lo possiamo vedere nella Resurrezione (2) dipinta tra il 1512 e il 1516 da Mathis Gothard o Neithardt, meglio conosciuto come Grünewald, parte della seconda faccia dell’altare del monastero di Isenheim, realizzato su tavola, ora custodito nel Musée d’Unterlinden a Colmar. Grünewald dipinge Gesù in una dimensione fortemente dinamica e mistica, come se fosse una visione: la scena si svolge in una notte stellata, a differenza dei dipinti della storia dell’arte italiana dove il Risorto appare all’aurora. Gesù  non ha né croce né stendardo, a differenza di come lo si identifica di solito: sospinto da un vortice di potenza si innalza dal sepolcro, lascia il sudario, di colore da un bianco ghiaccio all’azzurro, con una veste regale rossa tra i diversi toni del lilla e del rosa, esplodendo nella massima luminosità del giallo, mentre il gesto delle mani, segnate dalle stimmate, trasforma la posa della crocifissione in un grandioso saluto di pace; i lineamenti del volto sono quasi cancellati dalla luminosità del cerchio che lo avvolge e da lui generato, lo sguardo rivolto al fedele accenna un sorriso e tutto appare trasfigurato in una condizione nuova, l’annuncio di un mondo nuovo.

 

(3)

 

Troviamo la stessa impostazione figurativa nell’imponente scultura moderna autoportante in bronzo e ottone (3,4) realizzata da  Pericle Fazzini dal 1972 al 1977 su commissione di papa Paolo VI del 1965, al termine del Concilio Vaticano II, incentrata sulla necessità di portare Cristo al mondo moderno. È in Vaticano, collocata sul fondo del palco in corrispondenza della volta parabolica della grande Aula delle udienze (ora Aula Paolo VI), progettata dall’ingegnere Pier Luigi Nervi e inaugurata nel 1971. Si tratta di una scultura lunga venti metri, alta sette e profonda tre: è stata certamente vista e continua a esserlo da una moltitudine di persone in occasione di riprese televisive delle grandi udienze dei Papi, ma forse non è conosciuta nel suo significato artistico e religioso.

 

(4)

 

«La terra tremò, sta scritto nel Vangelo, quando Cristo morì – scrive lo stesso Fazzini – ma io ho immaginato la Resurrezione dall’uliveto, successiva a una catastrofe: Cristo vola via spinto dal vento, si libera dal velo mortuario… Cristo risorto dalle rovine… che non vuole considerare il suo abbraccio col Padre come un addio agli uomini». «Mi sono venute in mente tutte le guerre e tutti i tradimenti del mondo. Per questo ho pensato di creare il Cristo come se sorgesse dallo scoppio di questo grande uliveto, luogo di pace delle ultime preghiere. Il Cristo risorge da questo cratere apertosi dalla tomba nucleare; risorge con impeto e pacatezza insieme per ascendere in cielo. Il tutto a forma di mezza ellisse o calotta dell’universo o meglio ancora di arcobaleno quando si estende dalla collina al mare del mio paese»… «È stata una grande preghiera», in essa «ho dato tutto me stesso, a volte lavorando come in trance… come se qualcosa sopra di me guidasse la mia mano e il mio cervello perché potessi raggiungere il cielo»….«La fede è il movente della speranza e la speranza è Dio e quando ho lavorato a La Resurrezione, Dio era dentro di me», ebbe a dire ancora lo scultore.

 

(5)

 

Nella quindicesima stazione della via Crucis (5) dell’artista contemporaneo Franco Nocera, nella Chiesa del Monastero Santa Caterina a Palermo, il momento della Resurrezione è riletto in maniera libera e personale, soprattutto attraverso il contrasto cromatico: il giallo crea una sorta di fontana luminosa, in cui si intravvede una forma umana in un movimento non ben definito, che s’innalza da un sepolcro, irresistibilmente, verso l’alto, attraversando lo spazio nero delle tenebre.

Dal secondo paragrafo al n. 647 del Catechismo della Chiesa Cattolica, si possono trarre le considerazioni finali: “… nessuno è stato testimone oculare dell’avvenimento stesso della risurrezione e nessun Evangelista lo descrive. Nessuno ha potuto dire come essa sia avvenuta fisicamente. Ancor meno fu percettibile ai sensi la sua essenza più intima, il passaggio ad un’altra vita. Avvenimento storico constatabile attraverso il segno del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli Apostoli con Cristo risorto, la risurrezione resta non di meno, in ciò in cui trascende e supera la storia, nel cuore del mistero della fede”.

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