DOVE SI TROVA?

 

 

Scritto da  NORMA ALESSIO.

A volte, dalla sola analisi dei vari titoli abbinati ad alcuni dipinti di pittori fiamminghi del XVI secolo, non si comprende dove possa essere il riferimento religioso, ma dall’osservazione diretta cerchiamo di scoprire dove si trova.

Un esempio: “Donna con la bilancia” o “La pesatrice di perle” (1664) di Johannes Vermeer Van Delft,( riportato nella immagine di copertina)  esposto alla National Gallery di Washington DC, nel quale una giovane incinta, con espressione assorta, osserva il bilancino che solleva sopra il piano del tavolo; sulla parete di destra un grande dipinto raffigura il Giudizio universale dove, sotto l’immagine di Cristo in gloria, avviene la drammatica scena in cui le anime sono giudicate. Di fronte alla giovane sta uno specchio: rimando simbolico? espressione della riflessione della propria coscienza?

L’“Ecce Homo”, conosciuto come “Scena di mercato(1550) di Pieter Aertsen, conservato all’Alte Pinakothek di Monaco, ha sullo sfondo uno scorcio della folla davanti a Pilato, mentre il primo piano è dominato da una scena di mercato con carri e bancarelle dei venditori.

 

Banco di macelleria, con Sacra Famiglia che distribuisce elemosine” (1551) di Pieter Aertsen

 

Il “Banco di macelleria, con Sacra Famiglia che distribuisce elemosine o Banco di macelleria, con Fuga in Egitto(1551) è un’altra opera di Pieter Aertsen, dove il banco di una macelleria, ingombro di vari tagli di carne, è in primo piano, mentre la scena sacra, richiamata nella seconda parte del titolo del quadro, è inserita sullo sfondo, dove vediamo una scena ispirata al Vangelo di Matteo e a tradizioni apocrife, secondo le quali, durante la Fuga in Egitto Giuseppe e Maria con Gesù si soffermarono a distribuire ai poveri il poco cibo che possedevano.Sempre di Pieter Aertsen è l’opera dal titolo “Marta prepara il pranzo per Gesù” (1552) in Francia a Torlone al Museo d’Arte.

Ne I quattro elementi: terra” (1569) alla National Gallery di Londra, di Joachim Beuckelaer, vediamo in primo piano una “natura morta”, costituita dai prodotti della terra, con due popolane intente una a promuovere la propria mercanzia e l’altra a valutare i prodotti da acquistare, rigorosamente provenienti dalla terra, da mettere nel proprio paniere. Sullo sfondo a sinistra, appena visibile, le minuscole figure della Sacra Famiglia attraversano un ponte di pietra in lontananza.

J Beuckelaer La cucina ben fornita con Gesù, 1566

 

 

Pieter AertsenCristo nella casa di Marta e Maria-1552

 

Continuando, solo dai titoli di dipinti di Joachim Beuckelaer come “La cucina ben fornita, con Gesù a casa di Marta e Maria sullo sfondo” (1566) al Rijksmuseum di Amsterdam e sempre di Pieter Aertsen Cristo nella casa di Marta e Maria” (1552) al Kunsthistorisches Museum di Vienna, si comprende in quale modo la loro arte evidenzi  la progressiva perdita di centralità e preminenza del soggetto storico o mitologico rappresentato a favore di un ruolo molto più significativo concesso al contesto quotidiano. In primo piano domina un’abbondanza di oggetti, tra i quali un gran pezzo di carne di agnello rappresentato con grande realismo, reso con colori forti, e il garofano conficcato in un pezzo di lievito non ancora pane, che rimandano il primo al sacrificio del Cristo e il secondo all’incarnazione di Gesù e al mistero eucaristico.

 

J. Beuckelaer – Pesca miracolosa- 1563

 

Ne “La pesca miracolosa“ (1563) di Joachim Beuckelaer esposta al The Paul Getty Museum di Los Angeles, è preponderante il tema del mercato del pesce elaborato all’interno del motivo classico della Pesca miracolosa e il riferimento religioso anche qui è ridotto nel paesaggio sullo sfondo della rappresentazione.

Molteplici furono i motivi di questo nuovo modo di rappresentare il “sacro”: innanzitutto un concomitante cambio di committenza, da una essenzialmente ecclesiastica con destinazione pubblica a una borghese destinata alla fruizione privata, che interessava per lo più il nuovo ceto mercantile sviluppatosi in alcune città delle Fiandre e dell’Olanda, ma quella dominante fu dovuta alla situazione politico religiosa del periodo. In Olanda, in città come Amsterdam o Haarlem, essere cattolici dalla seconda metà del XVI secolo, voleva dire essere perseguitati; i preti rischiavano di essere giustiziati dai calvinisti e anche dopo la pace comunque continuò la discriminazione e chi non era calvinista non poteva praticare il culto se non in modo clandestino. I calvinisti erano contrari alle immagini e distrussero gli ornamenti e i dipinti all’interno delle chiese; nonostante ciò la fede cattolica permaneva tra la popolazione. In questa situazione era difficile per un pittore trovare occasioni per esprimersi in quanto cattolico, così che alcuni trovarono il modo – anche se osteggiati dal radicalismo calvinista – inserendo i soggetti religiosi di dimensioni miniaturizzate contenute sullo sfondo, dietro un primo piano in cui predominano scene “di genere”, raffiguranti ambienti profani, personaggi popolari e “nature morte”.

Le rappresentazioni di scene della storia sacra erano già integrati nell’arte fiamminga delle origini con oggetti vari, e l’attualizzazione degli eventi narrati nei dipinti; ora invece questi elementi, che appartengono alla scena del vissuto, guadagnano il primo piano, divenendone in apparenza il soggetto principale, resi in maniera monumentale e scenografica, mentre il sacro viene spinto sempre più sullo sfondo.Il soggetto religioso diventa all’apparenza una semplice citazione visuale ed è pertanto tollerato in quanto non più oggetto di culto, ma nascosto nella composizione della vita quotidiana.

Ma l’allusione spirituale è sempre presente.

La geografia dei vangeli

 

 

Scritto da  GIAN LUCA CARREGA.

Un recente libro di Tim Marshall (Le 10 mappe che spiegano il mondo) ha stimolato il mio interesse per la questione della geografia nella comprensione dei vangeli. Di solito non si dà molta rilevanza a questo aspetto, al massimo ci si preoccupa dell’attendibilità storica degli evangelisti. Eppure anche questo lato della questione ha il suo perché nella composizione di un racconto.

Non dobbiamo presumere che gli evangelisti avessero particolari nozioni geografiche e anzi sembra che Luca ritenesse che la Samaria, anziché fare da cuscinetto tra la Giudea e la Galilea, fosse collocata al loro fianco. I vangeli tirano in ballo numerosi elementi che hanno a che fare con la geografia: città e villaggi, pozzi, strade, montagne, fiumi… Il punto che forse più divide gli studiosi è il valore da attribuire a questi elementi. Si tratta di ricordi precisi di testimoni oculari che aiutano a ricostruire la scena come davvero è avvenuta oppure sono dati puramente teologici? La risposta a questo interrogativo è tutt’altro che semplice.

 

 

Da un lato occorre riconoscere che gli elementi geografici hanno spesso un valore simbolico che è rilevante per la comprensione del racconto. Un caso esemplare è costituito dal più famoso dei discorsi di Gesù, quello che Matteo colloca su un monte e che da lì prende appunto il nome di Discorso della montagna (Mt 5-7). Luca riporta una parte consistente dello stesso discorso, ma lo ambienta in pianura. Che dei due ha ragione? Poiché è evidente che si tratta di una costruzione redazionale fatta a tavolino, che raggruppa tematicamente diversi brani che Gesù deve avere pronunciato in occasioni diverse, la questione è irrilevante. Né in montagna, né in pianura (né tanto meno su un altipiano) Gesù ha effettivamente pronunciato questo discorso così come si trova. Luca lo ha ambientato in uno spazio che potesse davvero contenere una folla numerosa, Matteo ha voluto dargli un significato più allusivo, che rimandasse alla salita di Mosè sul monte Sinai per ricevere le tavole della Legge.

Parimenti il fatto che Giovanni Battista pratichi il suo rito di purificazione sulle sponde del Giordano ha un chiaro valore simbolico, essendo quel fiume un luogo che tradizionalmente ha richiesto delle scelte etiche (ad esempio al tempo di Giosuè e dell’ingresso nella Terra promessa). Ma qui il dato simbolico può effettivamente corrispondere al ricordo storico e anzi è assai naturale che Giovanni usufruisse della più importante risorsa idrica del territorio.

Infine ci sono indicazioni geografiche che, di per sé, non paiono connesse a un significato simbolico e quindi possono rimandare essenzialmente ad un ricordo storico dell’evento: la piscina di Betzata presso la porta delle pecore in Gv 5,2 o la menzione del portico di Salomone in Gv 10,23.

 

Resti della Piscina di Betzata

 

Valore simbolico e ricordo effettivo sono due categorie che non si escludono a vicenda, ma non è necessario trovare un valore teologico a tutte le indicazioni geografiche che si trovano nei vangeli, altrimenti si corre il rischio di far dire agli evangelisti molto più di quello che intendevano affermare.

Yossl Rakover si rivolge a Dio

Scritto da MARIA NISII.

 

“In una delle rovine del ghetto di Varsavia, tra cumuli di pietre carbonizzate e ossa umane, sigillato con cura in una piccola bottiglia, fu trovato il seguente testamento, scritto da un ebreo di nome Yossl Rakover nelle ultime ore del ghetto” (Zvi Kolitz, Yossl Rakover si rivolge a Dio).

 

Il Ghetto di Varsavia dopo la Seconda Guerra Mondiale

 

Sedici mesi dopo la fine della guerra, Zvi Kolitz scrive un racconto sulla shoah, che fortunatamente non ha vissuto solo perché la sua famiglia ha lasciato la Lituania appena in tempo, nel 1937. Il testo viene pubblicato da un giornale di Buenos Aires per l’edizione speciale della festa ebraica del perdono (Yom Kippur) e da quel momento vive di vita autonoma rispetto al suo autore, tanto da essere ritenuto un manoscritto autentico del ghetto di Varsavia, come suggerito in apertura da una consolidata tradizione letteraria, oltre che in continuità con altri appunti e messaggi realmente rinvenuti nell’ex ghetto in bottiglie e bidoni del latte.

Il racconto è spesso pubblicato anonimo, più o meno intenzionalmente, e in un caso si dice persino che Kolitz sarebbe venuto a conoscenza della vicenda del protagonista. Infine, nel 1963 Emmanuel Lévinas scrive un breve saggio sul testo, definendolo “bello e vero, vero come solo la finzione può esserlo”.

Yossl Rakover racconta brevemente la morte di ciascuno dei membri della famiglia del protagonista, moglie e sei figli. Infine resta lui solo, Yossl, bloccato in una delle ultime postazioni del ghetto, da dove si è difeso per giorni insieme ad altri uomini, che nel frattempo sono tutti morti:

Scrivo queste righe con la faccia al suolo, e intorno a me giacciono i miei compagni morti. Guardo i loro volti e mi sembra che vi aleggi una tranquilla ma divertita ironia, quasi mi dicessero: ‘Pazienta ancora un po’, stolto uomo, tra pochi istanti tutto sarà chiaro anche a te’”.

 

Corpi di ebrei fucilati sul posto nel Ghetto di Varsavia

 

Gli resta ormai poco da vivere e vuole usare questo tempo per rivolgersi al suo Dio, che ama e che non accusa di quanto ha subito e sofferto. Se infatti si paragona a Giobbeho vissuto con onestà e amato Dio con tutto il cuore. Un tempo egli benedisse la mia vita con la prosperità, ma la prosperità non mi rese superbo – subito aggiunge che la sua fede in Dio non è cambiata. Non gli chiede conto del perché lui e tanti come lui stiano soffrendo ingiustamente. Su questo, anzi, ha idee proprie: ritengo che… quando la furia degli istinti domina il mondo, chi rappresenta la santità e la purezza debba essere la prima vittima.

E dopo aver dato sfogo ai tanti sentimenti che ancora combattono in lui, Yossl si avvicina alla morte tranquillo, certo che entro breve si unirà alla sua famiglia e ai tanti uccisi. Ma la sua dichiarazione d’amore per Dio non è del tutto pacificata e, pur nella sua straziante tenerezza, suona quasi come una sfida. Yossl grida la sua fede in Dio – è il “Dio per adulti”, secondo la splendida definizione di Lévinas – al cielo vuoto dal quale Dio ha ritirato il suo volto:

Hai fatto di tutto perchè non avessi più fiducia in Te, perché non credessi più in Te, io invece muoio così come sono vissuto pervaso da un’incrollabile fede in Te.

 

 

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  • In copertina : Marc Chagall, Giobbe ( 1975)

 

EL MALE RAHAMIM

FAI  MEMORIA

 

 

 

EL MALE RAHAMIM (DIO MISERICORDIOSO) – Versione italiana di Riccardo Venturi

Dio Misericordioso nell’alto dei cieli
concedi il giusto riposo
sotto le ali della presenza divina
tra i santi ed i puri
che brillano come lo splendore del firmamento
all’anima di questo tuo figlio
che è andato al suo mondo
per la carità ottenuta
per il ricordo della sua anima.
Che dunque il Signore di Misericordia
lo nasconda tra le Sue ali per sempre
e avvolga la sua anima nella vita eterna.
Dio sia la sua eredità,
e possa riposare in pace nella Sua protezione,
e diciamo: Amen.
Per tutte le anime
dei sei milioni di Ebrei
scomparsi nella Shoah d’Europa
uniti alla santificazione del Nome
uccisi, abbattuti, bruciati
per mano degli assassini tedeschi
e dei loro accoliti d’altri popoli
e tutta l’Assemblea prega
perché le loro anime siano elevate.
Che dunque il Signore di Misericordia
lo nasconda tra le Sue ali per sempre
e avvolga la sua anima nella vita eterna.
Dio sia la sua eredità
e possano riposare in Paradiso
e si attengano alla loro sorte fino alla fine dei giorni
e diciamo: Amen.

 

 

EL MALE RAHAMIMTesto ebraico trascritto in caratteri latini  da Riccardo Venturi.

el màle rahamìm shòkhen bameromìm
hàmtse menuhà nekhonà
al kanfèi shekhinà
bema’alòt kedoshìm utehorìm
kezohàr harakì’a mazhirìm
et nishmàt plòni ben plòni
shehalàkh le’olamò
ba’avùr shinedàvu tsedàka
be’àd hazkaràt nishmatò
làkhen ba’àl harahamìm
yastirèhu besèter knafàv le’olamìm
veyitsròr bitsròr hahayyìm et nishmatò
adonài hu na’halatò
vayanùakh beshalòm al mishkavò
venomàr amèn
et kol haneshamòt
shel shèshet milyonèi hayehudìm
halalèi hashoàh beeiròpa
shenehèrgu, shenishhètu, shenisràfu
ushenosàfu ‘al kiddùsh hashèm
biyedèi hamertsahìm hagermanìm
veozrèhem mishèar haamìm
baavur shekol hakahal mitpalel
lè’ilùi nishmotèhem
làkhen, ba’àl harahamìm
yastirèhu besètèr knafàv le’olamìm
veyitsròr bitsròr hahayyìm et nishmotèihem
hashèm hu ne’halàtam
begàn edèn tehè menu’hàtam
otàm zakhàr
venomàr amèn.

 

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  • In copertina : Vignetta di MAURO BIANI per Il Manifesto, 2019

Il tempo ordinario di Fabrizio

Scritto da LORENZO CUFFINI.

Si è appena ricordato il ventennale della morte di Fabrizio De André, ed ecco che, per una semplice motivazione di calendario,  a questa data segue  la  ripresa del tempo liturgico ordinario.

Un susseguirsi  che suggerisce una constatazione banale ma significativa.  Faber – oltre a tutto il resto – occupa  ormai un posto tutto suo  nella “ storia” dei riscrittori del Vangelo. Con la sua   attenzione  costantemente  mirata  sul lato umano di  Gesù di Nazaret, ce lo riscrive visto  nell’ordinario della   quotidianità , guardato con occhi  laicissimi: i suoi, e quelli della  gente comune a cui dà voce nelle sue canzoni .Un  mondo piccolo e dolente,da cronaca spicciola e spesso nera,  periferico e pullulante di ultimi,  che si sceglie come compagno privilegiato  e come  fratello di esistenza  Non così diverso e lontano dal popolo che incontriamo da sempre nelle pagine scritte dagli evangelisti – anche se la consuetudine all’ascolto e la devozione d’abitudine hanno finito con l’appannarne non  poco la realistica crudezza.

Tra i tantissimi possibili, ecco tre esempi del modo in cui  De André  ha raccontato a tutti noi il suo Gesù. Due sono notissimi, uno meno conosciuto.Quest’ultimo è un brano del 1967 Si chiamava Gesù,  e così ne parla don Andrea Gallo  “: …il figlio di Maria  raccontato come un uomo fra gli uomini, che non era riuscito a togliere il male dalla Terra, accettando lacrime e spine. Sta scritto anche nel Vangelo: «Et Verbum caro factum est», il Verbo si è fatto carne: Uomo. Alla Rai sembrò scandaloso e scattò la censura, la Radio Vaticana ne fu entusiasta.”(1) . Prima della Buona Novella e di altri pezzi più celebri, già qui ci sono i due poli tra cui si sposta la narrazione di Faber a proposito del Nazareno: un uomo come tutti gli altri, (“non fu altri che un uomo come Dio passato alla Storia“) eppure radicalmente, rivoluzionariamente diverso da tutti gli altri per la sua capacità di amare sempre, dovunque e comunque :

” inumano è pur sempre l’amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l’ultima voce
chi lo uccise tra le braccia di una croce”

 

Gli altri due pezzi sono  famosissimi. Quando , nel 2015, si trattò di scegliere la scaletta dei brani per SINGDONE, il  grande concerto per l’Ostensione  ideato e organizzato dalla PastCulTo ( l’Ufficio per la Pastorale della Cultura della Diocesi di Torino) per De André la scelta cadde proprio su queste due canzoni, che sembrarono quelle maggiormente in linea con il tema dell’evento: “Uomo, tra noi”. Spiritual è tra i pezzi più immediatamente orecchiabili e “easy” all’ascolto dell’intero repertorio di De André: tanto che l’autore stesso lo considerava non all’altezza dei suoi brani migliori, snobbandolo esplicitamente.Eppure, la sua sonorità diretta e accattivante, la scansione ritmica e apparentemente compiacente delle parole del testo, la citazione complice del genere musicale a cui si rifà quasi sfacciatamente, fin a partire dal titolo ,  mettono le ali ai piedi di questa che si presenta come una curiosa preghiera andata/ritorno, diretta verso il cielo perché il cielo scenda sulla terra.:

“Dio del cielo, se mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a cercare.”
.

 

Il testamento di Tito , all’opposto, è brano  lungo, scolpito, senza facili strizzate d’occhio. Una rilettura puntuale e polemica  dei Dieci Comandamenti, un’ accusa beffarda del  modo di intenderli legalistico e formale, fatto con la passione e la rabbia di chi sa di essere lontano, anima e cuore, dal moralismo e dall’osservanza perbenista della legge. Eppure, in chiusura , si risolve  come in una resa, altrettanto appassionata e sincera, davanti  al vissuto in carne e ossa, in grado- quello sì!- di  toccare  l’anima e d’ insegnare l’amore.

io nel vedere quest’uomo che muore, 
madre, io provo dolore. 
Nella pietà che non cede al rancore, 
madre, ho imparato l’amore”.

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(1) Tratto da IL VANGELO SECONDO DE ANDRÉ
«Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria» – dall’Introduzione di don Andrea Gallo

Il battesimo di Gesù

Scritto da MARIA NISII.

 

“Molte persone scendevano al fiume in quel chiaro mattino. Mi trovai a camminare non lontano da uno contornato da un piccolo gruppo di seguaci – dieci o al massimo dodici – che procedeva raccolto, o semplicemente attento a non incespicare sui sassi e le asperità del largo sentiero. Rivolgendogli la parola, coloro che gli stavano vicino, lo chiamavano Rabbi, e lui rispondeva a voce molto bassa, se pur rispondeva. Era bello – lui il più bello tra i figli degli uomini – e alto di persona, ma esile”. (Giuseppe Berto, La gloria, Bur 2001, p. 22)

 

Battesimo di Gesù (mosaico della basilica di san Marco a Venezia)

 

L’episodio del battesimo di Gesù è riportato in tutti e tre i vangeli sinottici, con una ripresa anche nel vangelo di Giovanni e questo dato depone a favore della sua storicità.Le differenze, non insolite tra le tre versioni, riguardano soprattutto la teofania: lo squarcio dei cieli, lo Spirito discendervi in forma di colomba e la voce che proclama Gesù “Figlio diletto” – il particolare dello Spirito in forma di colomba è l’unico elemento presente anche nella versione giovannea. Se quindi la teofania è riportata in modo pressoché invariato nei tre sinottici, quello che cambia è il destinatario della visione: in Matteo e Marco sembra trattarsi di un’esperienza riservata al solo protagonista, mentre in Luca è godibile da tutti i presenti. Infine, mentre in Matteo e Marco la visione appare dopo l’emersione di Gesù dalle acque, in Luca Gesù è colto in preghiera dopo aver ricevuto il battesimo. Il contesto in cui il brano è inserito e l’aggiunta di Matteo sul compimento della giustizia aprirebbero poi ad altre interpretazioni, che lasciamo a successivi approfondimenti.

Questa veloce lettura in parallelo dei vangeli, come in tanti altri casi in cui ci troviamo di fronte allo stesso racconto, dimostra che per poco o tanto, ogni vangelo “riscrive” la vicenda originaria a cui spesso non abbiamo altro accesso. Di queste piccole o grandi differenze forse ci accorgiamo a malapena nella lettura liturgica o personale, per quell’abitudine inestirpabile a comporre un solo racconto da quei quattro. Ma come può quell’uno-in-quattro costituire “il” racconto? Si tratta di una specie di corto-circuito che, mentre fa saltare ogni fondamentalismo, rende invece tanto più appassionante la ricerca. Specie la ricerca di chi quella storia continua a riraccontarla, anche senza pretese di storicità o di fedeltà agli eventi, ma piuttosto per un qualche desiderio di comprendere le pieghe dell’umano che in quell’evento è rivelato e insieme celato.

 

Piero della Francesca, Il Battesimo di Cristo

 

È il tentativo, tra gli altri, del vangelo secondo Giuda che Giuseppe Berto scrive nel 1978, in cui il punto di vista è quello del traditore per antonomasia che in questo romanzo assume un volto alquanto diverso dalla tradizione che ne ha fatto la summa di ogni abiezione. Giuda secondo Berto è un personaggio complesso e problematico, in affannoso e instabile cammino verso una luce che lo aiuti a comprendere il destino suo e quello del suo popolo: “Io, Giuda Iscariota, nato a Gerusalemme da padre mercante, cresciuto nell’ombra del Tempio, istruito nella Legge e nelle Scritture, osservante delle norme e dei precetti, legato agli zeloti per cospirazione e fuggito dalla città santa per scampare alla croce, percorrevo le terre d’Israele ansioso che l’Eterno Adonai si manifestasse mostrandomi un segno della sua potenza, o della sua vanità. Ero giovane, e impaziente” (p. 9-10).

Nell’attesa impaziente di quel tempo propizio, Giuda si chiede persino se sia lui l’Unto, il Messia promesso. Ma, andato al Giordano per verificare le “molte e contrastanti voci” che circolavano su Giovanni il Battezzatore,vede sopraggiungere un Rabbi con un piccolo seguito (cfr scena riportata in incipit).Il racconto del noto episodio del battesimo di Gesù ci viene quindi incontro dal suo sguardo di giovane inquieto, fervente di una passione ancora senza oggetto.

Così presentato, il punto di vista di Giuda racconta di un Giovanni a sua volta preso da agitazione alla vista del Rabbi, il cui parlare si fa esaltato e bisognoso “d’interpretazione – che significava agnello di Dio? perché non pastore, piuttosto? E poi: togliere il peccato?” (p. 23).La scena qui ha meno Gesù al centro e più le reazioni dei due, che si muovono tra l’inquietudine di Giuda e l’eccitazione di Giovanni. Il Rabbi invece, quasi inconsapevole di quanto la sua presenza stia suscitando, scende nel fiume per immergersi fino al bacino. Il Battezzatore compie quindi il consueto gesto del lavacro sul capo e sta per pronunciare la consueta invocazione, quando si interrompe per gridare “come un matto: ‘Ho visto lo spirito scendere dal cielo in forma di colomba: testimonio che costui è il figlio di Dio!” (p. 24).

 

Guido Reni, Battesimo di Cristo

 

Preso dallo sconcerto per ciò che ha sentito ma non visto, Giuda si avvicina per meglio vedere quel Rabbi e da quel momento la sua vita cambia per sempre: “vidi che il suo sguardo – che mai si posò su di me – aveva il potere di sottomettere. Mi trovai a pensare, essendo in grandissima emozione e confusione, che sarei morto per lui – ciò che poi accadde – se me l’avesse chiesto” (p. 25).

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  • In copertina : Immagine del Battesimo al Giordano, tratto dal  GESU’ DI NAZARET di Franco Zeffirelli, ( Michael York e Robert Powell )

La tridimensionalità dei Magi

 

 

Scritto da GIAN LUCA CARREGA.

 

Puntuali ad ogni Epifania, ecco arrivare i Magi. Coi loro doni (oro, incenso e mirra), con i loro nomi (Gaspare, Melchiorre e Baldassarre), con le loro razze (un semita, un africano e un indoeuropeo), con i loro cammelli e dromedari. Eppure la base da cui si parte, il vangelo di Matteo, che è l’unico testo canonico a parlare della loro visita, è molto più sobria: dei Magi, venuti da Oriente, portano i tre doni a Gesù. Ma quanti sono, da dove vengano e come si chiamino, beh, è tutta una rielaborazione successiva.

 

Gentile da Fabriano , Adorazione dei Magi ,1423- (elaborazione).

 

Intendiamoci, non c’è nulla di male in tutto questo, perché in fondo è l’evangelista stesso che utilizza un genere letterario fiabesco e quindi stimola l’aggiunta di nuovi dettagli che rendono più vivace il racconto e la tradizione raffigurativa. Per noi, però, è importante capire come si è evoluta questa ramificazione della tradizione. Che i Magi siano tre è una pura convenzione e in alcuni ambienti sono diventati quattro, otto, persino dodici. Il fatto che abbia prevalso il numero di tre sembra una questione collegata ai tre doni: ci va almeno un Magio per dono e nessuno arriva a mani vuote! I nomi compaiono soltanto all’inizio del Medioevo e sono deformazioni occidentali di nomi recuperati da altri documenti più “esotici”. Quanto al fatto che fossero dei re (e nelle rappresentazioni pittoriche sono quasi sempre incoronati) occorre tenere conto di due fattori indipendenti.

 

Andrea Mantegna, Adorazione dei Magi, 1497-1500 circa

 

Da un lato c’è un fondamento storico, non perché i Magi in sé avessero prerogative reali, ma perché in Persia erano impiegati a corte e quindi avevano a che fare con l’ambiente regale. Dall’altro è assai probabile che siano stati trasformati in sovrani dalla tradizione per vedere nel loro omaggio il compimento del salmo 72,10:I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni”. È innegabile, poi, che il tributo recato al Re Gesù in qualche modo veniva inteso come una relativizzazione di tutti i poteri terreni, che nei Magi si sottomettevano a lui. Altri elementi, come i dromedari o i cavalli, il seguito di servitori, ecc., sono un corredo meno significativo in cui si è sbizzarrita la fantasia di artisti e pittori.

 

I doni secondo la fantasia postmoderna: “Hipster Nativity Set”, 2018(dal web) – Particolare dei tre Re magi.

 

Queste amplificazioni, comunque, sono sufficienti a farci individuare le direttrici attraverso cui ha operato la tradizione:

  • sottolineare l’universalità dell’omaggio a Gesù, vedendo nei Magi dei rappresentanti di tutti i popoli
  • amplificare la ricchezza e il lignaggio dei Magi per accrescere indirettamente la gloria di colui che ne riceve l’omaggio
  •  integrare la scarsità di informazioni del sobrio racconto matteano con delle notizie che vivacizzano il racconto

Queste integrazioni non hanno nuociuto al testo originale perché ne hanno rispettato lo spirito originale e possono essere annoverate come buoni esempi di rinarrazione amplificata.

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  • In copertina : Arturo Martini, Epifania (presepio), 1926, terracotta, cm 50 x 52, Fondazione Domus per l’arte moderna e contemporanea

“Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”

 

Scritto da NORMA ALESSIO.

Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14)

Osservando alcune raffigurazioni della natività di Gesù notiamo un personaggio insolito, di cui molte volte è controversa l’ identificazione: è l’ostetrica, o la levatrice, di nome Salome citata nel protovangelo di Giacomo del II secolo, uno dei testi cosiddetti apocrifi.

Nel raccontare l’avvenimento, questo testo aggiunge dei dettagli che nei vangeli canonici non troviamo: Io, Giuseppe,… Vidi una donna discendere dalla collina e mi disse: “Dove vai, uomo?”. Risposi: “Cerco una ostetrica ebrea”.( …) “. E la ostetrica andò con lui. Si fermarono al luogo della grotta ed ecco che una nube splendente copriva la grotta. L’ ostetrica disse: “Oggi è stata magnificata l’anima mia, perché i miei occhi hanno visto delle meraviglie e perché è nata la salvezza per Israele”.Uscita dalla grotta l’ostetrica si incontrò con Salome, e le disse: “Salome, Salome! Ho un miracolo inaudito da raccontarti: una vergine ha partorito, ciò di cui non è capace la sua natura“. Rispose Salome: “(Come è vero che) vive il Signore, se non ci metto il dito e non esamino la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito”. Entrò l’ostetrica e disse a Maria: “Mettiti bene. Attorno a te, c’è, infatti, un non lieve contrasto”. Salome mise il suo dito nella natura di lei, e mandò un grido, dicendo: “Guai alla mia iniquità e alla mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano si stacca da me, bruciata”. (…) Ed ecco apparirle un angelo del Signore, dicendole: “Salome, Salome! Il Signore ti ha esaudito: accosta la tua mano al bambino e prendilo su, e te ne verrà salute e gioia”. Salome si avvicinò e lo prese su, dicendo: “L’adorerò perché a Israele è nato un grande re”. E subito Salome fu guarita e uscì dalla grotta giustificata.

L’annuncio e il concepimento di Gesù è già anticipato  con grande solennità nel brano di Isaia che lo presenta come un segno divino, suscitando l’attesa di un concepimento straordinario. L’evangelista Matteo, a conferma di ciò, aggiunge: “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi“. (Mt 1, 22-23).

Spesso, e soprattutto nelle icone della tradizione orientale, sono normalmente in due le donne che assistono Maria, sempre intente a lavare il piccolo Gesù, a porgerglielo  per la poppata, a stemperare l’acqua nel bacile o ad asciugare i panni, mentre nelle natività dell’arte occidentale la figura della levatrice entra in scena in modi diversi: come nell’affresco di Giotto nella Cappella Scrovegni, dove una donna, che potrebbe essere Salome, è discosta, ai margini della capanna incassata nella roccia, e si china per sorreggere il bambino fasciato.

 

Giotto, Natività ( 1303/1305 ) Cappella degli Scrovegni , Padova

 

Un altro esempio è la levatrice dell’ Adorazione dei pastori di Georges de La Tour (1644), esposta a Parigi al Museo del Louvre. La donna non sa cosa guardare, se la ciotola d’acqua calda inutilizzata che ha in mano o quel Bambino venuto al mondo senza aiuto, senza doglie di parto, nato senza sangue, né lacrime. Le mani giunte di Maria proiettano sul petto, un’ombra che assume la forma di ali di colomba e ricorda le parole dell’angelo a Maria “lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra”. (Lc 1-35) che va a sottolineare l’evento straordinario.

 

Georges de La Tour , Adorazione dei pastori , (1644), Museo del Louvre, Parigi

Nell’Adorazione dei pastori di Pieter Paul Rubens  del 1608 (pala d’altare per la cappella Costantini nella chiesa di San Filippo Neri a Fermo nelle Marche, ora conservata alla pinacoteca),  la vecchia levatrice è accanto ai pastori e mostra a Maria le mani, fissandola in volto.

Pieter Paul Rubens, Adorazione dei pastori (1608) – pala d’altare dalla cappella Costantini – chiesa di San Filippo Neri – Fermo

Ancora, in una miniatura nel Libro delle ore (1420 circa)  della Natività  di Spitz Master, conservato al The J. Paul Getty Museum di Los Angeles, l’ostetrica compare alle spalle della Vergine, con l’aureola dorata, in devota venerazione, perfetta imitatrice di Maria, nella posa e persino nell’abito, ma ancora senza le mani, che però stanno prontamente arrivando “in volo”, portate da un cherubino.

Spitz Master, Natività  (1420 circa) miniatura dal Libro delle ore, Paul Getty Museum , Los Angeles

Infine nella Natività di Gesù di Lorenzo Lotto del 1528, conservato nella Pinacoteca nazionale di Siena, Salome – protagonista del miracolo della guarigione delle mani invalide, simbolo del dubbio che la donna ebbe sulla verginità di Maria – sono ritratte dal pittore nell’istante in cui sono rattrappite ambedue, e non una, come nel Protovangelo di Giacomo che le resta come “bruciata” o “inaridita” per aver voluto saggiare nell’intimo l’integrità di Maria.

Lorenzo Lotto , Natività di Gesù (1528), Pinacoteca Nazionale, Siena.

 

Il dubbio rimane sulla reale identità di questo personaggio e sul  suo ruolo nella scene ritratte dai pittori, ma quello che è certo è che il mistero della verginità di Maria è unico e irripetibile, come spiega Benedetto XVI nell’Angelus dell’8 dicembre 2011 (*), e il suo significato spirituale è legato alla fede di ogni cristiano.

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(*) http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/angelus/2011/documents/hf_ben-xvi_ang_20111208.html

  • In copertina: Rubens, particolare del Volto di Vecchia dall’Adorazione dei pastori di Fermo sopra citata.

 

Il “fiat! ” di Giuseppe

 

 

Scritto da MARIA NISII.

 

“E lei volò fra le tue braccia 
come una rondine,
e le sue dita come lacrime,
dal tuo ciglio alla gola,
suggerivano al viso,
una volta ignorato,
la tenerezza d’un sorriso,
un affetto quasi implorato.

E lo stupore nei tuoi occhi
salì dalle tue mani
che vuote intorno alle sue spalle,
si colmarono ai fianchi
della forma precisa
d’una vita recente,
di quel segreto che si svela
quando lievita il ventre.

E a te, che cercavi il motivo
d’un inganno inespresso dal volto,
lei propose l’inquieto ricordo
fra i resti d’un sogno raccolto. “

(Fabrizio De André, Il ritorno di Giuseppe)

 

Nella Buona novella si immagina una lunga assenza di Giuseppe, al cui ritorno una semplice carezza sul ventre della giovane sposa sarebbe sufficiente a suggerirgli la gravidanza. A dispetto dei fatti l’uomo non riesce a imputarle alcuna colpa e lei gli racconta l’incontro con l’angelo come in un sogno.

È tipico della sensibilità contemporanea porre l’accento sul carico che l’assenso di Maria non può che aver avuto sullo sposo, il quale avrebbe subìto una decisione che lo coinvolgeva, senza prendervi parte. Se infatti la Maria evangelica è vicina e affine all’autonomia delle donne di oggi, alla vita di coppia risultante dalla ricontrattazione dei ruoli, non pare accettabile che una decisione tanto impegnativa per entrambi non sia condivisa con l’altro. Gli odierni riscrittori trovano quindi vari stratagemmi per spiegare al lettore come Giuseppe abbia potuto comprendere e dunque assumere quella scelta al di fuori del paradigma onirico del racconto matteano – per inciso: il vangelo di Luca non fa propria tale preoccupazione ed è solo Matteo a riportare sinteticamente quello che è poi stato trasformato in dramma:

“Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.  Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.  Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. (Matteo 1,18-21)

Giuseppe figlio di Giacobbe di Silvana De Mari centra il racconto tutto sul dubbio e sul dolore suscitati dalla rivelazione dell’attesa di un “figlio dello Spirito” (p. 41) che Maria pronuncia semplicemente e aproblematicamente al giovane bello e innamorato, giunto da lei per prenderla in sposa. Attenta a non tradire di uno iota il dettato biblico, l’autrice si limita ad amplificare la narrazione per mostrare il turbamento dell’uomo di fronte alla violazione della legge, il tradimento più terribile. Giuseppe fugge verso l’Egitto – come già l’altro Giuseppe del libro della Genesi, figlio amato da Giacobbe e per questo detestato dai fratelli maggiori – a cui pure la versione matteana lo associa. Dopo un lungo girovagare e tormentarsi, sente farsi strada in sé la conferma dell’innocenza di Maria: forse era stata violata da un soldato romano, proprio come la loro terra. Lui però non può abbandonarla a se stessa con un figlio, in balìa della sorte, senza un marito accanto. Solo dopo aver preso la decisione di tornare da lei, arriva puntuale l’angelo in sogno per la rivelazione messianica che la sua libera accettazione aveva preparato.

 

Antonio Palomino, Il sogno di s. Giuseppe

 

Appena un po’ meno tormentato, ma ugualmente giovane bello e innamorato è Josef in In nome della madre di Erri De Luca. In questa versione però Miriàm è prodiga di parole, vicina e altrettanto innamorata al promesso sposo. Dunque è lei che lo aiuta ad accusare il colpo – “Mi stava a cuore il suo sgomento” (p.19) – con una forza nuova, sorta in lei da quell’annuncio. E infine, è ancora una volta lei a capire che lui le ha creduto: “Contro ogni evidenza si affidava a me. Sulla sua bella faccia non s’era mosso neanche un muscolo del sospetto, un aggrumo di ciglia, uno sguardo di sbieco… Mi aveva creduto, ero felice e calda di gratitudine per lui. “Fai quello che è giusto, Iosef. Io oggi sono tua più di prima, più della promessa” (p. 24). Anche qui, curiosamente, a quell’intuizione della donna, segue il sogno rivelatore che lo rende forte nella sua decisione di fronte alla comunità scandalizzata – non anticipando le nozze, infatti, la gravidanza della sposa risulta ben evidente.

 

Georges de la Tour, Il sogno di Giuseppe

 

Quest’ultimo dettaglio immaginato da De Luca sarà funzionale a sostenere che Gesù “un giorno dirà: ‘Chi è senza errore tiri la prima pietra’. L’ha imparato in famiglia. Josef non l’ha tirata” (La faccia delle nuvole, 12). Questo come altri ampliamenti presenti nelle riscritture sembrano tutto subito distorcere inutilmente il racconto originario, salvo poi mostrare la propria efficacia – letteraria, certo, ma talvolta anche teologica. D’altra parte, anche i racconti evangelici dell’infanzia non sono componibili – a loro volte midrash di racconti dell’Antico Testamento, dunque riscritture bibliche. La vicenda originaria è inarrivabile e dunque per comprendere l’evento che ha “tagliato il tempo in due” non si può che immaginarlo, ripensarlo, ri-raccontarlo.

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  • In copertina: San Giuseppe interpretato da Oscar Isaac in Nativity ( 2009)

 

 

Il ” fiat! ” di Maria.

 

 

Scritto da MARIA NISII.

 

A differenza dell’Annunciazione raccontata nel Vangelo di Luca, lo stesso episodio riportato nel Corano riconduce Maria al ruolo di “vera credente”, fedele e obbediente, dalla quale non si attende un consenso in quanto già implicito nel suo essere oggetto di quell’annuncio. «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34): come nel racconto evangelico, anche la Maria del Corano chiede ragione di questa gravidanza alla figura dalle sembianze umane che le si para innanzi (è lo Spirito che le appare in forma di “uomo perfetto”): “Come potrò avere un figlio…se nessun uomo m’ha toccata mai, e non sono una donna cattiva?” (Sura 19,20 – narrazione già anticipata nella Sura 3). Le risposte a questa obiezione si differenziano quanto a tono, ma risultano pressoché simili quanto a contenuto giacchè questo figlio nascerà grazie alla potenza divina e non attraverso il consueto canale generativo umano. E tuttavia il consenso evangelico di Maria non vede corrispondenza nel racconto coranico, immediatamente seguito dalla decisione di recarsi in un luogo lontano e quindi subito saltando – al versetto successivo con una notevole cesura temporale – alle doglie del parto (“Lo concepì e, in quello stato, si ritirò in un luogo lontano.I dolori del parto la condussero presso il tronco di una palma”,19,22-23). Non è irrilevante ricordare che l’islam attribuisce grande importanza alla figura di Maryam, la donna più elogiata nel Corano, l’unica a essere chiamata per nome, l’unica a cui sia dedicata e intitolata un’intera Sura, nominata ben 34 volte (contro le 19 del Nuovo Testamento!), di lei sola si dice che è “eletta” da Dio e preferita tra tutte le donne della terra. La venerazione mariana è attestata anche dai numerosi santuari in Medio Oriente, in cui si uniscono in preghiera cristiani e musulmani. In particolare nella pietà musulmana, Maria è considerata un simbolo di fertilità, amore materno e femminilità, ragione per cui la Sura 19 a lei dedicata è recitata dalle donne sterili, gravide e dalle neomadri.

 

 

Il sì di Maria è invece importante che sia esplicitato, perché questo più di altro ne dice l’umanità, evitando il rischio di considerarla divina, al pari di un principio creatore materno e femmineo che controbilanci il maschile dell’universo cristiano. Un rischio, questo, mai completamente messo al bando sin dalle origini, quando su di lei convergono i caratteri delle divinità femminili del mediterraneo, la Dea Madre dai tanti nomi (Ishtar, Iside, Artemide, Demetra, Persefone, Cibele), come attestato ne Le metamorfosi di Lucio Apuleio, che si rivolge a Iside in preghiera chiamandola “santa Vergine”, “Regina del cielo”, “Dispensatrice di Grazie”, “Regina del Mare”, “Stella mattutina”, “Salvatrice”, “Madre misericordiosa che ascolta e preghiere”:gli stessi appellativi che saranno poi attribuiti a Maria.

 

 

Proprio perché non è una dea ma una giovane donna, l’assenso di Maria scaturisce dalla sua personale libertà. E solo nella libertà può farsi strada il progetto divino per l’umanità: “Dio non lascia la parola, la sua parola dentro Maria affinché essa vi germogli come in un terra feconda, quasi a sua insaputa e indipendentemente dalla sua volontà. Dio scambia parole con Maria attraverso il suo messaggero, chiedendole se accetta che venga a vivere con lei, in lei” (Irigaray, Il mistero di Maria, 16). Per questo un celebre brano di s. Bernardo di Chiaravalle ritrae la scena come un fermo-immagine in cui tutta l’umanità, la creazione e la storia passata e futura sono come sospese, in attesa della risposta di Maria:

“Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito santo. L’angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione. Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati. Noi tutti fummo creati nel Verbo eterno di Dio, ma ora siamo soggetti alla morte: per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita.

Te ne supplica in pianto, Vergine pia, Adamo esule dal paradiso con la sua misera discendenza; te ne supplicano Abramo e David; te ne supplicano insistentemente i santi patriarchi che sono i tuoi antenati, i quali abitano anch’essi nella regione tenebrosa della morte. Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano.

O Vergine, dà presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna. Perché tardi? perché temi? Credi all’opera del Signore, dà il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola.

Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia, che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso.” (dalle Omelie sulla Madonna).

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In copertina: Immagine da Il Vangelo secondo Matteo, di Pierpaolo Pasolini.