Io, che amo solo Te

Scritto da  LORENZO CUFFINI

 

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

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Guarda questa gente. Guarda quanti lo seguono. Lo si vede appena.

Circondato, quasi. Protetto? Forse. Comunque nel mezzo dei suoi  piu’ fedeli.

Sono pochi, a contarli. Dieci, dodici forse. Procedono in gruppo. Guarda che facce mettono su, guarda che occhiate. Sorvegliano, vigilano, fanno la guardia. Fermano tutti quanti si avvicinano troppo, e quelli che si lanciano incontro al loro Rabbi.  Sarà difficile arrivare da lui. Impossibile. Specie per me, che sono rimasta intruppata nella folla che viene dietro a loro. Una folla rumorosa, disordinata, ondeggiante. C’è di tutto qui dentro. Parlano, fra loro. Si raccontano. Io sono qui per questo, io per quest’altro. A sentirli, è  gente che ha avuto mille cose.

Tutto il bene, tutto il male del mondo.

Parlano, parlano, parlano. Si incespicano, e parlano. Guardano ansiosamente avanti, e parlano. Allungano il collo per vedere, e parlano.

Io, no. Che ho da dire, io? Io lo so bene, perché son qui. Benissimo, lo so.

E non è per raccontarlo agli altri, per confrontarmi con loro, per ascoltarli. Per convincere che ho più titoli, più meriti, più urgenze. Degli altri, non mi importa nulla. Li vedo, certo: perché sono un ostacolo tra me e Lui. Un ostacolo anonimo e chiassoso, esaltato e indiscreto. Una barriera che si interpone continuamente:  rumorosa, fastidiosa, inutile per me.

Io sono qui per Lui. Sì’, Rabbi: io sono qui per Te.

La ragione della mia vita, il lume dei miei occhi, mia figlia, è malata: la perdo, ogni giorno di più. Indemoniata, mi hanno detto. E adesso, quando lo dicono, abbassano la voce, coprendosi la bocca, tirandosi il velo sulla testa. Le fanno il vuoto intorno, i bambini la sbertucciano per strada, la gente scantona se la incontra. No. Con lei così, io non ho piu’ niente.

Niente, tranne Te. Te solo. E non Ti perderò. Non Ti lascerò di certo per cercare altre strade, altre vie di uscita, nuove avventure. No. Non lo farò. Io non rinuncio. Griderò. Ti chiamerò.

Pietà! Pietà di me!

Ti chiamerò. Ti chiamo:

Signore, figlio di Davide!

La gente mi guarda: sorpresa, infastidita, indispettita. Le bocche tacciono, ma gli occhi no. Dicono, quegli occhi: ma che vuole questa? Ma chi è? Ma che strilla?

Butto uno sguardo avanti: adesso Lo vedo, il Rabbi. Niente, nessuna reazione, non si ferma, non rallenta, non si volta, niente. Bisogna gridare piu’ forte, allora. E mi raschio la voce e urlo con quanto fiato ho in gola: pietà di me Signore, Figlio di Davide!!!!

Non è possibile che non mi si senta. Quelli che mi sono piu’ vicini si accigliano, qualcuno si tappa le orecchie, e qualcuno mugugna, brontola, scuote la testa. Gli sguardi di riprovazione si moltiplicano.

Signore! Figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio!

Massì, l’ho detto. Anzi l’ho scagliato fuori: con tutto il dolore, la rabbia, la frustrazione, il senso di ingiustizia che ci sento e che ci metto dentro. Tormentata! Indemoniata!

La gente, questa volta, si arresta. Si ritrae, gira la testa, china lo sguardo. Si apre un piccolo vuoto attorno a me, quasi che un contagio spaventoso potesse propagarsi da quelle parole…tormentata da un demonio. La gente è molto attenta, e molto sensibile su certe cose. Molto paurosa, anche. Ma soprattutto, bada molto bene a quelli con cui si mescola e familiarizza. La gente ha molte cose a cui tenere. Molte cose importanti. Molte cose che ama. La dignità, intanto. L’amor proprio, intanto. Il senso di sé, intanto. Il decoro sociale, intanto.

Io non ho più niente. Niente di tutto questo. Io ho solo più Te. Per me, adesso conti Tu solo. Se amo qualcosa, è Te che amo, adesso. Io, che amo solo Te, sono venuta qui per questo. Per parlarti, per incontrarti, per domandare. Non mi importa d’altro. Non mi cacceranno, non mi zittiranno. Mi pianterò qui, senza indietreggiare. A costo di fermarmi qui. A costo di stare qui con loro. A costo di dare a Te tutto il mio tempo, tutto quello che resta della mia gioventù ormai spenta.

Approfittando del vuoto che mi hanno fatto intorno, sono corsa avanti, ho guadagnato posti. Risalgo la colonna. Sono su, sempre più su, ora vedo le spalle di quelli che gli fanno cerchio intorno: sono arrivata dietro ai suoi. E sento pure quello che gli dicono:  «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!».

E infatti io grido, e continuo a gridare. Quelle grida scomposte, quella violenza della voce, unita a quelle parola inquietante – indemoniata! – aumentano il sospetto e la preoccupazione di quelli che indietreggiano mente io avanzo.

Il rabbi però non si ferma, non rallenta, non mi guarda. Sento che dice: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».

Un tuffo al cuore, un colpo. Lo so: io sono Cananea. Ma io, che amo solo Te, non me ne faccio più cruccio. Non più. Non adesso. Non io. Non con te ormai vicinissimo. Con un piccolo scatto,  mentre c’è  uno sbandamento dei suoi d’intorno e una loro esitazione, sono davanti a Lui. Son lì, mi getto a terra, sono ai suoi piedi. Una cosa sola mi martella in testa, quella cosa sola mi esce dalle labbra, gliela dico: Signore aiutami.

E Lui si ferma. Risponde. Sento la sua voce. Non so se parla a me, in verità. Sento però le sue parole: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini

Contemporaneamente,  mani che mi afferrano, cercano di alzarmi da terra, di tirarmi su. Mi dicono di togliermi, di levarmi da lì, di andare via. Non li ascolto. Sono inchiavardata al suolo. Una roccia. Non mi muovo, non mi sposto. Ferma, immobile, piantata. Io ho avuto solo te, e non ti perderò. Non ti lascerò certo adesso, per cercare chissà quali nuove illusioni.

Però, quelle parole… gettarlo ai cani! Sento le lacrime montarmi agli occhi, le ricaccio furiosamente in gola. La voce che mi si è mozzata, la ritrovo. Il cuore mi picchia così forte che temo mi si spacchi il petto. Ma sono calma, ferma, pacata e certa di quel che dico, quando alzo la testa, lo fisso in volto e – io! io!- gli parlo: ” Vero, Signore. Ma anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni..».

Cala un momento di gelo, tutti restano spiazzati.

Scometto che si guardano interdetti, incerti, imbarazzati, E che guardamo il loro Rabbi, i suoi amici intorno. Dura un attimo. Poi parla Lui. : «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».

Un breve istante. E’ successo realmente? E’ successo. Una gran tranquillità mi allaga. Fuori da me, intanto, tutto si rimette in moto. Il rabbi, i suoi, la folla ondeggiante. Riprendono il passo,  arrivano, mi affiancano, mi sopravanzano, passano oltre, sono andati. Resto solo io, nel mezzo della strada. Sola.

Dovrei balzare in piedi. Dovrei correre a casa. Dovrei andare a vedere. Dovrei precipitarmi a controllare. Dovrei verificare.

Ma io non vado da nessuna parte. Perché io lo so. Perché ho sentito le sue parole. E io lo so Rabbi, che come hai detto, è stato. Io, lo so. Io, che amo solo Te, tornerò: mi fermerò e ti regalerò quel che resta della mia gioventù.

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Io che amo solo te
Brano di Sergio Endrigo

 

  • Questa canzone è un esempio di  Riscritture Inconsapevoli:  Canzoni scritte dai loro autori  per motivi e contesti tutti diversi, eppure in grado di rappresentare, almeno a qualche orecchio, un pezzo di Scrittura, che si riscopre lì dentro, come inconsapevolmente richiamata.

 

 

Il grande salto

Scritto da  LORENZO CUFFINI.

 

#Riscritturainconsapevole della Assunzione di Maria

 

Diciamocelo con franchezza.

Il Mistero è una cosa che, istintivamente, ci attrae e ci affascina.

Se si tratta di un mistero di fede, ci viene in soccorso la spiegazione teologica, con la limitazione che sempre di una spiegazione molto “sui generis” si tratta, essendo i due termini, mistero e spiegazione, l’uno una contraddizione in termini dell’altro.

Per questo l’artista , che si muove frequentemente per intuizioni, e secondo un linguaggio più emotivo che razionale, quando si pone il problema di come  esprimere l’inaudito, coglie dei risultati magari parziali  e soggettivi, ma certamente soddisfacenti, come se accendesse un faro , o almeno una fiammella, sull’ignoto che vuole raccontare.

Ma non è finita qui.

Come si cerca di illustrare parlando di #riscrittureinconsapevoli,  puo’ anche darsi un caso contrario. Davanti a un’opera che parla di tutt’altro,  si possono cogliere delle sensazioni e delle piccole illuminazioni che possono  farci  entrare in assonanza con un determinato mistero, gettando un chiarore inatteso e consentendoci  uno sprazzo di comprensione in più.

Prendiamo il fatto che la Chiesa celebra il 15 di agosto: l’Assunzione di Maria.

Dogma recentissimo, del 1950, che così afferma, e rende verità di fede: “…l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».

Dunque, un Mistero che ne compendia e ne riassume almeno altri due: quello della Immacolata Concezione, e quello della Verginità della Madonna. Siamo nel campo dell’inspiegabile, naturalmente. Tuttavia, mentre il primo caso investe una questione eminentemente teologica  (Maria concepita “senza ombra di peccato originale”) il secondo e l’Assunzione investono centralmente la fisicità e la corporeità della madre di Gesù.  I teologi storceranno il naso, ma potremmo anche parlare, per questi, di dogmi del corpo. E la cosa non deve stupirci, dal momento che la nostra religione è fondata sul principio della incarnazione di Dio stesso: Dio che si fa carne. Dunque: anche carne che si fa Dio. Maria, colei che con il suo assenso, rende possibile questa dimensione del Dio incarnato, diventa essa stessa parte, attore e protagonista di questa dinamica. Restando, tuttavia, vera donna e vera madre.

E’ questo il doppio piano di lettura, il binario che deve essere sempre percorso , ben poggiati sulla unicità della Vergine da una parte , e sulla sua normalità come persona dall’altra. Gesù è vero Dio e vero uomo:  a maggior ragione Maria è vera Madre di Dio e vera, verissima donna. Se abbandoniamo questo binario,  se lo rendiamo una monorotaia che considera solo uno dei due aspetti, finiamo col deragliare nel devozionalismo campato per aria, o, al contrario, nella negazione della natura di Maria come protagonista attiva e libera (in certa misura “indispensabile”) al progetto di salvezza, come Dio – secondo i cattolici –  lo ha concepito.

L’Assunzione al cielo costituisce il momento del compimento definitivo di questo mistero. Che è tale solo se visto contemporaneamente nelle sue due facce. Unisce definitivamente il destino della Madre a quello del Figlio,  entrato nella gloria con anima e corpo. Con Maria, si riaprono in qualche modo i cieli, e un altro corpo fisico, materiale, di carne e ossa, oltre che spirito, entra nella dimensione eterna della pienezza vera e senza fine.

Da notare che questo compimento, non avviene in sincronia con i tempi del Cristo: così’ come esiste un prima, di Maria senza Gesù, fino all’Annunciazione, così esiste un suo dopo, senza Gesù. E come da madre ha conosciuto la trepidazione della attesa, il dolore del parto, l’esperienza  di essere mamma, così da madre conosce la tragedia del Calvario, la sepoltura del Figlio, l’esperienza della sua Resurrezione, il  distacco “definitivo” dell’Ascensione.

E’ lecito chiederci: questo secondo atto della vicenda straordinaria della ragazza di Nazaret, cosa avrà significato per lei?

La solitudine. Il ricordo che non consola e si fa struggimento. Il desiderio ( ma quanto lecito e quanto paralizzante?) di essere custode vivente della memoria. La sensazione di essere restata viva, sì, ma monca. Senza ali. Pesante. Il rimpianto, chissà se e quante volte cullato, di  non essere morta insieme al figlio  (in The Passion, Maria ai piedi della croce, abbraccia i piedi intrisi di sangue del figlio crocifisso, e baciandoli con passione si volge a lui e lo prega: Figlio, lasciami morire con te.) E invece  ricevere dal suo Consolatore , nalla Pentecoste, nuova forza e nuovo senso, e in questo trovare salvezza e ragione di vita.

La Maria del dopo non è più la ragazza infiammata e visionaria del Magnificat. E’ una donna matura, invecchiata, in cui si è realizzata l’amara profezia di Simeone: una spada le ha veramente trapassato l’anima. Ciononostante , per l’investitura ricevuta sul Calvario, è madre della prima Chiesa, quella ai primi passi, quella apostolica, quella  originaria. E su questo avrà puntato – come gli apostoli stessi – ogni energia, ogni modo di vita, ogni orizzonte, mettendo a tacere il suo lato più umanamente provato.

Eppure: quanto spesso e quante volte, l’onda di questi sentimenti di vera donna e di vera mamma sarà montata in lei? La roccia della fede e della missione non annulla l’amore e la natura materna, semmai la sublima: per quanto salda sia e incrollabile, è come uno scoglio che viene investito dalla marea crescente, dal mare del sentimento ardente. Per quanto  gli si possa opporre la volontà, dire non voglio, i momenti in cui la mente, la memoria e la speranza ti afferrano e ti portano a volare fuori dalla realtà ci sono. Tornano. Magari aumentano, con la stanchezza della età e la fatica degli anni. E tanto più si fa arduo e accidentato il cammino giornaliero, e incerto e indebolito il passo, tanto più assumono colore, fascino, spessore e verità i viaggi dell’anima tua: tra  salite vertiginose verso l’alto, e repentini ritorni a quel che ti circonda, tra ebbrezze spirituali e  deserti che ti attendono per essere percorsi, sempre uguali…

Così, forse,  la vera donna Maria, pur riempita di Spirito Santo e resa Madre della Chiesa, avrà vissuto la sua seconda parte, anche essa – come la prima-  in attesa e in speranza, serbando ogni cosa passata e presente nel suo cuore, e proiettata  verso un futuro di incontro. Di re-incontro. Di ri-abbraccio. C’è un particolare commovente  in un dipinto del ‘400 del cosiddetto  Maestro di Vignola che questo incontro sospirato lo rappresenta in modo estremamente affettuoso e umanissimo: Cristo che  solleva in grembo la madre, raffigurata ormai in tarda età. Un giovane Cristo Risorto che prende in braccio la mamma anziana, invertendo le parti tradizionali della coppia. Forse sarà stato proprio così il momento , il “ grande salto” del ricongiungimento, del compimento, della Gloria.

 

Io vorrei… Non Vorrei… Ma se vuoi

Brano di Lucio Battisti

Dove vai quando poi resti sola?
Il ricordo, come sai, non consola
Quando lui se ne andò, per esempio
Trasformai la mia casa in un tempio
E da allora solo oggi non farnetico più
A guarirmi chi fu
Ho paura a dirti che sei tu
Ora noi siamo già più vicini
Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi

Come può uno scoglio
Arginare il mare
Anche se non voglio
Torno già a volare
Le distese azzurre
E le verdi terre
Le discese ardite
E le risalite
Su nel cielo aperto
E poi giù il deserto
E poi ancora in alto
Con un grande salto

Dove vai quando poi resti sola?
Senza ali tu lo sai non si vola
Io quel dì mi trovai per esempio
Quasi sperso in quel letto così ampio
Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei
Io la morte abbracciai
Ho paura a dirti che per te
Mi svegliai
Oramai fra di noi solo un passo
Io vorrei, non vorrei ma se vuoi

Come può uno scoglio
Arginare il mare
Anche se non voglio
Torno già a volare
Le distese azzurre
E le verdi terre
Le discese ardite
E le risalite
Su nel cielo aperto
E poi giù il deserto
E poi ancora in alto
Con un grande salto

Fonte: LyricFind

Compositori: Giulio Rapetti Mogol / Lucio Battisti

 

 

La calunnia, il gran monsone

 

Scritto da LORENZO CUFFINI.

 

Sia il vostro parlare sì sìno no, il di più viene dal maligno” (Mt 5,37)

 

I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; 60ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Mt 26,59-60) 

 

E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi,  piombarono addosso ( a Stefano), lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio.]Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè». (At 6, 12-14)

 

 

Rispetto ai grandi tradimenti raccontati nella storia sacra, quello di Giuda e il rinnegamento di Pietro su tutti gli altri, quel piccolo tradimento costante della verità delle cose che è la calunnia, apparentemente sembra occupare un posto di rilievo minore. Non è così. Papa Francesco, ad esempio, nei suoi anni di pontificato è ritornato varie volte e con durezza radicale su questo tema: per esprimerne una condanna decisa, ma anche per metterci in guardia tutti quanti. Sul riconoscerla e, soprattutto, dal praticarla. Parlando per esempio dei processi di Gesù e di Stefano diacono (il futuro Stefano Protomartire) che sono citati sopra, afferma:

 

Invece di chiedergli spiegazioni sono passati alla calunnia per distruggerlo. «Siccome non andava bene la lotta pulita, la lotta tra uomini buoni, sono andati per la strada della lotta sporca: la calunnia». Trovarono falsi testimoni, che dissero: «Costui non fa che parlare contro questo luogo, contro la legge di Mosè, contro questo, contro quello». Lo stesso avevano fatto con Gesù….La calunnia distrugge l’opera di Dio, perché nasce dall’odio. Essa è figlia del «padre della menzogna» e vuole annientare l’uomo, allontanandolo da Dio. .. Menzogna e calunnia vanno di pari passo, perché hanno bisogno l’una dell’altra per andare avanti.”

e anche: “Gesù lo ha detto chiaramente: chi parla male del fratello e della sorella, chi calunnia il prossimo, è omicida, uccide con la lingua

In riferimento al celebre versetto del sì/sì-no/no, precisa:

Senza questo allenamento che viene proprio dalla pratica del silenzio, può ammalarsi anche il nostro parlare”: invece di far splendere la verità, può diventare un’arma pericolosa, le nostre parole possono diventare adulazione, vanagloria, bugia, maldicenza, calunnia. È un dato di esperienza che, come ci ricorda il Libro del Siracide, ‘ne uccide più la lingua che la spada

 

Come spesso accade, nell’Arte puo’ capitare di imbattersi in qualcosa in cui il credente avverte risuonare l’eco delle parole della Scrittura. E pur trovandosi in contesti tutti diversi e privi di connotazioni specificamente religiose. In questo caso  possiamo ricordare tre esempi  particolarmente significativi. Il primo viene dal teatro, ed è il clamoroso personaggio di IAGO, nell’ Otello di Shakespeare:

 

Io verserò nell’orecchio del moro la velenosa insinuazione…tesserò le reti che li stringeranno tutti

 

Una vera incarnazione  della calunnia, figura che ne rappresenta la personificazione, impastata in modo magistrale con  maldicenza, invidia, desiderio del male,  gelosia, manipolazione. Se il versetto evangelico afferma che il “di più” nelle parole viene dal maligno, la capacità di affabulazione e di persuasione verbale di questo perfidissimo eroe negativo si meriterebbe agevolmente la qualifica di diabolico. Se non fosse che Shakespeare ne fa invece qualcosa di profondamente, lucidamente umano: ed è questo quello che ci turba maggiormente a vederlo rappresentato sulla scena.

 

Il secondo, viene dal mondo della lirica. C’ è  una pagina d’opera quasi didascalica che, pur nel lessico scherzoso e nel tono dell’opera buffa, appare come una analisi  quasi meccanica della tecnica e del funzionamento della calunnia,  Si tratta della celebre cavatina “La calunnia è un venticello” da quella geniale composizione di Rossini che è il Barbiere di Siviglia, del 1816 Dice il testo:

La calunnia è un venticello,
Un’auretta assai gentile
Che insensibile, sottile,
Leggermente, dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano, terra terra,
Sottovoce, sibilando,
Va scorrendo, va ronzando;
Nelle orecchie della gente
S’introduce destramente
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
Lo schiamazzo va crescendo
Prende forza a poco a poco,
Vola già di loco in loco;
Sembra il tuono, la tempesta
Che nel sen della foresta
Va fischiando, brontolando
E ti fa d’orror gelar.
Alla fin trabocca e scoppia,
Si propaga, si raddoppia
E produce un’esplosione
Come un colpo di cannone,
Un tremuoto, un temporale,
Un tumulto generale,
Che fa l’aria rimbombar.
E il meschino calunniato,
Avvilito, calpestato,
Sotto il pubblico flagello
Per gran sorte ha crepar.

Ma l’opera non si legge: si ascolta (e si guarda). Dunque vale la pena farlo:

 

Un salto di quasi duecento anni tondi, e si arriva al 2015 e al terzo esempio. Edoardo Bennato riscrive a modo suo il venticello calunnioso. Lo riscrive parzialmente, perché mantiene le prime tre strofe dell’aria rossiniana identiche, mentre nelle successive declina secondo l’attualità contemporanea la macchina di fango dei calunniatori.  Dice il testo di Bennato:

La calunnia è un venticello,
un’arietta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente,
incomincia a sussurrar.

Piano, piano, terra terra,
sottovoce, sibilando,
va scorrendo, va ronzando
nelle orecchie della gente
s’introduce destramente,

e le teste ed i cervelli
fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuoriuscendo
lo schiamazzo va crescendo,
prende forza a poco a poco,

può bastare
la confessione di un pentito
magari di uno che fa un nome a caso
solo perché gli salta la mosca al naso
può bastare
e una notizia per sentito dire
va prima pagina di un giornale
e poi diventa una verità ufficiale

La calunnia è un venticello
ma in un lampo diventa una tempesta
e produce un’esplosione come un colpo di cannone
un terremoto che fa tremare

un tumulto generale,
che fa l’aria rimbombar.
E il meschino calunniato,
avvilito, calpestato,
sotto il pubblico flagello
va a crepar

può bastare
una notizia per sentito dire
una soffiata più confidenziale
che è quello è un nome che porta male
e allora tocca ferro
e quel nome non nominarlo
è un pregiudizio senza fondamento
ma che ti costa rispettarlo.

La calunnia è un venticello,
un’arietta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente,
incomincia a sussurrar.”

 

 

Contenuto nel suo diciannovesimo album, il brano, per ammissione dell’autore, è dedicato a Enzo Tortora e a Mia Martini. Che, bene tenerlo a mente, nel tritacarne della calunnia, per differenti strade, ci sono finiti drammaticamente, restandone segnati a vita. Perché nella realtà , il venticello puo’ trasformarsi rapidamente in tragica burrasca. In gran monsone.

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https://www.agensir.it/quotidiano/2021/12/15/papa-francesco-udienza-chi-calunnia-il-prossimo-e-omicida-uccide-con-la-lingua/

  • L’immagine di Kenneth Branagh come Iago è tratta da OTHELLO, film del 1995, regia di Oliver Parker.

 

  • L’aria di Rossini è tratta dal Barbiere di Siviglia , dal Teatro Regio di Parma, 2005- Direttore: Maurizio Barbacini Regia: Beppe De Tomasi , ripresa di Rai5-  Interprete: Riccardo Zanellato

 

 

Fai entrare la luce !

Scritto  da  LORENZO CUFFINI.

 

La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il maleodia la lucee non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. (Gv3, 19-20)

 

Vale la pena ricordarlo. Cos’è che chiamiamo Riscritture Inconsapevoli?  Canzoni scritte dai loro autori  per motivi e contesti tutti diversi, eppure in grado di rappresentare, almeno a qualche orecchio, un pezzo di Scrittura, che si riscopre lì dentro, come inconsapevolmente richiamata.

E’ il caso, per il versetto di Giovanni  riportato, di questa strofa:

 

 

Si tratta di Let the sunshine in, brano celeberrimo dal musical  HAIR, ( autori Gerome Ragni & James Rado). Qui è riproposto in una versione particolare interpretata curiosamente da Lucio Battisti e altri:

 

 

In questi giorni, Papa Francesco a Lisbona, appena sbarcato per partecipare alle Giornate Mondiali della Gioventù, ha affermato:

” …verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale… Preoccupa quando si legge che in tanti luoghi si investono continuamente fondi sulle armi anziché sul fturo dei figli  Io sogno un’Europa, cuore d’Occidente, che metta a frutto il suo ingegno per spegnere focolai di guerra e accendere luci di speranza; un’Europa che sappia ritrovare il suo animo giovane, sognando la grandezza dell’insieme e andando oltre i bisogni dell’immediato; un’Europa che includa popoli e persone, senza rincorrere teorie e colonizzazioni ideologiche”.

 

Ascoltandolo,  ritornano alla mente le immagini, le parole, la musica della scena finale di HAIR!  in versione cinematografica:  il film di Milos Forman del 1979 tratto dal musical teatrale, e diventato, come quello, un vero  manifesto del pacifismo negli anni della guerra del Vietnam.

Il fatto è che anche oggi, e questa volta nel cuore stesso dell’Europa, colonne di giovani sono prelevate, addestrate, irregimentate,  portate a combattere e a morire contro altri giovani che – canterebbe De Andre’–  hanno lo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore. Anche nella realtà dei nostri giorni, questi ragazzi, lontano dai nostri occhi e quindi dai nostri cuori, vengono risucchiati e inghiottiti in una realtà parallela di distruzione, che rende per contrasto sideralmente lontane le piazze colorate e festanti piene di loro coetanei, intenti negli stessi momenti a inneggiare e pregare per la pace e la convivenza tra diversi.

Let the sun shine in, in questi giorni di 2023 – compresenti la GMG a Lisbona, e guerra e morti in Ucraina –  risuona in modo drammaticamente attuale e improcastinabile.

 

Dal film:

 

Dalla cronaca di oggi:

unshine In

Dal film:

 

Dalla cronaca di oggi:

 

 

Scena finale dal film HAIR:

Chi è Amalek?

Scritto da  MARIA NISII.

 

Si radunarono allora tutti gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli».Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: «Dacci un re che sia nostro giudice». (1Sam 8,4-6)

Saul è il primo re di Israele, chiesto con insistenza dal popolo che fino a quel momento – dall’ingresso nella Terra Promessa – era stato guidato dai Giudici nella lotta degli avversari (S’l in ebraico significa chiedere, interrogare, consultare: Saul è il re chiesto a Dio dal popolo). Samuele, profeta e giudice di Israele, considera tale richiesta un rifiuto dell’ordine divino, ma YHWH decide di concederla a condizione che il re si mantenga fedele alla legge.Saul invece infrange per due volte le prescrizioni: la prima volta esegue un sacrificio in assenza di Samuele, la seconda, nella campagna contro Amalek, risparmia il bestiame e il re invece di applicare la norma dello sterminio.

Samuele disse a Saul: «Il SIGNORE mandò me per ungerti re del suo popolo, d’Israele; ascolta dunque quel che ti dice il SIGNORE. Così parla il SIGNORE degli eserciti: “Io ricordo ciò che Amalec fece a Israele quando gli si oppose nel viaggio mentre saliva dall’Egitto. Ora va’, sconfiggi Amalec, vota allo sterminio tutto ciò che gli appartiene; non lo risparmiare, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini“». Saul dunque convocò il popolo e ne fece la rassegna a Telaim: erano duecentomila fanti e diecimila uomini di Giuda. Saul giunse alla città di Amalec, pose un’imboscata nella valle e disse ai Chenei: «Andatevene, ritiratevi, allontanatevi dagli Amalechiti, perché io non vi distrugga insieme a loro; infatti voi vi comportaste amichevolmente verso tutti i figli d’Israele quando salirono dall’Egitto». Così i Chenei si ritirarono dagli Amalechiti.Saul sconfisse gli Amalechiti da Avila fino a Sur, che sta di fronte all’Egitto; prese vivo Agag, re degli Amalechiti, e votò allo sterminio tutto il popolo, passandolo a fil di spada. Ma Saul e il popolo risparmiarono Agag e il meglio delle pecore, dei buoi, gli animali della seconda figliatura, gli agnelli e tutto quel che c’era di buono; non vollero votarli allo sterminio, ma votarono allo sterminio ogni cosa senza valore e inutile. (1Sam 15)

Secondo logica l’atteggiamento di Saul potrebbe apparire pietoso nei confronti del re e interessato nel risparmiare il gregge buono. È così che interpreta Riccardo Bacchelli nella sua riscrittura Il pianto del figlio di Lais (1945):

«il re aveva creduto di conformarsi all’utile della nazione col distribuire e non distruggere quelle ricchezze, mentre lasciar la vita al re Agag si poteva difendere come accorto provvedimento opportuno, per non concitare ancor di più contro Israele i già troppi nemici e già troppo inferociti dall’odio inveterato e da un timore nuovo» (p. 11).

 

 

Il testo biblico però non pare d’accordo e offre un’altra prospettiva, che può risultare spiazzante se non se ne comprende il senso. Il profeta Samuele accusa infatti Saul di aver infranto la legge e gli comunica il ripudio di YHWH: il regno passerà ad altra dinastia. Il personaggio di Saul, così delineato, scelto e presto ricusato, dovrà misurarsi con il nuovo eletto –e, come visto nell’episodio su Gionata (https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/davide-e-gionata?fbclid=IwAR07mcTEqMtJlB4ghzBDbKFEBm5ItjBKd_s7x3CG3gd6iGSZE3I47mDDNvw) un non meglio precisato malessere di carattere psichico risolve brillantemente il confronto sul piano narrativo. Nel rapporto con Davide (il giovane pastore e già unto re mentre Saul è ancora regnante), il personaggio di Saul assumerà dunque soprattutto un carattere tragico.

 

Ernst Josephson, Saul (dettaglio), 1878

 

Se ricostruiamo tale vicenda regale è perché c’è qualcosa di interessante da capire nella figura di Amalek e nella legge dello sterminio. Come visto Saul è stato punito da YHWH con il ripudio per aver infranto le sue leggi, eppure per le stesse azioni Davide “la passa liscia” (1Sam 30). Che cosa ci stiamo perdendo?

Prima di proseguire con la nostra vicenda, ricordiamo che la Bibbia è parola di Dio in parole di uomini. Per questo è tipico di tali racconti accostare in una sola trama due livelli: il progetto divino e la contingenza delle libertà umane – come commenta P. Ricœur: il testo mira a comunicare la convinzione che il progetto divino, sebbene ineluttabile, si realizza soltanto per il tramite di ciò che si definisce la riluttanza umana… si potrebbe dire che una teologia che mette a confronto l’inevitabilità del progetto divino con la riluttanza delle azioni e delle passioni umane è una teologia che genera il narrativo, o meglio una teologia che indica la modalità narrativa come la sua principale modalità ermeneutica. Se consideriamo, ad esempio, la promessa di Dio ad Abramo di essere una grande nazione e poi di lì a poco la decisione di Abramo di esporre Sara alle mire del faraone pur di salvarsi, ci accorgiamo del grande rischio che ha corso di mettere in pericolo il progetto di Dio su colei da cui ci si aspettava la discendenza (Gen 12,11-20).

Qualcosa di analogo avviene anche nella vicenda di Davide e Saul. Dal punto di vista storico-esegetico, ricordiamo che, a differenza di Saul, Davide ha operato in assenza di Samuele, rappresentante del vecchio “partito yahwista” e mediatore della parola divina (contingenza umana). La nuova via aperta da Davide non ha quindi ostacoli dopo la morte di Samuele e il nuovo profeta, Natan, non sembra mostrare interesse per tali questioni (altra questione contingente, dipendente dalla libertà umana). E tale nuovo ordine è evidente nel trattamento del bottino di battaglia contro Amalek, che a suo tempo aveva causato la riprovazione di Saul, e che ora Davide si sente libero di disciplinare secondo nuove norme, facendo partecipare alla suddivisione anche coloro che non hanno combattuto. Si tratta di un rinnovato concetto di giustizia che prevede un diverso sistema di distribuzione della ricchezza, ma è soprattutto frutto dell’audacia di un uomo che ha la stoffa per diventare re prima di esserlo a tutti gli effetti (il progetto divino si realizza mediante la contingenza della libertà umana).

Secondo Roberto Calasso, «Gli eletti non sono mai semplicemente coloro che accumulano meriti. Se così fosse, il mondo sarebbe una interminabile e tediosa lezione di morale. Con la sua ossessiva concentrazione su ciò che implica essere eletti, la Bibbia sprigiona una altissima tensione romanzesca. Eletto è chi fa procedere le storie – e la storia. Ma questo non garantisce che gli eletti facciano sempre il bene e neppure che siano alleati fra loro. Saul e David erano entrambi eletti, ma Saul tentò a lungo, e in vari modi, di uccidere David. E al tempo stesso ne era irresistibilmente attratto.

[…] David era isolato in una guaina invisibile, grazie all’occulta protezione di Samuele. E soprattutto si avvertiva in lui qualcosa di allarmante, che non si osava nominare. David non era un singolo. Era già una stirpe» (Il libro di tutti i libri, Adelphi, 2019, p. 41-2).

 

Le mani di Mosè durante la battaglia contro Amalek (Es 17,11-12)

 

A partire da qui, possiamo ora provare a offrire qualche pista di lettura sulla figura simbolica rappresentata da Amalek, personificazione del male e nemico onnipresente della storia veterotestamentaria, avversario per eccellenza del popolo. In Dt 25, 17-19 tra i precetti del pio ebreo, ricorre anche quello che ammonisce il ricordo di quanto Amalek ha fatto al popolo, ovvero l’essersi opposto al passaggio di Israele (1Sam 15,1-3). Per questa ragione viene condannato con la legge dello sterminio:

Ricòrdati di ciò che ti ha fatto Amalèk lungo il cammino, quando uscivate dall’Egitto: come ti assalì lungo il cammino e aggredì nella tua carovana tutti i più deboli della retroguardia, mentre tu eri stanco e sfinito. Non ebbe alcun timor di Dio. Quando dunque il Signore, tuo Dio, ti avrà assicurato tranquillità, liberandoti da tutti i tuoi nemici all’intorno nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti in eredità, cancellerai la memoria di Amalèk sotto il cielo. Non dimenticare!

Amalek è il male esternizzato in un nemico storico, ma può anche rappresentare il male riconoscibile nell’interiorità di ogni essere umano. Avergli attribuito un nome è una modalità narrativa di indubbia efficacia, che individua e isola la fonte di disturbo, la causa di separazione dell’uomo da se stesso.

«fra la storia e la natura c’è come un taglio: una differenza, una soluzione di continuità, un divorzio. E che io ritengo esserne responsabile Amalec: l’anti, colui che è contro. In presenza di un miracolo, l’ignorante dichiara: È una deviazione delle leggi naturali. Sbaglia: il miracolo ripara, al contrario, il divorzio fra natura e storia!» (Carlo Coccioli, Davide, p. 62).

La punizione di Saul per non aver applicato la legge dello sterminio con Amalek viene quindi riletta ironicamente da Calasso dicendo che «Saul commise allora un errore carico di conseguenze. Avrebbe dovuto ragionare da teologo o da metafisico. Ma era solo un guerriero» (p. 32). Se infatti ci fermiamo alle parole della legge divina sullo sterminio, tra le parole più dure della Bibbia ebraica, non possiamo che inorridire:

Così dice il Signore degli eserciti: Ho considerato ciò che ha fatto Amalek a Israele, ciò che gli ha fatto per via, quando usciva dall’Egitto. Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini». (1Sam 15, 2-3)

Per evitare di misurarsi con la complessità del testo, si tende a evitarne il riferimento per la violenza esplicita di cui è portatore. Invece, come visto, se Amalek non è semplicemente un nemico storico ma immagine di male, che questo vada “sterminato”, eliminato senza risparmiarne nemmeno la più piccola parte, i conti allora cominciano a tornare.

I midrash, versione giudaica di riscrittura biblica, dispiegano una grande creatività nell’interpretazione dei testi, rileggendoli alla ricerca dello spirito, ossia delle trame celate nelle profondità della scrittura. I midrash sottopongono il testo a costante interrogazione, grazie al principio dell’inesauribilità della parola rivelata: «Tutto avviene in maniera tale che questi eventi fondanti si dilatano e dispiegano le proprie conseguenze, i propri effetti, molto in avanti nella connessione storica, continuando così a essere significativi per noi» (D. Banon, La lettura infinita). Lo vediamo all’opera con un esempio relativo al nostro caso, tratto dalla genealogia dei figli di Esaù (Gen 36,22):

I figli di Lotan furono Ori e Emam e la sorella di Lotan era Timna.

Il Talmud (Sanhedrin 99b) spiega che Timna era di stirpe regale (a partire da alluf, capo senza corona detto di Lotan in Gen 36,29) e che, volendo convertirsi, si era recata da Abramo, Isacco e Giacobbe. Poiché però questi non l’avevano accolta, era diventata concubina di Elifaz, figlio di Esaù (Gen 36,12): «Meglio essere serva in questa nazione che signora in un’altra», si era infatti detta la donna.

Da quell’unione nacque Amalek, eterno nemico di Israele, il quale, così riletto, diventa il frutto del rifiuto subito da Timna, una dimostrazione di come la libera interpretazione di un nome, a partire dalla radice (mana è impedire, rifiutare; si è cioè impedito a Timna di convertirsi), sappia efficacemente ripensare all’odio di Amalek per Israele riconducendolo al rifiuto di aprirsi all’altro.

Chi è allora Amalek? Nipote di Esaù (fratello imbrogliato da Giacobbe che per questo inizia a odiarlo e desiderare di ucciderlo), Amalek sembra concentrarne i lati negativi, diventando infine una specie di simbolo di tutti i nemici che perseguiteranno gli ebrei nella storia. Da una storia di fratelli alla storia di popoli nemici, dal male che si subisce al male che si cova nel cuore. Forse un po’ troppo per il “povero” Amalek… infatti gli anziani stanno ancora discutendo…

 

Davide e Gionata

 

Scritto da MARIA NISII.

 

All’interno dell’ampio ciclo del re Davide – da 1Sam 16 a tutto 2Sam e fino a 1Re 2 (in totale: ben 41 capitoli!) – compare tra gli altri personaggi Gionata (in ebraico “Il Signore ha dato”), figlio di re Saul, primo re d’Israele. La vicenda di Gionata è trattata nei capitoli 13-31 di 1Sam.

Al suo esordio, in 1Sam 13,Gionata è descritto come un eroe:

Allora Giònata sconfisse la guarnigione dei Filistei che era a Gàbaa e i Filistei lo seppero. Ma Saul suonò il corno in tutta la regione gridando: «Ascoltino gli Ebrei!».

e poi nel cap. 14 come un credente in Dio:

Giònata disse allo scudiero: «Vieni, avviciniamoci alla postazione di questi incirconcisi; forse il Signore opererà per noi, perché non è difficile per il Signore salvare con molti o con pochi».

All’inizio Saul e Gionata sono ritratti come una squadra, ma mentre Saul è caratterizzato da debolezza, mancanza di fiducia in Dio e scarse doti di comando, Gionata è invece presentato come un guerriero coraggioso, zelante e degno successore del padre; in genere possiamo dire che la sua figura è presentata in modo positivo, al contrario di quella paterna. Nel cap. 14 inizia a emergere una frattura fra i due, quando Gionata parte in battaglia contro i filistei senza avvisare il re.

Gionata si lega a Davide con profonda amicizia, suscitando l’ira paterna già prossima alla follia per la gelosia nutrita nei confronti del giovane ex pastorello.

la vita di Gionata s’era legata alla vita di Davide, e Gionata lo amò come se stesso.

Nel cap. 18 si menziona l’amore di Gionata per Davide, che verrà ribadito più volte nel corso del racconto. Davide e Gionata si sentono infatti da subito legati l’uno all’altro:

 

Rembrandt van Rijn, Partenza di Davide e Gionata

 

I biblisti fanno notare come Gionata ami Davide contro la solidarietà che sarebbe dovuta al padre e contro i propri interessi personali. Egli infatti si è tolto mantello, abiti, spada, arco e cintura per darli all’amico (1Sam 17,4), cedendogli quindi simbolicamente il suo diritto al trono, e poi, senza mai abbandonare il padre, si allea con Davide coprendone la fuga quando il re vuole ucciderlo (20,5-11). Ma anche Davide ama Gionata e gli sarà fedele persino dopo la morte quando, a dispetto della propria spietatezza, chiede: C’è ancora qualcuno della casa di Saul, al quale possa fare del bene per amore di Gionata? (2Sam 9,11). Il patto di amicizia tra i due ha dunque effetto sul futuro: non l’odio di Saul, ma la fedeltà di Davide verso Gionata.

È noto come su questo amore si sia molto speculato talvolta sottolineando l’aspetto politico, talaltre l’amicizia fraterna, fino a ipotizzare una relazione erotica-omosessuale. Secondo la biblista Donatella Scaiola (Davide: un re, un credente, un uomo, Ed. Messaggero), Gionata è presentato come un personaggio “perfetto” sin dall’inizio, e rimane sempre caratterizzato da una grande generosità e fedeltà sia nei confronti di Saul che di Davide. La sua mediazione risolve il problema postosi sin dall’inizio, ovvero come Davide possa diventare re pur essendo stato unto. Abdicando al suo diritto al trono, Gionata di fatto favorisce e rende possibile la transizione tra Saul e Davide.

Come ormai sappiamo, laddove la Bibbia è ellittica, gli autori contemporanei si muovono con più agilità. Vediamo allora come due riscritture, molto diverse tra di loro, scelgano di raccontare la relazione tra i due uomini.

 

 

Carlo Coccioli in Davide (1976) adotta il punto di vista di Davide – uno dei modi del riscrivere, ovvero lo slittamento della focalizzazione.

«Vidi il principe Gionata, il figlio di Saul, e le nostre anime si attaccarono» (p. 79), afferma Davide narratore nel primo di una serie di richiami di quel sentimento iniziale. E poi ancora: «Circolò in Israele una versione atroce: quel ‘tu parteggi’, interpretato come ‘tu ami’, accusava Davide di essere l’amante carnale di Gionata» (p. 126), e riprendendo una voce che circolava: «Si amano, si amano, bisogna essere ciechi per non vedere che si amano, si amano al punto che si somigliano!» (p. 127).

Del resto lo stesso Coccioli scrisse anche Fabrizio lupo, un romanzo che negli anni Cinquanta fece molto scandalo, in quanto parla esplicitamente dell’omosessualità del protagonista cattolico.

 

 

 

Non possiamo non notare come le riscritture possano essere ben più esplicite, laddove invece il testo biblico si limita a suggerire, senza peraltro dare molti elementi e lasciando aperte molte ipotesi.

Ancora più che esplicito è poi il romanzo di Geraldine Brooks, Un’armonia segreta (2015), che dona un’esplicita connotazione erotica all’affetto tra i due uomini. Alla prima apparizione Gionata bacia appassionatamente e furtivamente Davide di notte nella grotta, nel tempo del brigantaggio. «Oggi, tutti sanno cosa avvenne fra David e Yonatan, un amore così forte da farsi beffe delle consuetudini e sfidare la volontà di un re» (p. 80), dice la voce narrante, ancora una prima persona, ma in questo caso affidata al profeta Natan.

Per comprendere questo legame, il biblista M. Nissinen (Homoeroticism in the Biblical World. A Historical Perspective) si rifà al contesto storico-culturale:

“La relazione tra Davide e Gionata può essere presa come esempio dell’antica “omosociabilità”, che permette anche di esprimere sentimenti intimi. In tal senso, può essere paragonata all’amore tra Achille e Patroclo (nell’Iliade di Omero) o all’amore tra Gilgameš ed Enkidu. In queste relazioni, il rapporto emozionale è enfatizzato, mentre le espressioni erotiche d’amore sono lasciate dietro le quinte e solo all’immaginazione, e non vi è alcuna distinzione tra ruolo sessuale attivo e passivo. Forse, queste relazioni omosociali, basate su amore e uguaglianza, sono assimilabili più alla moderna esperienza delle relazioni omosessuali, che a quei testi che parlano esplicitamente di atti omosessuali che sono espressioni aggressive e violente di un rapporto di dominazione e soggezione”.

Possiamo facilmente notare come la speculazione esegetica risulti più sottile – per un’analisi più dettagliata:  https://www.effettobibbia.it/phocadownload/Edizione2019/programma/Amicizia-Davide-Gionata_D.Gilardi.pdf.

La narrazione però si muove su un altro piano: non specula ma mostra, rappresenta, suggerendo persino letture difformi al dato di partenza, ma magari più affini alla sensibilità propria e dei propri contemporanei – sappiamo peraltro come la figura di Gionata sia stata adottata dal movimento lgbtq+:

 

 

Ma sappiamo anche come tale interpretazione letteraria sia tutt’altro che isolata. Leggiamo in proposito alcuni versi di Rainer Maria Rilke sul lamento di Davide alla morte dell’amico.

Ahimè, non durano nemmeno i re,

e come cose volgari scompaiono

benché s’incidano come sigilli

le loro impronte nella terra molle.

 

Pure hai potuto, tu che avesti origine

con l’iniziale del tuo cuore, spegnerti

all’improvviso, tu, calore alle mie guance.

Oh, potesse qualcuno un’altra volta

Generarti quando il suo seme splenda.

 

Era dunque destino che estranei ti annientassero,

mentre colui che t’amò non può nulla

e deve dominarsi ascoltando il messaggio;

come bestia ferita rantola sul suo strame

vorrei anch’io stendermi a terra e urlare:

 

perché nelle mie parti più segrete

tu mi fosti strappato, come il pelo

che nelle ascelle cresce, o là nel punto

di me con cui giocarono le donne

 

prima che tu venissi a disbrogliare

il gomitolo dei miei sensi; allora

alzai lo sguardo e mi accorsi di te: –

Ma tu ora scompari dai miei occhi.

(Rainer Maria Rilke, Lamento per Gionata)

 

 

 

Per mostrare come le riscritture non siano solo letterarie, richiamo alcuni passaggi del Saul musicato da Haendel, in cui è Gionata a prendere la parola:

«[…] thou noble youth, accept my frienship, / And Jonathan and David are but one»

(accetta giovane eroe la mia amicizia e Gionata e David siano una cosa sola).

Queste parole le canta Gionata al primo incontro, qui rappresentato sul campo di battaglia dove Davide ha appena battuto Golia. In un altro passaggio invece emerge bene il dissidio interiore del personaggio:

«O filial piety! O sacred friendship! / How shall I reconcile you? Cruel father! / Your just commands I always have obeyed: / But to destroy my friend, the brave, the virtuous, / The godlike David, Israel’s defender, / And terror of her foes! To disobey you — / What shall I call it? ‘Tis an act of duty / To God, to David — nay, indeed, to you»

(o pietà filiale! O sacra amicizia! Come conciliarvi? O padre crudele! Ai vostri retti ordini ho sempre adempiuto: ma uccidere il mio amico! Il coraggioso, il virtuoso, il divino David! Difensore di Israele, terrore dei suoi nemici! La mia disubbidienza – come potrei dire – è un atto che devo a Dio, a David e certamente a voi).

 

 

Infine una riscrittura cinematografica. Nel film di Bruce Beresford, King David (1985), il vecchio Davide sul letto di morte non nomina nessuna delle sue mogli, ma il solo Gionata.

 

 

Serpenti

Scritto da  MARIA NISII.

 

Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio (Gen 3,1).

Che il serpente di Genesi sia figura satanica è piuttosto assodato, che lo sia diventato grazie a un’interpretazione contenuta nella Bibbia stessa lo è forse un po’ meno. Recita infatti Sap 2,24: per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono. Ap 12,9 conferma quindi questa rilettura: E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli.

L’associazione diavolo-serpente non richiede però una grande conoscenza del testo biblico, già che il racconto della caduta dei progenitori è tra i più celebri, oltre a essere quasi onnipresente nelle rappresentazioni figurative dell’Eden. Cionondimeno l’immagine si è facilmente prestata all’evocazione in quei testi impreziositi da citazioni bibliche e ricchi di tematiche religiose, come è il caso del bel romanzo di inizio Novecento di Willa Cather, che racconta la storia di due missionari francesi trapiantati in New Mexico a metà Ottocento.

Mentre cavalcavano verso la porta di casa, uscì un uomo, a capo scoperto, e videro con sorpresa che non si trattava di un messicano, bensì di un americano, d’aspetto assai poco attraente. Si rivolse a loro in un dialetto strascicato che faticarono a comprendere e chiese loro se volessero fermarsi per la notte. Dalle poche parole che scambiarono con lui, padre Latour provò una crescente riluttanza a restare anche solo poche ore sotto lo stesso tetto di quel tizio brutto e dall’aria malvagia. Era alto, smunto e deforme, con un collo da serpente che terminava con una testa piccola e ossuta. Sotto i capelli cortissimi, quella testa ripugnante esibiva una serie di spessi rilievi, come se le giunture del cranio fossero ricoperte da strati di tessuto osseo in eccesso. Insieme alle orecchie piccole e rozze, quella testa aveva un aspetto decisamente perverso. Quell’individuo sembrava solo per metà umano (W. Cather, La morte viene per l’arcivescovo, Neri Pozza, Vicenza 2008 [ed. or. 1927] p. 63)

Il personaggio dai tratti evidentemente perversi si rivelerà realmente un bruto, ma il fatto che la sua descrizione contenga un richiamo al serpente contribuisce a identificarlo con chiarezza (infatti il protagonista, pur non conoscendolo, non si sente tranquillo in sua presenza), oltre a non essere casuale in un testo di contenuto anche religioso.

L’immagine del serpente o l’attribuzione dei suoi caratteri a un essere umano offrono di conseguenza un’interpretazione univoca di quel personaggio. Tale attribuzione è indubbiamente più efficace in un contesto capace di cogliere immediatamente quel riferimento, per quanto sia – come visto – di portata universale.

 

 

Non stupisce allora come la propaganda nazista antisemita si sia rifatta a quell’immaginario, ritorcendolo contro lo stesso popolo che a quel mito aveva dato origine. Un po’ semplicistica ma di grande impatto – a quei tempi come oggi il razzismo è un affare di pancia più che di testa -,la rappresentazione degli ebrei li mostra con tratti simili per creare il “carattere semitico”: occhi piccoli e stretti, naso aquilino e rasatura trascurata. Su quella folla di uomini in giacca e cravatta dalla smorfia malvagia, troneggia un biscione con gli stessi lineamenti e la stella di Davide disegnata sulla pelle del capo.

Perché tra i tanti animali o insetti dall’aspetto non proprio aggraziato la scelta sia ricaduta sul serpente è però un’altra questione. Gesù stesso, dovendo scegliere un metro di paragone dirà: Quale padre se un figlio gli chiede un pesce, gli dà un serpente? (Mt 7,10; Lc 11,11). Anche qui la Bibbia può venire in nostro soccorso.

 Poi gli Israeliti partirono dal monte Or, andarono verso il mar Rosso per fare il giro del paese di Edom; durante il viaggio il popolo si perse d’animo.  Il popolo parlò contro Dio e contro Mosè, e disse: «Perché ci avete fatti salire fuori d’Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c’è né pane né acqua, e siamo nauseati di questo cibo tanto leggero».  Allora il SIGNORE mandò tra il popolo dei serpenti velenosi i quali mordevano la gente, e gran numero d’Israeliti morirono.  Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il SIGNORE e contro di te; prega il SIGNORE che allontani da noi questi serpenti». E Mosè pregò per il popolo.  Il SIGNORE disse a Mosè: «Fòrgiati un serpente velenoso e mettilo sopra un’asta: chiunque sarà morso, se lo guarderà, resterà in vita».  Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra un’asta; e avveniva che, quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita. (Nm 21)

Durante gli anni di deserto il popolo vive vari momenti di sconforto, durante i quali inveisce contro la sua guida umana senza risparmiare neppure Dio, con il quale ha sempre avuto una relazione dialettica. Nel libro dei Numeri si racconta quindi un episodio in cui tanti israeliti sono assaliti da serpenti velenosi, come punizione della loro sfiducia. Quale rimedio Dio impone a Mosè di fabbricare un serpente di bronzo da porre su un’asta: coloro che lo guarderanno saranno salvi. Il serpente qui è dunque pharmakon, contemporaneamente veleno e medicina. Ancora oggi le insegne delle farmacie conservano infatti l’immagine di due serpi che si attorcigliano attorno a un bastone, simbolo della duplicità insita nella natura di questa scienza, ma altresì attestata nell’etimo.

 

 

 

Tali immagini si rifanno ai miti dell’antichità classica – greca, egiziana e biblica. Ma non mancano riferimenti a culti del serpente anche in altri popoli. Riporto a questo proposito ancora un brano tratto dal romanzo di Willa Cather, in cui si racconta come i missionari francesi facciano conoscenza della religiosità indios:

Pecos aveva la sua buona dose di oscure leggende […]. C’era poi la storia del serpente, riferita dai primi esploratori, sia spagnoli sia americani, e da allora considerata vera. Questa tribù era così devota al culto del serpente che non solo nascondevano serpenti a sonagli in casa ma tenevano, da qualche parte tra le montagne, un enorme esemplare che portavano al pueblo per determinate feste. (W. Cather, p. 111)

Il cristianesimo si è d’altronde inculturato in terre con precedenti culti idolatrici, Italia compresa, e di tali tradizioni antiche si trova spesso ancora traccia. A Cocullo, in provincia dell’Aquila, ad esempio, la festa patronale vede una processione della statua di san Domenico ricoperta di serpenti. Il culto pagano della dea Angizia, protettrice dei veleni compreso quello del serpente, è stato sostituito dalla religione cristiana, che ne ha assunto anche gli “effetti protettivi”.

 

https://www.youtube.com/watch?v=YG88aMdw8pA

Il serpente non può mancare naturalmente nella smorfia napoletana, che attesta ambiguità e molteplicità dei significati simbolici: https://www.smorfianapoletana.net/SERPENTE/

L’ofidiofobia è quindi la paura del serpente, animale temuto a prescindere dalla nocività del suo veleno, e a cui i miti antichi hanno indubbiamente contribuito. Mettere in scena un serpente inoffensivo può allora rientrare solo in una visione idilliaca per tempi escatologici, come il noto brano di Is 11,8:

Il lattante giocherà sul nido della vipera,

e il bambino divezzato stenderà la mano nella buca del serpente.

In chiusura riporto due poesie, utili a sostare ancora qualche minuto sul valore evocativo di questa figura mitica. La prima poesia è di Emily Dickinson, che non nomina il serpente (perché non occorre) ma ne suggerisce la presenza in quel “tipo sottile nell’Erba”, che “si annuncia all’improvviso” e non si può incontrare senza un “respiro affannoso”.

J986 (1865) / F1096 (1865)

A narrow Fellow in the Grass
Occasionally rides –
You may have met Him – did you not
His notice sudden is -The Grass divides as with a Comb –
A spotted shaft is seen –
And the nit closes at your feet
And opens further on -He likes a Boggy Acre
A Floor too cool for Corn
Yetwhen a Boy, and Barefoot –
I more than once at Noon
Have passed, I thought, a Whiplash
Unbraiding in the Sun
When stooping to secure it
It wrinkled, and was gone -Several of Nature’s People
I know, and they know me –
I feel for them a transport
Of cordiality -But never met this Fellow
Attended, or alone
Without a tighter breathing
And Zero at the Bone –
Un Tipo sottile nell’Erba
Occasionalmente si muove –
Potreste averlo incontrato – se non vi è successo
Si annuncia all’improvviso -L’Erba si divide come con un Pettine –
Un’asta maculata si vede –
E poi si chiude ai vostri piedi
E si apre più in là -Gli piace un Campo Paludoso
Un Terreno troppo freddo per il Grano
Eppure da Ragazzo, e Scalzo –
Più di una volta a Mezzogiorno
Ho oltrepassato, credevo, una sorta di Frusta
Che si districava al Sole
Quando mi chinavo per catturarla
Si rinserrava, e se ne andava -Diversi Abitanti della Natura
Conosco, ed essi conoscono me –
Sento per loro un trasporto
Di cordialità -Ma non ho mai incontrato questo Tipo
Accompagnato, o da solo
Senza un respiro più affannoso
E Zero nelle Ossa –

 

 

 

La seconda, più recente e più esplicita, di Piero Bigongiari accosta la coppia antitetica bene-male attraverso le immagini del fiore e del serpente. Entrambi emergono imprevisti: la via del bene, per quanto impervia, trova lo spazio per raggiungerci. Ma attenzione, mentre il fiore si protende fino a noi, sbuca imprevisto il serpente. Non uno senza l’altro.

Cosa occorre che non possa più oltre
mancare? Forse il fiore che si torce
nelle proprie radici sotto il sasso
per sgorgare domani tra gli sterpi,
dopo avere aggirato a lungo il masso,
fiore proteso verso le tue mani.
Anche il bene come il serpente repe
mentre sbuca imprevisto dalla siepe.

Piero Bigongiari, da “Dove finiscono le tracce” (25-29 dicembre 1992)

 

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  • In copertina: Michelangelo, Cappella sistina (dettaglio)

SCRITTURA SACRA E RELIGIONE IN 16 FILM INSOSPETTABILI

 

 

Scritto da   DARIO O. COPPOLA .

 

Nell’anno sociale appena conclusosi (2022-2023) ho proposto, alle mie classi del Liceo Gioberti di Torino, di scegliere dei film da vedere insieme allo scopo di mostrar loro che gli elementi religiosi, mitologici, o i brani della scrittura sacra, sono sempre presenti, anche quando meno ce lo aspettiamo. Si è trattato in alcuni casi di una sfida rischiosa, che è stata accettata. Ed ecco il risultato e il resoconto finale.

Inception di C. Nolan, 2010: Di questo film (scelto dalle classi 4^F, 1^L,2^I ,3^I, 3^L del Liceo linguistico) qui già parlammo ( https://scrittoridiscrittura.it/senza-categoria/inception-mito-e-religione-tra-i-sogni ). Persino gruppi musicali hanno omaggiato il film di Nolan. Certamente non è del tutto originale il soggetto ma ispirato a Paprika (2006), film d’animazione di Satoshi Kon. I riferimenti religiosi, a differenza del film di Kon, però sono molti in Nolan. Elenchiamone alcuni e azzardiamone altri espungendoli dai dialoghi, pur tradotti: Dom(inic)/ Dio!/ Maledizione!/ atto di fede/ campane/ cattedrali/Arianna/Labirinto/altro mondo/ pura creazione/ rapporto con il padre/il nome del personaggioYusuf/ totem/riconciliazione col padre attraverso il figlio/ Diavolo/ Cristo/ catarsi/ Limbo/ Patto-testamento-eredità/ Secondo testamento/ 50mo anno (giubileo ebraico): anno sabbatico/preghiere, suppliche/ combinazione di numeri 528491 simbolica: 528 (frequenza armonica del MI simbolo del miracolo) e 491 (1+ 70 volte 7: perdono evangelico) / male (Mal, la moglie di Dom)/ “questo mondo è creato da qualcun altro”/scelta, da re-eligo/ legame (innesto=inception), da re-ligo/ colpa/ Oddio!/ relazione padre-figlio/ R.I.P.: riposi in pace/ acqua rigeneratrice (battesimo): pioggia, mare, vasca da bagno, neve purificatrice, sangue/ bicchieri pieni e rotti/ zio Peter (come Simon Pietro)/ Giacomo e Filippa (sono sempre nomi dei 12 apostoli)/ Fisher o Fischer, anche se significa pescatore, come i primi apostoli, è un omaggio a uno scacchista (Cillian Murphy interpreta Robert Fischer in omaggio allo scacchista statunitense naturalizzato islandese Bobby Fischer; Pete Postlethwaite interpreta Maurice Fischer, nome di battesimo in omaggio all’artista Escher (il cui nome completo è Maurits Cornelis Escher), la cui arte è stata chiaramente una fonte d’ispirazione per molti degli effetti speciali del film di Nolan: https://www.corriere.it/spettacoli/cinema-serie-tv/cards/inception-canale-20-numerologia-coincidenze-bizzarrie-capolavoro-nolan-undici-cose-che-non-immaginavate/omaggio-campione-scacchi.shtml[30.06.2023]): chissà perché tante coincidenze…

 

 

Assassinio sull’Orient Express di K. Branagh (2017), scelto dalla 2^M del Liceo linguistico: muro del pianto di Gerusalemme/rabbino, prete, imam/ Santa Sofia a Istanbul/ Hercules o Eracle (dodici fatiche)/ vita oltremondana e giudizio finale/ «Il Signore accolga la sua anima»/ «Al diavolo»/ «Diamine»/ «Lo dovevo a Dio»/ missionaria/ «Non crede più al suo Dio […] Dio è sempre occupato»/eretico/ colpa/ peccati/ tableau vivant evocante ‘L’Ultima cena’ di Leonardo/  “il vostro Dio”/ lo spirito/ fervore religioso/ anime/ i Dodici/ giustizia e legge dell’uomo/ coscienza/ pace.

 

 

Black Mirror – Bandersnatch (2018) di D. Slade, scelto dalla 2^L del Liceo linguistico: la venerazione/ il termine Pax/ lo spirito/ i demoni/ la liberazione/ la scelta/ il libero arbitrio/ l’invocazione di un segno/ «[…] questa vita. Ci vediamo alla prossima»/ «Riposi in pace».

 

 

Coraline e la porta magica (2009) di H. Selick, scelto dalla 2^F del Liceo linguistico: bambole Voodoo e religioni animiste/ rabdomanzia/ la preghiera prima del pasto/ il fango, curativo e rigenerante/ la fattucchiera/ il giardino (παράδεισος) e il frutto/ perdonare/ Odisseo e le sirene/ Venere/ angeli/ dio/ creare/ amore/ anime (correlazione occhio-anima)/ amuleto (terzo occhio)/aureole/ salvatrice/ dono.

 

 

Ready Player One (2018) di S. Spielberg, scelto dalla 5^D del ginnasio: l’avatar/le cattedrali virtuali/ la musica sacra/ «era come un dio», «Dio!» /«Per quanto è vero Iddio»/ incipit della Toccata in Re minore di Bach/ la resurrezione virtuale di Halliday/ il sacro Graal/ Parzival (Parcifal)/ Artemis/ la ‘santa’ bomba/ il creatore e la creazione/ un necrologio con croce cristiana/iscrizione funebre/ “nel nome di […]”/ labirinto/ vita extra/ demoni raffigurati.

 

 

Gifted – Il dono del talento (2017) di M. Webb, scelto dalla 4^I del Liceo linguistico: il film è certamente dedicato ai bambini dotati di particolare intelligenza talora correlati agli Asperger, ma non è approfondito questo aspetto nella trama. Invece sorprendentemente balza all’evidenza nel cuore del film una serie di domande, quasi metafisiche:esistenza di Dio/ Gesù è Dio?/ ateismo/ “luogo senza Dio”/ scout/ Cartesio e l’esistenza (di Dio).

 

 

 

CARS 2 (2011) di J. Lasseter e B. Lewis, scelto dalla 4^I del Liceo linguistico: Cribbio.Torii (鳥居): portale d’accesso giapponese che porta a un jinja, ossia un tempio Shinto. Sacré-Coeur di Montmartre. Notre-Dame. Papamobile cattolica Holy Motors Vatican 7000, ispirata a BMW Neue Classe Coupé, volutamente tedesca (come Ratzinger). Chiesa Nostra Signora delle automobili. Papa (Pinion IV). Campane.Capo della Chiesa anglicana, la regina(Elisabetta II). San Paolo, Cattedrale di Londra.

 

 

 

Vi presento Joe Black (1998) di M. Brest, scelto dalla 3^F del Liceo linguistico: derviscio/ levitazione/canto estatico/spirito cattivo (religioni animiste)/ stregone/ aldilà/ “non è ancora la tua ora”/ convertito/mistero/ Pilato/ miracoli/ Addio/ perdono/diavolo/ valle oscura/ anima/ resurrezione.

 

 

Fight Club (1999) di D. Fincher, scelto dalla 3^M del Liceo linguistico: Yin e Yang/ Islam/ Chiesa metodista/ “Ringrazio Dio”/ canti gregoriani/ Chakra/ Buddhismo tibetano/”fu un dio […]”/ Chiesa pentecostale/ spirito/ Gandhi/ maestro Zen/ poesie Haiku/ Illuminato/ sacrifici umani/ meditazione guidata/ i nostri padri erano come Dio/ monologo su Dio/ “e così sia”/ “solo Dio lo sa”/”Dio […]”/ ritiro spirituale/ seminario.

 

 

 

Madre! (2017) di Darren Aronofsky, scelto dalla 3^M del Liceo linguistico: Natale/ “Che Dio ti aiuti”/la mia dea/ celebrare/ Scrittura/ Apocalisse/ il suo Verbo è tuo/ ispirazione. Riferimenti biblici intenzionali: lo scrittore (Dio), la madre terra (moglie), Eden, Adamo ed Eva, il frutto proibito, il fratricidio (Caino e Abele), fans dello scrittore (popolo ebraico infedele e idolatra), casa bruciata e bombardata (Torre di Babele), figlio dello scrittore e della terra (Gesù).

 

 

L’ora di religione – Il sorriso di mia madre (2002) di M. Bellocchio, scelto dalla 2^D del Liceo  classico: ora di religione/ causa di canonizzazione/ santi / cardinale/ eroicità delle virtù/ notizia TG: Giubileo, il Papa parla di moralità e competenza/ quadro con santi/ segno della croce/ Inferno e Paradiso/ credere (o non) in Dio/ francescano/ bestemmia/ prelati e presuli/ preti laici / crocifisso in aula e tribunali/ Chiesa monarchia assoluta/ Maria Goretti/ Conversione/ Dottrina cattolica/ Litanie mariane/ Gesù/ Madonna/suore/ preti/ battesimo/ cattolico osservante/ autorità ecclesiastica/ beatificazione/ martirio/ Cristo/ espiazione/ Santo Padre/santa/ aldilà/ intercessione/Scherza con i fanti e lascia stare i santi/ peccatore/ Cupola di S. Pietro e due spade/ Sua Santità/ inginocchiarsi.

 

 

 

Shining di S. Kubrick (1980), scelto dalla 4^D del ginnasio: Dies iræ/ cannibalismo (totemismo)/ labirinto/ luccicanza/ Tuesday: giorno di Tiu/ Saturday: giorno di Saturno/ Monday: giorno della Luna (Selene)/ Wednesday: giorno di Woden/ //Altri elementi: 237mila Km (distanza Luna-Terra)/ sogni premonitori.

 

 

 

The Imitation Game (2014) di M. Tyldum, scelto dalla 1^D del Liceo classico:ebreo/chiesa di St. Martin/ pregare/ “se Dio vuole […]”/Matteo 7,7: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto»/ fede nuziale/ matrimonio/«Maledizione»/«Oh mio Dio!»/«Oddio!»/«Signore!»/ Holy Bible/«Non sei Dio!»/«Ero davvero Dio».

 

 

 

Quasi amici – Intouchables (2011) di O. Nakache – É. Toledano, scelto dalla 1^F del Liceo linguistico: «ho molto pregato per te»/ Ave Maria di Schubert/dipinto mitologico/ pietà/«mi resta solo lo spirito ormai»/ angelo inviolato/ sfinge antica/ angeli/ relazione tra spirito e spirito/ prete ortodosso/ Pope.

 

 

 

Midsommar – Il villaggio dei dannati(2019) di A. Aster, scelto dalla 1^F del Liceo Linguistico: «Addio»/ «Oh mio Dio»/alfabeto runico/ Cristo/Hårga (leggenda del villaggio svedese: il diavolo suona il violino e attira i giovani)/ Ymir, divinità norrena/ santone/Rune/ Gesù/ spirito/ tempio sacro/ Scritture/ altro mondo/ inferi/ culto ad Afrodite/rito/ pellegrinaggio/sacrificio/ fede/ Dio/ il nostro dio/ consacrate.

 

 

Coco (2017) di Adrian Molina, Lee Unkrich, scelto dalla 1^L del Liceo linguistico: dias de lo muertos (2 novembre)/ campana/ candele/ chiesa/ suora/ crocifisso/ musica maledetta/ cimitero/ Dios mio/ mondo dei morti/ spiriti/ benedizione/ ofrenda (altare domestico)/ anime errabonde/ suore/ spirito guida/ prete/ perdono/ famiglia/ Santa Cecilia/ chiesa.

 

 

 

Considerazioni finali: è difficile non menzionare, ma anche cogliere, quel legame col mistero che le religioni, il mito e la scrittura sacra ci suggeriscono.

Il locandiere

Scritto da  MARIA NISII.

 

Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua? (Mc 14,12)

Secondo Antonio Spadaro, Una trama divina (Marsilio 2023), il Vangelo di Marco a questo punto del racconto sembra dare vita a un poliziesco. Gesù infatti, in vista dei preparativi per la cena pasquale, manda i suoi alla ricerca di un uomo con una brocca (ma non erano le donne che a quel tempo andavano ad attingere l’acqua?). “Gesù non dà un indirizzo: chiede di seguire un segno”, ricorda Spadaro, che prosegue notando come Gesù chieda ospitalità, accoglienza.

14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: «Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?». 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

È a partire da tale suggestione che alcuni autori spirituali, dice ancora Spadaro, hanno interpretato queste parole come se fossero rivolte a ciascuno di noi: “Dov’è la mia stanza dentro di te, nel tuo cuore?” (p. 47). E così il racconto,dopo aver suscitato una certa suspense, si fa ora intimistico. Un cambio di registro nel giro di poche parole, a cui siamo sempre più sensibili, avendo compreso il valore narrativo grazie al quale l’evento cristologico è giunto fino a noi.

 

Ultima cena, mosaico bizantino, VI secolo (Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna)

 

Al personaggio anonimo del locandiere, che assolve soprattutto la funzione di “segno”, Kahlil Gibran in Gesù figlio dell’uomo (1928) attribuisce anche un nome e un tratto caratterizzante. Il locandiere sarà dunque “Ahaz, il corpulento”. Così s’intitola quindi il capitolo dedicato a questa figura che, se nei Vangeli a malapena si può definire personaggio, qui come gli altri (77 in tutto) è chiamato a raccontare Gesù dal suo punto di vista:

“Vennero al crepuscolo, lui e i suoi seguaci; e sedettero a tavola nella stanza al piano superiore, ma rimasero quieti e silenziosi. […] Poi l’avevano lasciato solo, andando a coricarsi in altre stanze; dopo mezzanotte, infatti, desiderò rimanere solo. Vegliava: coricato sul mio letto, udivo i suoi passi. Ma non erano felici, quell’ultima volta, né lui né i suoi compagni” (Feltrinelli 2001, p. 169).

Il racconto di Gibran si discosta significativamente dal testo originale, riferendo che non si sarebbe trattato della prima volta, in quanto Gesù e i suoi erano stati già altre volte in quella locanda. Se dal punto di vista narrativo questo dato consente un maggiore ampliamento, oltre ad attribuire un carattere più significativo al personaggio, tale scostamento oblia però il dato significativo suggerito dalle parole di Gesù. I discepoli infatti devono riconoscere un uomo dai pochi indizi ricevuti e questo implica che essi non lo conoscano. Cambiare questo dato, stravolge totalmente il racconto, rendendolo di conseguenza meno pregnante dal punto di vista teologico.

 

Tintoretto, Ultima cena (Basilica di san Giorgio minore, Venezia), 1592-4

 

Sandro Veronesi, in Non dirlo (Bompiani, 2015), parla invece di “una spettacolare predizione, ricca di particolari e di spunti simbolici, su come verrà allestito per lui il banchetto pasquale”, aggiungendo che con tali dettagli di fatto “ È lui stesso ad allestire il banchetto dell’ultima cena, tramite questi (per noi) sconosciuti che evidentemente lo conoscono e lo seguono. Come nella scena del puledro all’entrata in Gerusalemme, Gesù mostra di avere dei seguaci anche in Giudea” (p. 117-8).

Anche in questa riscrittura non tutto funziona, come dimostra il bisogno di spiegare le predizioni (Gesù ha amici e seguaci ovunque). È molto più sottile invece Emmanuel Carrère ne Il regno (Adelphi, 2015), che immagina l’evangelista Luca recarsi anni dopo, in compagnia di Giovanni-Marco, nel luogo dove Gesù si era riunito con i suoi:

“Ho provato diverse volte a scrivere questa scena. I due uomini entrano in casa, una casa dalla facciata stretta, per la porta molto bassa che dà sulla viuzza. Spinta la porta, si ritrovano in un cortiletto. C’è una fontana, biancheria stesa ad asciugare. […] In quella stanza non c’è niente di particolare. Cuscini sul pavimento, un tappeto. Tuttavia immagino che Luca venga colto da una strana vertigine al momento di varcare la soglia, e forse non abbia il coraggio di entrare. Io, in ogni caso, non ce l’ho” (p. 258).

Le riscritture possono dilatare, descrivere dettagli utili a far meglio entrare il lettore nella scena, ma ogni tanto apprezziamo anche il loro sapersi fermare (contemplare? timorosi?) sulla soglia.

 

Duccio da Buoninsegna, Ultima cena (1308-11)

 

In quell’apocrifo che mette in scena l’inesauribilità della Parola che è il Quinto evangelio (1975) di Mario Pomilio, compare un verso che si riferisce al nostro episodio:

“Mi seguirete fino al cenacolo, ma non fino alla croce” (L’Orma 2015, p. 126 e 342)

In questa frase “apocrifa” Gesù attribuisce al momento del convivio l’ultimo atto della sequela. Nell’ultima parte egli sarà solo, come ogni uomo, ad affrontare la propria passione. Il cenacolo segna dunque l’ultimo passaggio comunitario, e forse anche per questo tanti artisti vi hanno sostato con la loro immaginazione, persino riscrivendo gli uni le altrui riproduzioni.

 

Leonardo (1494)

 

 

Pittore ignoto (ca. 1550)

 

Andy Warhol (1986)

 

Andy Warhol (riprodotta in diverse variazioni cromatiche)

 

David LaChapelle (2003)

 

Wang Guangyi (2011)

 

Maurizio Galimberti (2020)

 

 

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  • In copertina: dettaglio locandiere Cena in Emmaus di Caravaggio (1601, National Gallery)

 

La nuova Eva

Scritto da MARIA NISII.

 

Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno. (Gen 3,15)

Questo versetto di Genesi è detto «Protovangelo», in quanto viene interpretato dalla lettura cristiana come il primo annuncio della salvezza. Le diverse traduzioni con cui è stato reso diventano pertanto «riscritture», per il fatto di rivelare il significato di volta in volta attribuitogli. La versione greca usa infatti il pronome maschile (Egli, autòs), sebbene non si accordi col sostantivo neutro (stirpe, sperma), allo scopo di veicolare la speranza sul Messia. Il Targum invece vede nella donna la comunità d’Israele, che schiaccerà il serpente «nei giorni del re messia». La traduzione latina di Girolamo ne offre infine una lettura mariologica (Lei, ipsa), mentre nella Nova Vulgata riappare la prospettiva messianica. Proseguono sulla linea mariana alcuni padri della Chiesa, creando il celebre parallelismo tra la vecchia e la nuova Eva:

«Come infatti Eva, che era vergine e incorrotta, dopo aver accolto la parola del serpente, partorì disobbedienza e morte, allo stesso modo Maria, la Vergine, avendo ricevuto dall’angelo Gabriele il buon annuncio che lo Spirito Santo sarebbe disceso su di lei e che la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata, concepì fede e gioia, per cui il nato da lei sarebbe stato il Figlio di Dio» (Giustino, Dialogo con Trifone).

In questo modo Maria, «nuova Eva», con la sua obbedienza ripara i danni causati dalla disobbedienza della prima donna, al pari di Cristo, «nuovo Adamo», che riversa la sua Grazia con abbondanza riparando al male provocato dal primo uomo (Rm 5). È alla luce di tale collaborazione tra madre e figlio, che Caravaggio interpreta il brano di Gen 3 nella sua “Madonna dei Palafrenieri”, ove compaiono le figure di Maria, del Bambino Gesù e di Sant’Anna, in cui Maria sostiene il piccolo, che pone il piedino su quello della madre, schiacciando insieme la testa del serpente.

 

 

Ne Il diario di un parroco di campagna di Georges Bernanos (1936) compare un ampio brano, nel quale si riporta uno dei discorsi che il parroco di Torcy pronuncia al giovane prete, protagonista della storia:

«È nostra madre, si capisce. La madre del genere umano, la nuova Eva. Ma è anche sua figlia. Il mondo antico, mondo doloroso, il mondo anteriore alla Grazia, l’ha cullata tanto tempo sul suo cuore desolato – secoli e secoli – nell’attesa oscura, incomprensibile di una virgo genitrix… Per secoli e secoli ha protetto con le sue vecchie mani cariche di misfatti, mani pesanti, la meravigliosa bambina di cui ignorava persino il nome. Una bambina, questa regina degli Angeli! E lo è restata bambina, non scordarlo! Il Medioevo lo aveva capito bene, il Medioevo ha capito tutto. Ma va’ a impedire agli imbecilli di rifare a modo loro “il dramma dell’incarnazione”, come dicono. Mentre si sentono in dovere, per ragioni di prestigio, di agghindare come per carnevale dei modesti giudici di pace o di cucire ai ferrovieri qualche patacca sulla manica, si vergognerebbero troppo di dire ai non credenti che il solo, unico dramma, il dramma dei drammi – non ce ne sono altri – è stato rappresentato senza messinscene né fronzoli. Pensaci! Il Verbo si è fatto carne e i cronisti di allora ne hanno saputo un bel niente! Eppure la quotidiana esperienza insegna che tutte le vere grandezze, anche quelle umane, il genio, l’eroismo, l’amore stesso – il loro povero amore -, è una fatica del diavolo riconoscerle! Tanto che novantanove volte su cento vanno a portare i loro fiori di retorica al cimitero, si arrendono soltanto ai morti. La santità di Dio! La semplicità di Dio…» (p. 170).

In questo passaggio, oltre a richiamare il motivo di Maria-nuova Eva, l’anziano parroco sembra «distrarsi» dal suo iniziale intento, volto a istruire il giovane, e finendo invece col parlare della semplicità di Dio nel mistero dell’incarnazione, che qui si rivela nel volto fanciullesco della madre di Dio. Una passione evangelica travolgente per un testo divenuto un classico, in quanto capace di attraversare il tempo senza perdere smalto.

 

Giambattista Tiepolo, Immacolata concezione (1767-9)

 

In questa versione di Tiepolo, come in molte altre simili, Maria calpesta il serpente, segno della sua vittoria sul male, poggiando i piedi sul globo, simbolo del mondo terrestre. Alcune di queste rappresentazioni intrecciano però la figura di Maria con la donna vestita di sole di Apocalisse 12, sulla cui attribuzione mariana gli interpreti sollevano non pochi dubbi. E tuttavia il serpente tiene in bocca la mela, nuovo richiamo all’Eden e al peccato dei progenitori. Tale associazione è risultata in particolar modo efficace per le immagini dell’Immacolata concezione: chi più di colei che è nata senza macchia può sanare la ferita del genere umano? È quindi da qui che trae ispirazione il sommo poeta nel penultimo canto del Paradiso:

La piaga che Maria richiuse e unse,

quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi

è colei che l’asperse e che la punse. (Paradiso, XXXII)

Spiegando a Dante la disposizione dei beati, san Bernardo gli indica colei che è seduta ai piedi di Maria: si tratta di Eva, la donna che aprì la piaga che poi Maria curò e chiuse. La ferita inferta al genere umano è il peccato delle origini, curato e sanato dalla nuova Eva.

 

 

In un testo più recente, tale interpretazione sembra ormai sbiadita: la si ricorda ancora, ma ha perso il suo significato teologico. Lei della teologa Mariapia Veladiano (2017), che racconta la vicenda evangelica dal punto di vista di Maria intessendo la figura della madre con le numerose interpretazioni di cui l’ha storia l’ha ammantata, riprende infatti questa suggestione biblica:

«La prima sera è scesa tutt’una col buio del giorno. […] Anche le bestie selvatiche hanno saputo e si sono mosse senza convinzione. Hanno afferrato le prede con morsi prudenti e le hanno lasciate andare per disgusto verso la ferocia del mondo. Non una bestia ha aggiunto sangue al sangue. Le serpi strisciavano davanti ai miei piedi, passavano in fila lungo la strada, sicure che il loro tempo non era ancora venuto. Il mio piede non le sfiorava, la loro testa al sicuro, la bocca liberava la lingua affilata ma serviva solo a sentire che anche gli odori mancavano, assorbiti dal nero della tenebra» (p. 158)

Veladiano ambienta questo passo nei giorni del sepolcro, in attesa della resurrezione. Giorni di buio e di dolore, in cui, a dispetto delle tante raffigurazioni artistiche, questa Maria non si sente ancora «nuova Eva», colei che insidierà il calcagno del serpente antico. In questo giorno di lutto, racconta, neppure le bestie feroci stanno alla pari con la ferocia umana. Nessun essere vivente aggiunge altro dolore. Il male, come il suo riscatto, restano sospesi. In attesa.

 

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  • In copertina: Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri (1606), Galleria Borghese, Roma