Tutto è compiuto

 

 

 

Scritto da  NORMA ALESSIO.

 

«Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò

(Gv 19,30)

La Passione di Gesù rappresenta uno dei soggetti tra i più raffigurati dagli artisti di varie epoche, soprattutto la scena finale della Crocifissione. In particolare nel XX secolo le realizzazioni non sono  più la rappresentazione dei fatti raccontati dai vangeli, ma è essenzialmente la figura del Crocifisso che attira, grazie alla ricchezza dei suoi possibili significati,  ma priva di quello cristiano tradizionale. Non esprime più il divino, ma l’umano: diventa una sorta di modello dell’uomo sofferente, maltrattato, schiacciato, un’immagine pittorica di grande impatto e utilizzabile a volontà per le cause più diverse, aperta a tutte le identificazioni e ideologie. Gli artisti moderni hanno dato nelle loro opere un’interpretazione personale della Crocifissione, pur rappresentando lo stesso evento, ognuno con un linguaggio proprio.

Eduard Munch, pittore norvegese agnostico, nel 1900 dipinge in Golgotha, (Munch Museet- Oslo), un’unica croce dove Cristo  nudo e giovane  è sopra a una folla colta dal panico e dall’isteria; il crocifisso è forse lo stesso artista, e il colore del corpo e la postura lo fanno apparire ancora vivo. Seppur dall’aspetto spettrale, egli rimane comunque proteso verso alcune persone girate verso lo spettatore, l’umanità, che danno l’impressione di essere allucinate dalla visione; i loro volti sono maschere di cinismo, alcuni abbozzano un ghigno di derisione, altri vengono ritratti disperati e attoniti.

 

 

Renato Guttuso, nel 1941 dipinge una Crocifissione, oggi a Roma, nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che contiene tutti gli elementi per suscitare in quel momento scandalo: le tre croci non sono sistemate frontalmente come di consueto, ribaltando lo schema classico di rappresentazione cristiana; la nudità della Maddalena che si abbraccia al corpo crocifisso di Cristo e dell’altra pia donna; il grande drappo rosso sul cavallo che insieme ai pugni chiusi del Cristo e del Buon Ladrone sono segni inequivocabili delle scelte politiche di Guttuso. Maria di Nazareth che piange. Nel paesaggio ci sono rovine, come quelle che rimangono dopo un bombardamento e in primo piano su un tavolo i simboli della Passione.

 

 

Guttuso aveva precedentemente già studiato più volte questo tema e alla fine incentra l’intera scena sul racconto del supplizio di un uomo e sull’atmosfera in cui esso si svolgeva, «dando stile e sentimento moderni a quella rappresentazione » come lui stesso disse: «…Voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena d’oggi…non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati… ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, tortura, per le loro idee…le croci (le forche) …i soldati e i cani, le donne scarmigliate discinte piangenti…» (R.G., da un appunto di diario, ottobre 1940). E ancora spiega: «. La nudità dei personaggi non voleva essere uno scandalo. Era così perché non riuscivo a vederli, fissarli, in un tempo; né antichi né moderni, un conflitto di tutta una storia che arriva sino a noi. Mi pareva banale vestirli come per un melodramma decadente…Questa, mi veniva da dire, è tragedia di oggi, il giusto perseguitato è cosa che, soprattutto oggi, ci riguarda.» (R.Guttuso in “Il contemporaneo” aprile 1965).

 

Alcuni secoli prima Nicolas Poussin, pittore francese, nel 1644, rimandò di nove mesi l’esecuzione di una Crocifissione, completandola quasi due anni dopo l’incarico, perché nutriva dei dubbi nei confronti dell’interpretazione del tema in questione. Infatti, ad opera compiuta, così scriveva ad un suo amico pittore per una commissione di una “salita al Calvario”: «La Crocifissione mi ha fatto star male, ho provato molta pena, ma un Cristo portacroce finirebbe con l’uccidermi. Non potrei resistere ai pensieri penosi e seri di cui bisogna riempire lo spirito e il cuore per riuscire in soggetti di per sé così tristi e lugubri. Dunque, risparmiatemi, per favore».

 

 

Poussin si basa su alcuni passi dei Vangeli di Giovanni (19, 17-18), (19,23-24) (19, 25-30) e Matteo (27,51-54): Cristo, immerso nella oscurità, «emesso un alto grido spirò… la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti resuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la resurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti» (Mt 27, 50-53). Rappresenta la scena con pochi colori, la terra oscurata dalle tenebre in un fondo nero in cui vi è un’unica luce dai toni rossi, il cielo manca totalmente e le rocce del paesaggio sono macchie evanescenti. Risalta il rosso dei manti, e tutto il resto è fatto da gradazioni nere del buio, che nascondono figure umane ridotte a fantasmi. Ai piedi della croce, sul piano medio, al centro, c’è un personaggio che si volge verso lo spettatore.In primo piano ci sono i soldati che si giocano a dadi le vesti di Gesù, due di loro sono sorpresi da un uomo che esce dal buio della terra, contro il quale un soldato sguaina un pugnale.

 

L’interpretazione che Jacopo Robusti detto il Tintoretto dà alla sua Crocifissione (1565, Venezia Scuola Grande di San Rocco, dodici metri di base) a mio parere è premonitrice della Resurrezione,  la certezza della vittoria della Vita sulla Morte, ben lontano dall’uomo con volto duro e sofferente, a volte sgraziato (Christus Patiens) dei dolori, con i segni delle torture. È l’ora sesta: contro un cielo livido, attraversato da lampi temporaleschi, si staglia, solitario e maestoso, Gesù con il capo chinato, ormai morente, che rende lo spirito, mentre le croci dei due ladroni non sono state ancora innalzate;  ai piedi, il gruppo dei dolenti con la Vergine che sviene sostenuta dalle Marie; a destra i soldati, nascosti tra le rocce, giocano a dadi le vesti di Cristo. Un alone di luce sovrannaturale si irradia dal corpo di Cristo, che diventa il punto focale attorno al quale si sviluppa tutta la narrazione, secondo un movimento concentrico che coinvolge tutti i presenti. La sua figura s’impone con tutta la sua forza muscolare, come se la morte imminente e i patimenti della passione non ne avessero compromesso la tonicità fisica. Quasi certamente Tintoretto oltre che  da altre opere d’arte o da invenzioni figurative, trae spunto anche da una letteratura di origine francescana, nata e sviluppatasi per guidare i laici nello svolgimento degli esercizi spirituali.

 

 

Questo Cristo ricorda l’iconografia del Christus Triumphans, come in quella antica cristiana dove si rappresenta in una sola immagine il mistero della morte e della risurrezione del Cristo. Supera il piano emotivo e non suscita l’emozione, ma evoca il mysterium tremendum dinanzi alla parusia del trascendente: egli è già sorgente di vita e di salvezza per coloro che volgeranno a lui lo sguardo.

 

Dantedì? Sì, ma pop…

Scritto da  LORENZO CUFFINI.

 

Se una delle modalità della ri-scrittura è quella di riempire i vuoti della storia originale, di dire il non detto, di dare voce là dove si è taciuto, allora Dante – ce lo conferma la total immersion delle ultime ventiquattr’ore nel #Dantedì nazionale – è a tutti gli effetti anche un pirotecnico ri-scrittore. Almeno per quanto riguarda la Divina Commedia. Dove non solo riscrive la Storia, le storie, la mitologia, la cultura classica e quella del suo tempo, ma – cosa che ci riguarda da vicinissimo – anche la fede, la  Scrittura  e la  teologia. A partire dalla base :  la clamorosa intuizione di  fare un poema in cento canti  sulla  realtà escatologica e ultraterrena dell’ Aldilà secondo l’ottica cristiana, mai dettagliata né approfondita dalla dottrina.  Insomma, il curatore del progetto #ScrittoriDiScrittura, se avesse mai potuto acchiapparlo e metterlo sotto contratto, avrebbe fatto la fortuna imperitura sua e della collana intera.

Papa Francesco ha voluto dedicare  al “padre Dante”  una lettera apostolica dal titolo Candor Lucis Aeternae, ripetendo così quello che aveva già fatto nel 1965 papa Paolo VI, con il precedente della sua Altissimi Cantus  . Ha ricordato, tra molte altre bellissime cose, in che modo tutti i papi del 900 abbiano “onorato e celebrato il Poeta, particolarmente in occasione degli anniversari della nascita o della morte, così da proporlo nuovamente all’attenzione della Chiesa, all’universalità dei fedeli, agli studiosi di letteratura, ai teologi, agli artisti.”

Verso la fine,poi,  il papa scrive :

Perciò è importante che l’opera dantesca, cogliendo l’occasione propizia del Centenario, sia fatta conoscere ancor di più nella maniera più adeguata, sia cioè resa accessibile e attraente non solo a studenti e studiosi, ma a tutti…Incoraggio, poi, in maniera particolare, gli artisti a dare voce, volto e cuore, a dare forma, colore e suono alla poesia di Dante, lungo la via della bellezza, che egli percorse magistralmente, e così comunicare le verità più profonde e diffondere, con i linguaggi propri dell’arte, messaggi di pace, di libertà, di fraternità.

Questo auspicio, in larga parte, si è già realizzato. Nel senso che Dante ha sì ri-scritto, ma è stato  a sua volta oggetto di moltissime ri-scritture: in letteratura, in musica, nell’ arte, fino ad arrivare al teatro e al cinema. Qui proviamo a fare qualche breve esempio di come il  “linguaggio proprio” della cultura pop abbia parlato di Dante e della sua Commedia, soffermandoci su alcuni casi decisamente poco paludati e di sapore  extra “scolastico”.

Il primo è quello dei fumetti, variamente intesi. Basta ricordare  L’Inferno di Topolino, curatissima parodia dell’Inferno dantesco, piena di colori sgargianti e pubblicata sul periodico Topolino  da ottobre 1949 a marzo 1950. Venne realizzata dallo sceneggiatore Guido Martina e disegnata da Angelo Bioletto. Dante è Topolino, mentre Virgilio è l’allampanato e svagato Pippo. Le didascalie che accompagnano le vignette sono scritte rigorosamente in forma di terzine:

 

 

 

Il secondo esempio è più recente, ed è in  in versione manga . Go Nagai, l’autore di Mazinga e Devilman, è stato a suo stesso dire  affascinato e influenzato da sempre dall’opera di Dante. Ha  realizzato tra il 1994 e il 1995  un adattamento a fumetti  della  Divina Commedia, dandone una versione visivamente tutta giocata sui contrasti e chiaroscuri,  di un’ atmosfera che potremmo definire gotica e solenne, imponente e ispirata alla celebre versione illustrata da Gustave Doré.

 

Il terzo è storia d’oggi. A riprova di quanto disse  Paolo VI ­ – “ Nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire della fede cattolica” – facciamo una citazione fresca fresca di giornata, a firma del “nostro” vignettista  Gioba, in arte don Giovanni Berti, disegnata appunto per il #Dantedì,  nonchè  giorno dell ’Annunciazione a Maria.

 

 

Stretto parente del fumetto è il cartone animato.  A rappresentare la categoria, ecco questo  Viaggio attraverso la Divina Commedia – di  Andrea Maresca, rinvenibile tra l’altro  su youtube dove è stato pubblicato nel 2019.  Un mix tra divulgazione, ironia e linguaggio corrente , espressi mediante l’animazione.

La parodia torna in modo ricorrente . La troviamo,  per esempio,  in questa pillola degli Oblivion, gruppo musicale che si rifà con evidenza alla tradizione brillante del Quartetto Cetra, segnatamente quello  della Biblioteca di Studio Uno : una storia condensata e irriverente, raccontata in musica  riscrivendo le parole di un collage di brani tratti da canzoni di gran successo e piena di riferimenti all’attualità. E’ L’inferno in 6 minuti –

 

Per restare alla musica, arriviamo al musical. Si tratta di La Divina Commedia Opera Musical, un’opera musical del 2007 di Marco Frisina su libretto di Gianmario Pagano, prodotta dalla Musical International Company,. di cui qui si può vedere il trailer di presentazione.

In questa rapida cavalcata non possiamo tralasciare la pubblicità. Come tutti i personaggi veramente popolari, Dante non viene ignorato dai creativi pubblicitari. Anzi. Tra i vari esempi possibili, vale la pena segnalare una  campagna del 2012  (per una nota compagnia telefonica) che vede Alighieri e la Commedia – rivisitati e corretti – come protagonisti. Si tratta di brevi film comici, dalla sceneggiatura scoppiettante, recitazione ottima, divertimento assicurato. Un cast cinematografico  di prima grandezza, con Neri Marcoré, Marco Mazzocca,  Francesco Pannofino, e la regia di Gabriele Muccino.

 

Per concludere, un doveroso omaggio in questa galleria spetta a Roberto Benigni. Non al dicitore di successo di oggi, l’ interprete appassionato e facondo di letture dantesche in versione integrale , con esegesi e interpretazioni verso a verso, divenute a un certo punto trasmissioni televisive  Rai di altissima audience. Qui proponiamo  un Benigni precedente, più ruspante, che in accoppiata con Renzo Arbore, veste letteralmente i panni di un Dante svagato e surreale, comico, goliardico e poetico al tempo stesso.

https://fb.watch/4tHJvz9ary/

 

_________________________________

 

 

Se è Francesco a riscrivere Giuseppe

 

 

Scritto da  LORENZO CUFFINI.

Siamo al 20 marzo, e Giuseppe, il santo,  lo abbiamo appena festeggiato.

Ma quest’anno, in barba al popolare detto, passata la festa NON SI GABBA lo santo. Il fatto è che quest’anno, il 2021,  è stato proclamato “Anno di San Giuseppe”. E’ stato il Papa ad indirlo, l’8 dicembre scorso, nel giorno in cui ricorrevano i 150 anni del Decreto Quemadmodum Deus, con il quale il Beato Pio IX dichiarò San Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica. “Al fine di perpetuare l’affidamento di tutta la Chiesa al potentissimo patrocinio del Custode di Gesù, Papa Francesco – si legge nel decreto del Vaticano  – ha stabilito che, dalla data odierna, anniversario del Decreto di proclamazione nonché giorno sacro alla Beata Vergine Immacolata e Sposa del castissimo Giuseppe, fino all’8 dicembre 2021, sia celebrato uno speciale Anno di San Giuseppe”.

Con l’occasione, Francesco ha anche scritto una Lettera Apostolica –  Patris Corde – che inizia con queste parole: Con cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli «il figlio di Giuseppe».

 

 

Questa lettera, che è documento tutto da leggere ed  in grandissima parte destinato alla riflessione sul tema della paternità, porta però, in preambolo, una considerazione sulla figura dello sposo di Maria più generale e, al contempo, fortemente attualizzata. Francesco scrive infatti  nelle prime righe della sua Lettera di voler parlare di:

questa straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi. Tale desiderio è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. […] Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti».[6] Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine

Così Giuseppe, prima ancora che  padre e sposo, viene colto nella sua esistenza comune, feriale, in buona parte anonima, eppure fondamentale e determinante per la Storia intera della salvezza. E, in questo, accomunato a quella folla di persone che oggi, in questo anno Covid, con le loro analoghe vite altrettanto comuni, feriali e quasi anonime, risultano fondamentali e determinanti per la società tutta e per l’esistenza di moltissimi di noi.

Mi viene in mente un caro amico che, vivendo in famiglia una situazione fortemente segnata dalle condizioni di salute della moglie, scherzando parlava di sé come di un “marito sangiuseppato ”. Il che non era affatto megalomania, quanto un modo ironico per indicare una situazione che si era pensata, programmata, sognata in un modo , e dovuta affrontare in tutt’altra e impensabile maniera. Ugualmente han fatto tutti coloro che Francesco indica nella sua Lettera: tutti quei medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose; ebbene di tutti potremmo dire che sono altrettanti uomini e donne sangiuseppati . Senza averlo minimamente voluto, si son trovati a fronteggiare una realtà più grande di loro,  sono restati e restano al loro posto, rendendo così possibile che la storia di tutti ( la loro e degli altri) potesse e possa andare avanti: e senza farci sopra tante storie.

Insomma, Giuseppe, con la sua presenza indispensabile, ma fuori dai riflettori,  è contemporaneamente la rappresentazione di molti che in questo anno sono stati incongruamente etichettati come eroi,  – mentre  continuavano a fare quello che hanno sempre fatto, senza che mai nessuno se li filasse – e il modello a cui quelle stesse persone possono fare confidente riferimento. E, al contempo, tutti costoro diventano una attualizzazione, e in certo senso, una incarnazione attuale, se non di Giuseppe e della sua peculiare e straordinaria sorte, certamente del suo ruolo e del suo modo di essere. E ci aiutano anche a riflettere sulla sua personalità e psicologia, umanizzandocelo, per dir così; scongelandolo  dal freezer delle statue, dei presepi e delle pale d’altare dove lo abbiamo ibernato e dove  siamo distrattamente portati ad abbandonarlo.

Un aspetto merita ancora una sottolineatura. Come Giuseppe, anche  i suoi  emuli di oggi  (magari inconsapevoli ) non solo assicurano presenza, ruolo e lavoro, ma  esercitano ” ogni giorno pazienza e infondono speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità”, scrive il papa. Vero. A dimostrazione, proponiamo uno tra i tanti contributi filmati che in quest’anno di pandemia hanno affollato la rete. Come si legge nella presentazione su youtube

“Il personale sanitario del Comprensorio sanitario di Merano si è messo in gioco sulle note di \”Jerusalema\” per lanciare un messaggio di speranza e spensieratezza nei giorni che precedono il Natale. Così medici e infermieri, volontari di soccorso e non solo hanno ballato nei corridoi del Comprensorio diretto da Irene Pechlaner.”  Guarda il video a questo link:

https://www.youtube.com/watch?v=sEvg6vnuad0

 

 

 

Scrive Francesco che  a tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine. Siamo d’accordo, e ci piace esprimere anche da parte nostra entrambi i sentimenti. Il tempo degli effimeri “andrà tutto bene”  e degli arcobaleni beneauguranti e favolistici è finito da un pezzo . Ma abbiamo capito – ed è già tanto – che tutto “andrà” e continuerà comunque ad andare. Grazie alla piccola folla dei nostri sangiuseppe senza volto e senza nome.

______________________________

  • In copertina: l’attore Oscar Isaac, che interpreta Giuseppe nel film Nativity .
  • A questo link, il testo integrale della lettera apostolica Patris Corde di papa Francesco:

http://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco-lettera-ap_20201208_patris-corde.pdf

 

La lotta continua di De Gregori per la pace

Scritto da DARIO COPPOLA.

 

 

La scelta della vita religiosa, se accompagnata da coerenza e concreta santità (“santo” significa separato, distinto dagli altri per vera eccellenza…), affascina De Gregori:

«[…] Nella tua stanza, sotto il ritratto di Sturzo,/ il crocifisso ti faceva l’occhiolino e tu pregavi con la faccia sul cuscino,/ un po’ di pane e un po’ di vino./ E nella chiesa l’incenso che brucia se ne va,/ che lingua parla l’agnello che oggi morirà? /e chi lo benedirà… ah aaahh… /un po’ di pane e un po’ di vino… /Con la tua tonaca e il tuo breviario di Dio sei andato a spasso con la tua bicicletta verso il cielo/ con la tua sciarpa da bambino fin sugli occhi verso il paese dei balocchi/ E nella chiesa l’incenso che brucia se ne va/che lingua parla l’agnello che oggi morirà/ e chi lo benedirà… ah aaahh» (da “Vocazione 1 e 1/2” da “Theorius Campus“).

 

 

I versi del cantautore romano si fanno solenni nel parlare di Giovanna d’Arco:

 

 

 

«[…] Perché ho visto la Francia, dalla neve al mare,/ e sul piatto della bilancia la mia vita pesare/ e le colombe, i serpenti e gli sciocchi ed il rosso ed il nero/ e questo l’ho cantato con la voce che avevo./ Perché ho visto il mio destino, la mia stella di ragazza,/ sanguinare e bagnarsi sotto la mia corazza/ e dicono che una notte abbia sentito una canzone,/ una voce che chiamava e che diceva il mio nome» (da “Giovanna d’Arco“).

Francesco De Gregori ripropone tre sue vecchie canzoni, che esprimono il suo anelito di pace e giustizia,  nell’album “Tra un manifesto e lo specchio“, delle quali preferiamo (anziché commentare) riportare integralmente i testi:

 

 

«Santa Lucia, per tutti quelli che hanno occhi/ e gli occhi e un cuore che non basta agli occhi/ e per la tranquillità di chi va per mare/ e per ogni lacrima sul tuo vestito,/ per chi non ha capito./ Santa Lucia per chi beve di notte/ e di notte muore e di notte legge e cade sul suo ultimo metro,/ per gli amici che vanno e ritornano indietro/ e hanno perduto l’anima e le ali./ Per chi vive all’incrocio dei venti ed è bruciato vivo,/per le persone facili che non hanno dubbi mai,/ per la nostra corona di stelle e di spine,/ per la nostra paura del buio e della fantasia./ Santa Lucia, il violino dei poveri è una barca sfondata/ e un ragazzino al secondo piano che canta, ride e stona/perché vada lontano, fa’ che gli sia dolce anche la pioggia delle scarpe,/anche la solitudine» (“Santa Lucia” da “Banana Republic“).

Il secondo brano di questo nostro trittico conclusivo è una riflessione sull’avvento, sulla venuta di qualcuno… non si sa di chi… ma è indubbio l’inserimento di tale attesa nel brano intitolato “Natale“:

«C‘è la luna sui tetti e c’è la notte per strada/ le ragazze ritornano in tram ci scommetto che nevica,/ tra due giorni Natale ci scommetto dal freddo che fa./ E da dietro la porta sento uno che sale/ ma si ferma due piani più giù/ un peccato davvero/ ma io già lo sapevo che comunque non potevi esser tu/ E tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia e raccontami quello che fai se cammini nel mattino/ e ti addormenti di sera e se dormi, che dormi e che sogni che fai./ E tu scrivimi, scrivimi per il bene che conti/ per i conti che non tornano mai se ti scappa un sorriso e ti si ferma sul viso quell’allegra tristezza che c’hai/ Qui la gente va veloce ed il tempo corre piano come un treno dentro a una galleria/ tra due giorni è Natale e non va bene e non va male/ buonanotte torna presto e così sia./ E tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia/ e raccontami quello che fai se cammini nel mattino/ e ti addormenti di sera e se dormi, che dormi e che sogni che fai» (“Natale” da “De Gregori“).

Già Francesco De Gregori aveva cantato la morte di Babbo Natale:

«[…] E la neve comincia a cadere,/ la neve che cadeva sul prato/ e in pochi minuti si sparse la voce/ che Babbo Natale era stato ammazzato./ Così Dolly del mare profondo e il figlio del figlio dei fiori si danno la mano e ritornano a casa, tornano a casa dai genitori» (da “L’uccisione di Babbo Natale” da “Bufalo Bill“).

Il nostro trittico di testi, citati in toto, si conclude con la presenza, tutt’altro che edulcorata o idealizzata, di colui che ha detto, paradossalmente: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10,24): è proprio Gesù Cristo. Ma che intendeva? «Chi ha orecchi per intendere, intenda».

Intanto, ascoltiamo ciò che intende De Gregori, non prima di aver guardato questa Natività del Lotto, in cui compare già Gesù crocifisso:

 

 

«Gesù piccino picciò, Gesù Bambino,/ fa’ che venga la guerra prima che si può./ Fa’ che sia pulita come una ferita piccina picciò,/ fa che sia breve come un fiocco di neve./ E fa’ che si porti via la malamorte e la malattia,/ fa che duri poco e che sia come un gioco./ Tu che conosci la stazione e tutti quelli che ci vanno a dormire,/ fagli avere un giorno l’occasione di potere anche loro partire./ Partire senza biglietto, senza biglietto volare via,/ per essere davvero liberi non occorre la ferrovia./ E fa che piova un po’ di meno sopra quelli che non hanno ombrello/ e fa’ che dopo questa guerra il tempo sia più bello./ Gesù piccino picciò, Gesù Bambino comprato a rate,/ chissà se questa guerra potrà finire prima dell’estate,/perché sarebbe bello spogliarci tutti e andare al mare/ e avere dentro agli occhi, dentro al cuore, tanti giorni ancora da passare./ E ad ogni compleanno guardare il cielo/ ed essere d’accordo e non avere più paura,/ la paura è soltanto un ricordo./ Gesù piccino picciò, Gesù Bambino alla deriva,/ se questa guerra deve proprio farsi fa’ che non sia cattiva./ Tu che le hai viste tutte e sai che tutto non è ancora niente,/ se questa guerra deve proprio farsi fa’ che non la faccia la gente./ E poi perdona tutti quanti, tutti quanti tranne qualcuno,/ e quando poi sarà finita fa’ che non la ricordi nessuno» (“Gesù Bambino” da “Viva L’Italia“).

______________________________________

  • ASCOLTA QUI Vocazione 1 e 1/2” da “Theorius Campus“:

https://www.youtube.com/watch?v=UkuDg3IkC-0

  • ASCOLTA QUI Giovanna d’Arco:

https://www.youtube.com/watch?v=pLHon0SgGfU

  • ASCOLTA QUI Santa Lucia” da “Banana Republic” :

https://www.youtube.com/watch?v=27hFbX5BzJ0

  • ASCOLTA QUI “Natale” da “De Gregori“:

https://www.youtube.com/watch?v=KM2V4In0re0

  • ASCOLTA QUI L’uccisione di Babbo Natale :

https://www.youtube.com/watch?v=iPdzE1e3Agk

  • ASCOLTA QUI Gesù Bambino” da “Viva L’Italia

https://www.youtube.com/watch?v=u6P0VC3Fs5g

 

 

 

Le mele di Adamo

 

 

Scritto da MARIA NISII.

 

Il neonazista Adam viene mandato a scontare l’ultima parte della sua pena detentiva in una piccola parrocchia della campagna danese, adattata a comunità di rieducazione da padre Ivan, che ospita anche un ex terrorista pakistano, rapinatore di benzinai (Khalid), e un ex tennista obeso, alcolista, cleptomane e stupratore (Gunnar). Si unisce al gruppo una donna incinta (Sara), che arriva lì per chiedere consiglio al pastore sul da farsi: ha appena saputo che il figlio sarà portatore di handicap e sta pensando di abortire. Ivan la convince a tenerlo, rivelandole di essere padre felice di un figlio disabile.

 

 

Adam osserva con occhio critico, ma con poche parole, il piccolo mondo a cui è stato affidato e in particolare Ivan, di cui non riesce ad accettare l’atteggiamento positivo. E lo spettatore ne assume pian piano il punto di vista, dato che l’occhio della macchina da presa sembra adottare il suo

 

 

Ogni personaggio appare di conseguenza grottesco, esasperato, ai limiti della comicità. E questo significa che la storia non è costruita per favorire empatia o compatimento, neppure di fronte ai drammi di Ivan, di cui presto Adam viene a conoscenza dalle ciniche parole del medico: la madre è morta di parto dopo averlo dato alla luce, il padre lo ha violentato per tutta l’infanzia, la moglie si è suicidata per l’incapacità di sopportare un figlio spastico e paralizzato e lui ora ha un tumore al cervello. Ivan però rifiuta di guardare alla verità della sua vita, rifugiandosi in una visione parallela, nella quale trova nel diavolo il facile capro espiatorio a cui attribuire lacolpa di tutto quello che gli capita. Allo stesso modo nega la realtà di fallimento del recupero di Khalid e Gunnar, che continuano il primo a rubare e il secondo a bere.

 

 

Preso possesso della stanza fatiscente che gli viene destinata, Adam sostituisce un ritratto di Hitler al crocifisso che trova appeso, ma lascia al suo posto una Bibbia che Ivan gli porta il primo giorno. Le vibrazioni a cui è sottoposto l’alloggio ogni mattina al suono delle campane e lo sbattere violento della porta fanno però cadere più volte il volume, che Adam vede aprirsi sempre alla stessa pagina: l’inizio del libro di Giobbe. All’ennesima volta si convince a leggerlo, per poi raccontarne a Ivan la storia come spiegazione dei suoi guai: è Dio, non satana, a volere il suo male.

 

6Ora, un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore e anche Satana andò in mezzo a loro. 7Il Signore chiese a Satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo». 8Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male». 9Satana rispose al Signore: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? 10Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. 11Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!». 12Il Signore disse a Satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui». Satana si ritirò dalla presenza del Signore.13Un giorno accadde che, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del fratello maggiore, 14un messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi. 15I Sabei hanno fatto irruzione, li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».16Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».17Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I Caldei hanno formato tre bande: sono piombati sopra i cammelli e li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».18Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore, 19quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».20Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò 21e disse:

“Nudo uscii dal grembo di mia madre,

e nudo vi ritornerò.

Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,

sia benedetto il nome del Signore!”.

22In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

(dal libro di Giobbe, cap. 1)

 

Dopo essersi reso esegeta dei mali del pastore, Adam infierisce sull’uomo – già annichilito dalla rivelazione giobbica (che ammette di non aver mai letto) – picchiandolo selvaggiamente in una notte di tempesta, in cui anche il cielo sembra infuriare come a simulare la voce divina nel tuono:

 

1 Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine:
2 Chi è costui che oscura il consiglio
con parole insipienti?
3 Cingiti i fianchi come un prode,
io t’interrogherò e tu mi istruirai.
4 Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra?
Dillo, se hai tanta intelligenza!
5 Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai,
o chi ha teso su di essa la misura?
6 Dove sono fissate le sue basi
o chi ha posto la sua pietra angolare,
7 mentre gioivano in coro le stelle del mattino
e plaudivano tutti i figli di Dio?
8 Chi ha chiuso tra due porte il mare,
quando erompeva uscendo dal seno materno,
9 quando lo circondavo di nubi per veste
e per fasce di caligine folta?
10 Poi gli ho fissato un limite
e gli ho messo chiavistello e porte
11 e ho detto: «Fin qui giungerai e non oltre
e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde».
12 Da quando vivi, hai mai comandato al mattino
e assegnato il posto all’aurora,
13 perché essa afferri i lembi della terra
e ne scuota i malvagi?
(Gb 38)

 

 

Umiliato dal confronto obbligato con la verità della sua vita e per il rifiuto di Dio di cui ora si è persuaso, il pastore sente la sconfitta su tutti i fronti e avverte la propria morte come ormai imminente. La carica vitale che fino a quel momento l’aveva reso impermeabile al dolore – forse coincidendo con la sua stessa fede – si spegne improvvisamente. Venendo a mancare le sue sollecitazioni, Khalid e Gunnar rinunciano a ogni, pur scarso, tentativo di autolimitazione per ricadere nelle spirali di alcol e violenza. Ed è a quel punto che scatta la svolta in Adam, che sente di dover fare qualcosa per recuperare la situazione che egli stesso ha contribuito a esasperare.

In una commedia nera (o di umorismo nero), emergono – come visto – temi tutt’altro che ridicoli. Il titolo, di non casuale richiamo biblico, fa riferimento all’obiettivo che il nuovo arrivato si era prefissato per la sua riabilitazione: fare una torta con le mele dell’albero che sovrasta la canonica. Un traguardo che, se dapprima sembrava banale, è diventato gradualmente sempre più irraggiungibile: l’albero infatti viene assalito dai corvi, poi le mele infestate dai vermi e infine la pianta stessa colpita da un fulmine. Le poche mele salvate vengono mangiate da Sara, ignara del compito a cui erano destinate. E tuttavia Adam riesce a mantenere l’impegno assunto con l’unica mela salvata da Gunnard, che la restituisce dopo averla sottratta furtivamente. Con quella sola mela, Adam prepara una piccola torta che divide con Ivan. Il compito è stato assolto. Adam e Ivan hanno mangiato il frutto della conoscenza, che qui ha un insolito potere di guarigione – e, come Giobbe, sono entrambi pronti per la riabilitazione finale:

 

2«Comprendo che tu puoi tutto

e che nessun progetto per te è impossibile.

3Chi è colui che, da ignorante,

può oscurare il tuo piano?

Davvero ho esposto cose che non capisco,

cose troppo meravigliose per me, che non comprendo.

4Ascoltami e io parlerò,

io t’interrogherò e tu mi istruirai!

5Io ti conoscevo solo per sentito dire,

ma ora i miei occhi ti hanno veduto.

6Perciò mi ricredo e mi pento

sopra polvere e cenere».(Gb 42)

 

 

 

La vita può quindi proseguire. Ivan guarisce miracolosamente dal tumore, come Giobbe dalla lebbra:

 

10Il Signore ristabilì la sorte di Giobbe, dopo che egli ebbe pregato per i suoi amici. Infatti il Signore raddoppiò quanto Giobbe aveva posseduto. 11Tutti i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo; banchettarono con lui in casa sua, condivisero il suo dolore e lo consolarono di tutto il male che il Signore aveva mandato su di lui, e ognuno gli regalò una somma di denaro e un anello d’oro.12Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato. Così possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. 13Ebbe anche sette figli e tre figlie. 14Alla prima mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Argentea. 15In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell’eredità insieme con i loro fratelli. (Gb 42)

 

E Adam diventa suo fedele aiutante, quale ricompensa delle perdite subite nel passato. Fa da sfondo musicale, soprattutto quando Ivan non vuole rispondere alle scomode domande di Adam, How deep is your love il noto brano dei Bee Gees. Per aver mangiato del frutto della conoscenza, nel finale, sarà lo stesso Adam a farla suonare in macchina, in compagnia del pastore e di due nuovi arrivati.

 

 

Bene e male, colpa ed espiazione, sono i temi celati in questa storia dai tratti insoliti, raccontata sullo sfondo di un paesaggio nordico di cultura protestante (o quel che ne resta). Bene e male si scontrano, anche violentemente, nei protagonisti – nell’uno subendo, nell’altro infierendo. Colpa ed espiazione sono invece variamente ritratte nei tanti personaggi che compaiono sulla scena, rappresentanti della malvagità umana, ma qui mostrati in un lato farsesco sebbene mai sprezzante. In una narrazione del genere è allora tutto possibile: è possibile che un nazista legga le Scritture invece del pastore che sa solo citarle a raffica, così come diventa possibile che il frutto della conoscenza riabiliti invece di punire. Esegesi politicamente scorretta o riscrittura esuberante?

Neppure il soprannaturale sembra escluso dalla scena – nella curiosa sorte del melo, nella notte di rivelazione e di tempesta, nella guarigione di Ivan – anche se non tutti possono accoglierlo. Il cinico medico infatti, non potendo riconoscere l’inaccettabile, fa le valigie per allontanarsi da quanto gli risulta incomprensibile. Come Adam, forse, dovrebbe mangiare il frutto della conoscenza. Ma questo ormai è abbattuto e comunque sarebbe un’altra storia.

______________________________

 

  • Le mele di Adamo (Adams æbler) è un film del 2005 diretto da Anders Thomas Jensen.
  • How deep is your love è una ballata pop scritta e incisa  dai Bee Gees nel 1977. Puoi ascolatrla al link seguente:

https://www.youtube.com/watch?v=yYkBaNHQgoE

Silenzi e rumore: la tristezza del giovane ricco.

 

Scritto da  LORENZO CUFFINI.

 

 

Riscrittura inconsapevole (1)  di Quaresima.

 

 

Gesù avvicinato dal giovane ricco.

Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: “Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”. Egli rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Ed egli chiese: “Quali?”. Gesù rispose: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso”. Il giovane gli disse: “Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?”. Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”. Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze

( Matteo 19, 16-30)

______________________

Ma perchè mi hai parlato così? Perché mi hai chiesto l’impossibile? Non  ho sempre vissuto secondo la legge e i comandamenti? Ho sempre osservato tutte queste cose: e adesso devo sentirmi dire che  non è servito a nulla? Ma non lo vedi? Quello che mi chiedi è impraticabile. E’ irrealizzabile. E’ tanto, è troppo. E’ tutto. No, no, no: è fuori dal mondo, quello che mi chiedi. Basta. Basta. Me ne sono andato. Me ne sono dovuto andare. Via da te, lontano da te.Voglio solo dimenticare. Te e le tue parole, te e il tuo invito crudele, te e la strada a senso unico che mi hai indicato: senza uscita, senza ritorno. Voglio star solo, non voglio più vederti, non voglio più ascoltarti. Me ne vado in giro, senza parlare con nessuno, senza sapere bene dove andare. Mi sforzo di non ricordarle, le tue parole, mi sforzo di dimenticarle, e dimenticarle in fretta.

Ma per quanto io scappi, la mia mente torna da te. Per quanto adesso mi faccia paura risentire tra me e me la tua voce, il silenzio che ti ho imposto, quello della tua mancanza, mi pesa, mi opprime e mi ferisce. E alla fine, non so bene come e quando, le tue parole me le ritrovo addosso, me le ritrovo dentro, mi scoppiano nei pensieri, mi riempiono la testa, mi agitano il cuore. Invece di starsene zitte, parlano, e parlano fortissimo. Tornano e ritornano e  ritornano ancora, anche se non voglio.. Io non so se ascoltarle – o anche solo sentirle –  mi faccia bene, mi convenga. Perché adesso so  che sono pericolose, so che tu sei pericoloso: per la mia tranquillità, per il mio quieto vivere, per il mio sentirmi a posto con me stesso e con Dio;  so che non  li troverò mai più.

Ma, alla fine di tutto, il fatto è uno e uno soltanto: che io non ce la faccio, io non lo sopporto. Io non lo posso sopportare , questo silenzio innaturale tra me e te.

____________________

“Fai rumore”

di Diodato.

 

Sai che cosa penso,
Che non dovrei pensare,
Che se poi penso sono un animale
E se ti penso tu sei un’anima,
Ma forse è questo temporale
Che mi porta da te,
E lo so non dovrei farmi trovare
Senza un ombrello anche se
Ho capito che
Per quanto io fugga
Torno sempre a te
Che fai rumore qui,
E non lo so se mi fa bene,
Se il tuo rumore mi conviene,
Ma fai rumore sì,
Che non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale
Tra me e te.
E me ne vado in giro senza parlare,
Senza un posto a cui arrivare,
Consumo le mie scarpe
E forse le mie scarpe
Sanno bene dove andare,
Che mi ritrovo negli stessi posti,
Proprio quei posti che dovevo evitare,
E faccio finta di non ricordare,
E faccio finta di dimenticare,
Ma capisco che,
Per quanto io fugga,
Torno sempre a te
Che fai rumore qui,
E non lo so se mi fa bene,
Se il tuo rumore mi conviene,
Ma fai rumore sì,
Che non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale tra me e te.
Ma fai rumore sì,
Che non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale,
E non ne voglio fare a meno oramai
Di quel bellissimo rumore che fai.

______________________________________

  • Ascolta a questo link  il brano originale:

https://www.youtube.com/watch?v=FvO1ZALmVkQ

 

  • (1) Riscritture inconsapevoli: canzoni scritte dai loro autori  per motivi e contesti tutti diversi, eppure in grado di rappresentare, almeno a qualche orecchio, un pezzo di Scrittura, che si riscopre lì dentro, come inconsapevolmente richiamata.

 

Le tentazioni di satana al cinema

 

Scritto da MARIA NISII.

 

Se Rosalinda Celentano nei panni di satana nel discusso film di Mel Gibson, La passione di Cristo, appare nei momenti cruciali a segnalare come la tentazione accompagni tutta la passione, non si tratta dei soli eccessi del cinema di Hollywood di cui questa pellicola è mostruoso esemplare. Già l’esegesi tende infatti a leggere l’episodio delle tentazioni nel deserto come anticipazione di quanto Gesù vivrà in tutta la sua vita terrena. Più che un evento isolato nel tempo si tratterebbe piuttosto di un incessante combattimento, tipico della condizione umana, che lo avrebbe accompagnato fino al Getsemani (allontana da me questo calice, Mc 14,36) e ancora sul Golgota (se sei davvero figlio di Dio, scendi dalla croce…, Mt 27,40). In tale prospettiva stupisce meno la presenza di questo satana dai tratti androgini sin dalle prime scene della pellicola ambientate nel Getsemani. “Come può qualcuno sopportare i peccati del mondo intero?” sono le parole insinuanti del maligno, avvolto nella stessa luce blu che accompagna i tormenti di Cristo, tingendo così il sudore di sangue (Lc 22,44) di una tonalità che esprime isolamento, solitudine, tristezza.

A un tratto da una narice del tentatore si vede muovere la coda di un vermiciattolo, che prende poi forma di serpe per avvicinarsi al Cristo, il quale, un momento prima di sentir sopraggiungere la scorta armata che arriverà ad arrestarlo, lo schiaccia con un sol colpo del calcagno, assumendo così il pieno dominio di sé.

 

Non pago di questi iniziali effetti da cinema horror, durante l’estenuante flagellazione (10 minuti in cui Gesù è frustato prima con le verghe e poi con i flagelli, davanti e dietro – come più tardi croce e crocifisso saranno voltati sottosopra e i chiodi ribattuti perché la carne possa essere martoriata in ogni dove e il corpo diventare poltiglia), si usa il fermo immagine per rivelare la presenza di satana, unica figura in movimento, che ora tiene in braccio un bambino mostruoso, parodia insieme della pietà e della natività.

 

Altri bambini diabolici hanno tentato e perseguitato Giuda quando, pentito,è tornato dai sacerdoti a restituire il denaro e poi si è nascosto dietro la casa di Caifa (secondo il racconto della mistica Caterina), da dove viene spinto verso un colle isolato e,reso folle, si è impiccato.

Satana torna ancora nella via Crucis, come a rivaleggiare con gli sguardi della madre. Ma infine, deformato dalla rabbia, non gli resta che gridare il suo disappunto dal profondo degli inferi quando, con la morte, Cristo ha portato a termine il sacrificio di sé.

 

* * * * *

Altri film tendono a riprodurre l’episodio delle tentazioni nella nota tripartizione, seppur con una rielaborazione di contenuto e forma. È così che L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese le esemplifica nell’apparizione di tre immagini (serpente, leone, fuoco) rappresentanti lussuria, potere, idolatria. Ma qui l’immaginario colorito non è del regista, che lo assume quasi tal quale dal romanzo di Nikos Kazantzakis.

Il serpente: “Il suo corpo è bello, dolce, abile. Tutte le nazioni sono passate su di esso, ma è a te che Dio l’ha destinato, già fin dalla tua infanzia, prendilo! Dio ha fatto l’uomo e la donna perché si adattino l’uno all’altra come la chiave alla serratura. Aprila. In essa vi sono i tuoi figli, intorpiditi, raggomitolati e aspettano che tu soffi su di essi per scongelarsi, alzarsi e uscire, camminare al sole…” (p. 250-1).

Il leone: “non osi guardare dentro di te, nelle tue viscere e nel tuo cuore per vedermi… Perché mi guardi con occhio dubbioso, perché il tuo cuore pensa subito al male? Credi che io sia una tentazione mandata dal Maligno per perderti? Eremita scervellato, che forza può avere una tentazione proveniente dall’esterno? La fortezza non può essere conquistata che dall’interno. Sono la voce che viene dal più profondo del tuo animo, sono il leone che è in te …” (p. 254).

Il fuoco: “che tu lo voglia o no, mi ascolterai perché è giunta l’ora. Prima che tu nascessi, ho scelto te fra tutti gli uomini. Agisco e splendo in te, non permetto che ti abbandoni alle piccole virtù, alle piccole gioie, alla felicità terrena. E ora, in questo deserto in cui ti ho portato, è venuta la donna e l’ho cacciata; sono venuti i regni della terra e li ho cacciati. Sono io che li ho cacciati, io, non tu. Riservo per te un destino ben più grande, ben più difficile” (p. 257).

Dopo aver rifiutato ognuna delle tentazioni, il Gesù di Scorsese, che assume i connotati di un tormentato Willem Dafoe, morde una mela, colta dall’albero che gli si è improvvisamente materializzato di fronte, lì in mezzo al deserto. Ma il frutto, appena addentato, spruzza un succo sanguigno che gli imbratta il viso. Si tratta di un’invenzione del regista, a cui l’immaginario eccentrico di Kazantzakis non deve essere parso sufficiente. La traduzione in immagini – si sa – può richiedere più di un intervento e qui il lancio della mela insanguinata che Gesù-Dafoe rivolge a satana evidentemente (!) meglio risponde alle parole che il tentatore pronuncia prima di andare: “A presto, un giorno ci incontreremo di nuovo: a presto!” (p. 258).

* * * * *

Una via ancora diversa è stata adottata da Alessandro D’Alatri ne I giardini dell’Eden, un film che racconta gli anni della vita nascosta di Gesù – che in questa versione acquista le sembianze del nostrano Kim Rossi Stuart – dal suo bar mitzvah agli inizi del ministero pubblico. E se gli sceneggiatori volevano indagare la coscienza dell’uomo Gesù costruendo un interessante (ma non aproblematico) romanzo di formazione attento alla ricostruzione storica, l’episodio nel deserto assume funzione emblematica del percorso tracciato. Al cugino Giovanni-Johannan infatti rivela: “io sento che il Signore mi sta indicando qualcosa, ma non ho ancora capito. Sto inseguendo un dubbio e non riesco a raggiungerlo”. “Fa’ che sia lui a seguirti: portalo con te nel deserto, là non potrà più nascondersi” gli risponde l’altro.

Nella scena successiva Gesù-Jeousha è già nel deserto ( https://www.youtube.com/watch?v=7FFSzCbu73w ) dove come prima cosa avvista un serpente (e dagli!), che egli facilmente aggira con una vaga inquietudine dipinta sul volto. Ma non è in quelle vesti che gli giunge il tentatore, ritratto nella forma di un vecchio avvizzito, avvolto da una stregonesca veste nera. Prima di questa scena aveva già fatto sentire la sua presenza, con lo stesso richiamo vocale, una sorta di grido lamentoso che aveva spinto Jeousha in un villaggio di lebbrosi. Ora, nel deserto, gli si avvicina lentamente con la voce stridula e l’incedere dinoccolato. È notte, Jeousha è seduto accanto a un fuoco, satana gli si siede di fronte: i due si fissano a lungo, duellando con lo sguardo. Ma alla logorrosi insensata e beffarda (possibile interpretazione dell’infernale “stridore di denti”) di questo diavolo sdentato, vegliardo ridicolo, corrisponde il silenzio composto di Jeousha.

Il vecchio si alza e inizia a danzargli intorno, ma il giovane ha chiuso gli occhi e il suo viso appare disteso, inaspettatamente sereno, come mostra la ripresa in primissimo piano e poi nel dettaglio degli occhi che si riaprono con una nuova incipiente coscienza. A questo punto la telecamera si allontana per inquadrare in campo totale: ora un cerchio di fuoco circonda i due, come creato dal movimento circolare di un satana che si agita e grida.

Jeousha sorride, ma un istante dopo, all’improvviso, assesta un colpo al vecchio atterrandolo. I due lottano, rotolandosi nella sabbia al suono di una musica tribale, fino al graduale allontanarsi della macchina che inquadra in primo piano il fuoco per garantire il cambio di scena, in cui la musica cessa, lasciando gradualmente il posto al dolce suono di una nenia. Quando l’occhio della camera si riavvicina, appare l’immagine insolita di un satana ammansito e dormiente tra le braccia dell’uomo che, ancora seduto, si dondola per trasmettere il movimento del suo corpo all’essere domato che gli dorme in grembo. Lentezza e tranquillità del dondolio sono il segno di questa nuova consapevolezza, che ha richiesto il passaggio nel deserto, là dove la domanda che Jeousha aveva dentro è uscita allo scoperto. Una domanda, vecchia come il mondo si direbbe, che egli ha prima combattuto con la forza del lottatore e poi definitivamente domato con dolcezza materna. Un’apoteosi di simboli di marca italiana, meno raccapricciante di quella hollywoodiana ma non meno fiabesca, esuberante, barocca.

Che il romanzo di formazione sia giunto a termine lo scopriamo nel repentino cambio scena, che al successivo stacco inquadra due dita sporche di fango strofinare gli occhi di un cieco: Jeousha, che ora sa, aiuta anche gli altri a vedere. La missione può iniziare.

 

I poeti: angeli musicanti caduti sulla terra (II parte)

Scritto da DARIO COPPOLA.

 

È il realismo che domina sull’aspetto visionario delle immagini di Francesco De Gregori, sia pure un realismo irrigato da una battente pioggia di spiritualità:

«Ogni giorno c’è un pezzo di strada da macinare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E una lacrima che sa di pioggia e che sa di sale /Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ti aspetterò così come si dice che si deve fare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non sarò mai troppo stanco di stare a aspettare/ Un altro giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non c’è niente di stabilito tutto può cambiare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non esiste un cavallo sicuro su cui puntare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ogni giorno metto in tavola qualcosa da mangiare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E certe volte non trovo parole per ringraziare/ Per ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E ognuno cerca di fermare il tempo e il tempo non si sa fermare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ognuno cerca di passare il tempo e il tempo si vede passare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ A volte mi sento come un prigioniero da liberare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ma non ci sono sbarre e non c’è modo di scappare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ogni giorno c’è un pezzo di strada da ritrovare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E una lacrima da benedire e da conservare/ Per tutti i giorni di pioggia che Dio manda in terra».

(Testo integrale di Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra da Per brevità chiamato artista).

 

 

Sembra quasi di guardare dipinti come L’Angelus di Millet

 

 

E’ un realismo, anzi un neorealismo manieristico, non scevro di citazioni, quasi a evocare così la figura di Pasolini alla quale De Gregori ha dedicato una bellissima canzone:

«Non mi ricordo se c’era luna, e né che occhi aveva il ragazzo,/ ma mi ricordo quel sapore in gola e l’odore del mare come uno schiaffo./ A Pa’. /E c’era Roma così lontana, e c’era Roma così vicina,/ e c’era quella luce che li chiama, come una stella mattutina./ A Pa’. /A Pa’. /Tutto passa, il resto va./ E voglio vivere come i gigli nei campi, come gli uccelli del cielo campare, e voglio vivere come i gigli dei campi, e sopra i gigli dei campi volare».

(Testo integrale di A Pa’).

È chiara la citazione dell’Evangelo secondo Matteo, al quale Pasolini si era ispirato per realizzare un capolavoro della storia del cinema: «[…] per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete […] Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?[…] E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro […] Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» ( Mt 6, 25-33).

Il Vangelo secondo Matteo… e Pasolini: un maestro di vita per De Gregori? Un mito? Sembra di sì… Sicuramente anche un… angelo custode.E De Gregori, alla maniera di Pasolini, ama gli ultimi, gli oppressi, gli affamati e assetati di giustizia, quelli che popolano le nostre strade e fanno la vera storia d’Italia:

«Suona da quindici anni dove lo pagano per suonare/ una vecchia fisarmonica gli puo’ bastare/ Ha gli occhi sempre troppo gentili di uno che beve parecchio/ e non si guarda mai alle spalle né o allo specchio/ e vive dentro a un seminterrato con un cane per compagno/ saranno quasi diecimila anni che non fa il bagno/ Non ha diritto a nessuna pensione perché non ha lavorato mai/ ha una faccia da mascalzone ma non vuole guai/ e fischia quando deve chiamare gli amici/ chiede scusa prima di andare via/ scappa sempre quando vede in giro la polizia […] E i turisti lo chiamano Ulisse/ ma il vero nome chissà qual è/ ma a lui gli va benissimo anche quello e se lo tiene per sé […] allora suona da quindici anni/ dove lo pagano per suonare/ e una vecchia fisarmonica gli puo’ bastare/ la sera quando smette di faticare/ si sente libero come una piuma/ chiude nel fodero la fisarmonica/ e ne accende una e poi pensa/ ‘Mannaggia alla musica dopodomani gli dico addio’ /ma poi si siede in faccia al golfo di Napoli/ e ringrazia Dio».

(da Mannaggia alla musica  dall’album Tra un manifesto e lo specchio).

(2. Fine)

___________________________________________

 

 

I poeti: angeli musicanti caduti sulla terra (I parte)

Scritto da DARIO COPPOLA.

 

I poeti sono come degli angeli.Voci dell’inesprimibile… tracce del mondo infinito ingoiato dal finito. Anche i cantautori, a volte, sono bravi poeti. Francesco De Gregori, uno di loro, ci guida in questo percorso.

 

«Passa l’angelo, passa l’angelo/ E nessuno può vedere/ Passa l’angelo, passa l’angelo/ E fa segno di tacere./ E dice sono venuto a sciogliere/ E non a legare/ Sono venuto a sciogliere/ E non a spezzare/ Passa l’angelo, passa l’angelo/ E ti fa segno di andare/ Passa l’angelo, passa l’angelo/ E ti lascia passare/ Passa l’angelo, passa l’angelo/ E ti offre da bere/ Passa l’angelo, passa l’angelo/ E finisce il bicchiere/ E dice sono venuto a prendere/ E non a rubare […] E dice non devi piangere/ E non ti devi spaventare/ Passa l’angelo, passa l’angelo/ E nessuno può vedere […] E fa segno di tacere/ Passa l’angelo, passa l’angelo/ E ti offre da bere […]»

(da L’angelo dall’album Calypsos di Francesco De Gregori).

Chi sono gli angeli? Nei secoli l’angelo è divenuto il guardiano, il custode, il protettore individuale di ognuno. L’angelologia ha elaborato fra gli angeli delle gerarchie. Anche i filosofi neoplatonici rinascimentali li hanno inseriti nelle gerarchie piramidali che emanano dall’Uno, che è Dio. San Tommaso d’Aquino aveva già scritto «Seraphim vero denominatur ab ardore caritatis» e «Cherubim denominatur a scientia» (Summa Theologiæ,I, q. LXIII, a. 7) per dire che si chiamano Serafini, tra gli angeli, quelli che ardono per l’amore, e Cherubini quelli che si distinguono per la loro sapienza. Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli (la gerarchia più precisa è quella dello Pseudo-Dionigi, nel libro De Cælesti hyerarchia, IV-V secolo): queste sono, ancor prima, definizioni ricavate dal visionario Libro dell’Apocalisse (Ap 12. 14. 16) e dalle lettere di Paolo agli Efesini (Ef 6,12) e ai Colossesi (Col 1,16); ma già nell’Antico Testamento compaiono gli angeli, ad esempio, in Genesi (Gen 3, 24), Esodo (Es 25, 18-22), Numeri (Nm 21, 6-8), Deuteronomio (Dt 8, 15),  Tobia (Tb ), Isaia (Is 6, 1-13), Daniele (Dn 10, 13-21). Tuttavia, anche nel primo libro di Enoch (Libro dei Vigilanti) compaiono gli angeli… per non parlare delle culture diverse da quella ebraica. Tutto questo immaginario ha derivazioni dall’originaria filosofia neoplatonica, ma soprattutto dalle culture e delle religioni antiche. L’angelo, dal greco aggellos, è colui che dà notizie, è il messaggero divino. Conosciamo anche i nomi degli angeli – anzi degli arcangeli – più famosi, cioè a dire Gabri-El (Potenza di Dio), Mica-El (Chi come Dio?), Rafa-El (Dio guarisce), e infine l’arcangelo scomparso Uri-El (Luce di Dio): si trattava di divinità antiche, che poi vennero assorbite nei culti giudaico, cristiano e islamico. La desinenza -El designa, infatti, la divinità in ebraico. Recita un salmo, utilizzato anticamente per gli esorcismi: «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede» (Sal 91 [90], 11-12). Gli angeli sono dunque gli eredi delle divinità positive, benevole e favorevoli all’uomo. Quelle negative, invece, sono confluite nel retaggio satanico, tanto caro a chi, perciò, si preoccupa della musica rock… Tra queste divinità, nella Bibbia ebraica, troviamo citate le antiche divinità malevole e sfavorevoli all’uomo, come Belzebù, Astarte, Belial.

Torniamo ora sui racconti di De Gregori:

«Fu la visione di Anna Maria con il rosario tra le dita/ Ad incantare lo stregone e a fargli cambiar vita/ Lasciò la scena in un vestito grigio, lasciò un messaggio con un sorriso/ Diceva: “Parto per Lione, e cerco un angelo del Paradiso/ “Salì sul treno che portava a Bruxelles, ordinò cognac e croissants/ Fece l’elenco dei suoi beni futili nella carrozza restaurant/ Pensò alle ville e alle piscine, ai pezzi rari da collezione/ E fece un voto come san Francesco per il suo angelo di Lione/ E cantò l’Ave Maria, almeno i versi che ricordava/ Mentre guardava dal finestrino l’ombra del treno che lo portava e ad occhi chiusi sognò quei due fiumi, il Rodano e la Saône/ Simbolo eterno delle due anime maschio e femmina di Lyon/ Restò ad aspettare sul vecchio ponte, pensò all’incontro di un anno fa/ Ma i giorni vanno e diventano mesi, quattro stagioni son passate già/ Ora il suo abito è tutto stracciato, somiglia proprio ad un barbone/ Gira le strade e cerca ad ogni passo il suo angelo di Lione/ Stanotte nella cattedrale mille candele stanno bruciando/ Le tiene accese suor Eva Maria a mano a mano che si van consumando/ E dentro ai vicoli come in sogno trascina il passo lo straccione/ Il vecchio scemo fuori di testa per il suo angelo di Lione/ E cantò l’Ave Maria, almeno i versi che ricordava/ Mentre fissava sui vecchi muri la propria ombra che lo seguiva/ E attraversò quei due sacri fiumi, il Rodano e la Saône/ E l’acqua scura come il mistero di quell’angelo di Lyon»

(testo integrale di L’angelo di Lyon dall’album Per brevità chiamato artista).

 

( continua )

______________________________________

 

 

 

Anna la “religiosa” e Simeone “il giusto”

Scritto da  NORMA ALESSIO.

 

I personaggi di Anna e Simeone compaiono nelle scritture in un’unica scena dell’evangelista Luca che si svolge all’interno del tempio, conosciuta come “Presentazione di Gesù nel tempio e la Purificazione di Maria”.“Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore, e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore”.(Lc 2,22-24)

In essa si distinguono vari significati: la consacrazione del bambino all’appartenenza alla comunità israelitica e religiosa ebraica, la purificazione di Maria e le profezie di Simeone e Anna.

Anna e Simeone sono due testimoni necessari perché l’avvenimento sia riconosciuto come autentico, come è scritto nel Deuteronomio (19,15). Simeone, uomo giusto e timorato di Dio,“mosso dallo Spirito, si recò al tempio”,  Anna  invece, servendo Dio notte e giorno “non si allontanava mai dal tempio” (Lc 2,37)  e“sopraggiunta in quel momento”(Lc 2,38), insieme a Simenone accoglie il bambino.

L’evento rappresentato dagli artisti è stato di solito incentrato sul gesto di Simeone che prende Gesù ai suoi genitori, come se li espropriasse: il Cristo Bambino è come se fosse in movimento, dinamico, impulsivo; a volte lo vediamo che cerca di abbracciare il vecchio, come se lo conoscesse da tempo, oppure se ne sta tranquillo tra le sue braccia .

Anna, definita “profetessa” nelle scritture, appare in secondo piano, talvolta addirittura assente, come nei dipinti di Raffaello, (1502-1503) conservato nella Pinacoteca Vaticana, o del Romanino (1529) nell’Accademia di Brera:

 

Raffaello, (1502-1503) Pinacoteca Vaticana

 

Romanino (1529), Accademia di Brera

 

quando è presente, è individuabile per l’aspetto anziano di una donna; alcune volte è nascosta al punto che bisogna cercarla. Osservando lo scomparto destro della predella della pala dell’ Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano(1423) oggi a Parigi al Museo del Louvre, si nota come Anna sia addirittura dietro a una colonna;in altri casi la si riconosce dal rotolo della profezia che tiene in mano dove è scritta in latino o greco la frase con cui si dice esplicitamente che è Gesù il “Redentore di Gerusalemme”.

Gentile da Fabriano (1423) , Parigi, Museo del Louvre

 

Nelle icone orientali troviamo la rappresentazione cosiddetta del “Vegliardo Simeone” con l’iscrizione “Colui che porta Dio” o letteralmente “Colui che riceve Dio”, dove c’è solo Simeone con Gesù tra le braccia; oppure, ma raramente, l’immagine apparentemente senza bambino, ma con la presenza reale suggerita dall’atteggiamento delle mani in risalto, dato dalle pennellate bianche, cosiddette lumeggiature, come il dipinto della seconda metà del XV secolo a Vicenza alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari.

 

 

A Padova, nella Cappella degli Scrovegni (1300-1305),Giotto esalta la naturalità della figura di Simeone dipingendogli gli occhi socchiusi, penetranti, che scrutano a fondo il mistero del Bambino.

 

Giotto, (1300-1305) , Cappella degli Scrovegni

 

Invece Rembrandt van Rijn, pittore olandese nato nel 1606 e morto nel 1669, dipinse più versioni della Presentazione, ma sempre con un’interpretazione originale lontana dall’iconografia consolidata. Essendo vissuto in un ambiente di religione protestante e in un periodo in cui le immagini sacre erano destinate alle case dei privati cittadini, poté permettersi una maggiore libertà espressiva, con un realismo che in un paese non protestante, e nell’interno di una chiesa, sarebbe stato ritenuto quasi sacrilego.Nella versione di Amburgo nel Hamburger Kunsthalle dal titolo “Simeone e Anna riconoscono in Gesù il Salvatore”, del 1628 circa, ci sono Maria, Giuseppe, Simeone e Anna, ed è proprio quest’ultima – in questo caso in primo piano al pari di Simeone – a manifestare con enfasi la meraviglia, lo stupore e l’emozione di fronte a un incontro tanto atteso quanto inaspettato. Il suo sguardo attonito, fisso su Gesù, le mani alzate in segno di lode.

Simeone tiene Gesù, circondato da un’aureola luminosa, deposto sulle ginocchia, “luce per illuminare le genti e gloria del popolo Israele”.

 

 

 

 

Rembrandt van Rijn, 1628 circa, Amburgo, Kunsthalle

 

 

__________________________________

  • In copertina: Particolare da Giotto, Presentazione al Tempio, Cappella degli Scrovegni, Padova