“Fiat!”

Scritto da MARIA NISII.

 

“Da quel dì che fu detto “Ave”» (Paradiso, XVI, 34)  è iniziata una nuova storia, ovvero “il giorno uno della creazione” (come si esprime la Miriàm di In nome della madre di Erri De Luca) o meglio ancora il giorno che « ha tagliato il tempo in due » (secondo Lei di  Mariapia Veladiano).

Inutile dire come anche quel “sì” sia stato sottoposto al vaglio delle interpretazioni, qui indispensabile perché in gioco è la libertà umana, come ben spiega la protagonista di Lei:

“…come si fa a dire che tutto è già scritto e che per capitare ha bisogno di noi?… Avrei potuto dire di no all’ Angelo? Certo che avrei potuto, altrimenti il sì non avrebbe avuto alcun valore” (Veladiano, Lei, 34).

Se Maria non avesse potuto scegliere liberamente, la salvezza non sarebbe una buona notizia: l’uomo si ridurrebbe a burattino nelle mani di Dio e la sua vita a un libro già scritto.

 

 

 

È nel vangelo di Luca che compare l’episodio dell’Annunciazione, a conclusione del quale arriva l’assenso di Maria – Luca è l’evangelista che dà più spazio alla sua figura, ricordandola ancora in Atti al tempo della chiesa nascente. Il racconto della visita dell’angelo pone Maria in continuità con alcune figure veterotestamentarie, sebbene si tratti della prima volta che Dio si rivolge direttamente a una donna (escludendo la divertita schermaglia con Sara o la visita alla futura mamma di Sansone). Nell’Annunciazione Maria assume autonomamente la propria vocazione, a dispetto dell’ambiente che la vorrebbe soggetta al padre e al marito, che la giovane non si preoccupa di consultare prima di accettare la chiamata divina dicendo:

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

 

Il sì di Maria all’annunciazione andrebbe studiato in tutte le circostanze in cui si ragiona di donne, perché è quanto di più distante dall’ordine patriarcale si possa sperare di vedere… Il Signore annunciò ad Abramo, e non a Sara, che sarebbe rimasta incinta di Isacco. Fu Zaccaria e non Elisabetta a ricevere l’annuncio della gravidanza in tarda età di quel figlio che poi sarebbe diventato Giovanni il Battista. Invece questo misterioso visitatore non rispetta le regole, evita tutti i passaggi rituali del sistema tribale giudaico per rivolgersi direttamente a Maria, rendendola soggetto protagonista della scelta che più la riguarda, come è giusto oggi, ma come non era certo normale nel I secolo… Se l’angelo del Signore è un anticonformista, lei lo è di più. Per questo non accetta subito, ma si permette anche gli spazi della trattativa; al messaggero del Signore osa chiedere persino spiegazioni…” (Michela Murgia, Ave Mary, 115-6).

 

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In copertina : Simone Martini , L’Annunciazione, 1333, Galleria degli Uffizi , Firenze.

Gioele Dix e la Bibbia sporca di sugo

 

Scritto da LORENZO CUFFINI.

 

Sono passati più di  dieci anni  da quando Gioele Dix pubblicò  con Mondadori  “La Bibbia ha (quasi) sempre ragione” , ed ecco che ne esce una nuova edizione, ampliata, riveduta e corretta, edita questa volta da Claudiana .

 

Entrambe derivano da uno spettacolo teatrale originario, che ha girato nei teatri fino al 2007,  in cui l’attore/autore leggeva, rileggeva, interpretava e integrava la Bibbia, fino a riscriverla, maneggiandola con grande familiarità e confidenza, ma sempre con un fondamentale rispetto sostanziale e una costante “attualizzazione” delle pagine e delle storie sulle quali  si sofferma.

 

Quest’attualizzazione viene messa in atto senza forzare – quasi mai – la mano con richiami troppo plateali alla situazione o alla cronaca contemporanee, ma semplicemente  considerando  i personaggi raccontati  nella loro essenza reale,  cioè portandoli in scena e sulla pagina come veri, presenti,  dando  voce ed espressione ai loro sentimenti e alla loro sensibilità con il nostro stesso linguaggio. Cosa che  ce li rende da un lato vicinissimi, e dall’altro trasporta  gli spettatori/lettori come possibili eventuali co-protagonisti delle vicende stesse raccontate.

 

Quando invece si sceglie la strada della narrazione “ fuori campo”, in terza  persona, è quella dell’ ironia disincantata la nota che predomina. Questo permette di mantenere la narrazione in quello stesso alveo familiare e alla portata di tutti che tutti ci riguarda: il migliore antidoto alla consuetudine e al tono per addetti ai lavori. Entrambi  molto spesso infestano il modo in cui si parla della Bibbia, che rischia così di oscillare tra noioso già sentito e algida solennità: tutti e due  generatori formidabili di distacco.

 

“…Vorrei dire con un’immagine: mi piacerebbe vedere una copia della Bibbia sporca di sugo! Vale a dire, impastata con la vita…” ( Gioele Dix, intervista concessa a Brunetto Salvarani per Avvenire,14 agosto 2010.)

 

https://www.youtube.com/watch?v=QHiBL3zRBJ0

  • Gioele Dix, La Bibbia ha (quasi) sempre ragione, Claudiana Editrice, 2018.

Nato da donna ( Myriam, 2)

 

 

Scritto da  MARIA NISII.

Le attestazioni neotestamentarie – Nato da donna(Gal 4,4), figlio di Maria(Mc 6,3) – sottolineano il legame del Figlio alla madre invece che al padre, come avrebbe voluto la cultura patriarcale. Un legame indispensabile a dire la condizione carnale di Gesù, sebbene della figura storica della madre sappiamo davvero poco e al massimo possiamo desumere per differenza. Lavorare sui silenzi dei testi canonici non è un buon approccio per biblisti e teologi, ma è precisamente il filone su cui si è mossa la tradizione narrativa, dapprima apocrifa e poi letteraria, con interessanti intersezioni. Un ulteriore percorso di ricerca sarebbero poi le sacre rappresentazioni, nate per nutrire una fede popolare colorata di toni affettivi, ma altrettanto frutto dell’immaginazione.

 

“Vorremmo sapere dove ella (Maria) passò, come ella passò quei tre anni di vita pubblica del suo Figliuolo; specialmente dopo la morte di Giuseppe, che avvenne quasi subito. Vorremmo sapere se le giungevano notizie di lui, della sua predicazione in Galilea e Giudea, dei miracoli che egli faceva per consolare madri e padri con la guarigione e la risurrezione dei loro figliuoli. Vorremmo sapere se era al corrente del fatto accaduto alla vedova di Naim, cui aveva resuscitato l’unico figliuolo. Vorremmo sapere… Vorremmo sapere se qualche volta l’ha visto tornare – magari segretamente – al paese, varcare la soglia della povera casa, sedersi al povero desco e raccontare, raccontare, raccontare… tra le sue lagrime e i suoi baci” (Cesare Angelini, La Madre del Signore, 1961)

 

Il desiderio di colmare i vuoti evangelici è stato dunque il motore di questa vastissima produzione di testi, mossa da interessi e intenzioni differenti, dagli esiti talvolta eccezionali, altre volte problematici. Un panorama irriducibile che obbliga qualunque indagine alla necessità di porre un argine entro il quale muoversi, perché mentre ancora si sta lavorando il magma tentacolare della elaborazione attorno al tema mariano procede inarrestabile, inafferrabile, smisurato.

 

Otto Dix, Annunciazione

 

In Lei di Veladiano, l’indubbio ricorso all’immaginazione che ci si attende da ogni romanzo è tuttavia calibrato con cautela e delicatezza. L’io narrante aggiunge dettagli a una storia che essenzialmente non corregge, fin troppo attenta a restare negli argini della tradizione – sbilanciandosi volontariamente sul fronte della teologia e meno su quello della letteratura, capace tuttavia di dire molto anche laddove sembrerebbe tradire. Se infatti le riscritture letterarie non hanno necessariamente l’ambizione di interpretare un dato biblico, storico e teologico, offrono però un notevole contributo sul versante della recezione, mettendo in luce l’insoddisfazione delle storie ricevute o cercando nella via narrativa una possibilità di dialogo col mondo, che dai propri dubbi apra un fronte percorribile altro.

Anche Veladiano nutre le sue insoddisfazioni e così rivela, ad esempio, che la scena dell’annunciazione non può funzionare senza Giuseppe, che quindi inserisce come una presenza già stabile e legato a Maria da un rapporto d’amore, indubbiamente più necessario alla nostra odierna comprensione che alla storicità degli eventi – «Solo chi non sa niente dell’amore può pensarmi sola il giorno dell’Angelo» (p. 22). Giuseppe c’era ma non ha partecipato e Maria ha scelto anche per lui, da donna emancipata, in contrasto con il suo tempo – come un notevole filone interpretativo l’ha immaginata. Al cosiddetto “padre putativo” ridona pertanto nuovo spessore, in linea con le altre riscritture letterarie che tentano di far uscire questa figura dall’ombra in cui è relegata nei Vangeli: «Giuseppe è vero padre… ha trovato il riparo dove il Bambino è nato, ha messo il suo mantello sulla mangiatoia, è stato marito, madre, levatrice nell’ora del parto, ha tagliato il cordone e ha consolato il Bambino del primo brivido di vita terrena… Giuseppe è stato chiamato a essere padre del Bambino e padre anche mio, ha protetto chi gli è stato affidato… chi può dire che Giuseppe non sia padre?… Nessuno dica putativo. Giuseppe è padre come io sono madre. Per grazia. Gesù ha avuto due padri, per grazia» (p. 135).

 

Dono Doni, S. Giuseppe accetta la divina maternità di Maria (chiesa s. Andrea, Spello)

 

Se Lei rilegge la tradizione canonica tutto sommato con estrema accortezza, corregge invece le riscritture apocrife con altrettanta forza. È il caso dell’episodio degli uccellini di argilla a cui il piccolo Gesù avrebbe dato vita, descritto nel Vangelo dell’Infanzia secondo Tommaso e qui riproposto in una scena di grande tenerezza, in cui Maria si accorge che il suo bambino, inconsapevole delle conseguenze, stringe troppo forte nella mano un uccellino. Preoccupata dell’effetto che potrà produrre sul piccolo la scoperta di aver tolto la vita all’animale, gli si avvicina per scoprire che l’uccellino è nuovamente in grado di riprendere il volo non appena liberato dalla presa. Quel primo miracolo inconsapevole sarebbe poi passato di bocca in bocca, uscendone naturalmente deformato, quasi a offrire il resoconto di come possano essersi formati quei racconti non tradizionali (p. 83).

 

 

Caro Crivelli, Madonna col bambino

 

                                                     Pinturicchio, Bambin Gesù delle mani.                                                                                                                                                                                                

MYRIAM

 

Scritto da MARIA NISII.

 

 

Riguarda ormai ne la faccia ch’a Cristo

più si somiglia, ché la sua chiarezza

sola ti può disporre a vedere Dio.”

(Dante, Paradiso, XXXII, 85)

 

La faccia che a Cristo più si somiglia: sembrano dire tutto questi versi, mettendo a tacere ogni altra possibilità futura di trovare nuovi volti a Maria, donna e quindi madre di Cristo. La proliferazione di immagini che l’ha invece preceduta e seguita sembra dire che a tale ricerca non si può porre un argine, già che pure del Figlio si rinviene altrettanta moltiplicazione e dispersione. Vangeli, apocrifi, devozione popolare da una parte e quindi arte, letteratura, cinema, teatro e musica dall’altra compongono un caleidoscopio, irriducibile a qualunque ricerca che volesse condurre la molteplicità in unità. Ma ancora più del Figlio, il volto di Maria è soprattutto riscritto, riletto, ripensato in rappresentazioni ben poco sostenute dal dato biblico, in cui è scarsamente presente e ancor meno parlante.

 

 

«Sono stata scritta da uomini e donne di ogni tempo» (p. 5) sostiene infatti il geniale punto di vista della prima persona dell’ultimo romanzo di Mariapia Veladiano, che sceglie di raccontare la storia della madre di Gesù giocando innanzitutto con il ruolo della sua protagonista. In tanti l’hanno riletta e riscritta, affidandole nomi e caratteri con cui è stata invocata nei secoli. Veladiano le dà quindi la parola perché sia Lei a raccontarsi questa volta, ma lo fa costruendo un personaggio consapevole del destino che ha già subìto – «mi hanno raccontata in poesia, in pittura, in musica, nel vetro, nel ghiaccio immacolato, a punto croce, sulle volte delle cattedrali e sui selciati delle piazze, a chiacchierino e col tombolo» (p. 5) – mentre ri-narra la storia che «ha tagliato il tempo in due» (p. 164). L’io-narrante si presenta allora come la Maria della fede cristiana e insieme come un soggetto di finzione, che già conosce quanto farà seguito a quegli eventi originari, talvolta intravedendo il futuro con lo sguardo profetico ricevuto in dono nell’annunciazione, talaltre elevandosi a una posizione extramondana a metà tra il personaggio di un romanzo e la regina dei cieli.

«Di me non si sa da dove vengo, sono nata con mio figlio, resa madre dal suo apparire» (p. 6), dice di sé Maria, che in questo passaggio decide di non adottare la genealogia attribuitale dagli apocrifi, mentre altrove questi testi sono ben presenti, a partire dall’età più che matura di Giuseppe (p. 35). Le fonti a cui attinge non possono essere solo canoniche, evidentemente, già che Maria – come viene peraltro ricordato – nei vangeli parla solo sei volte. Le tante riletture sono pertanto il riferimento costante della narrazione, tra le quali riconosciamo gli attributi delle litanie (p. 98), i nomi che riempiono le ricorrenze del calendario e le rappresentazioni iconografiche. A questi la protagonista sembra spesso rifiutarsi: «Il mio corpo proprio non c’è nel Vangelo… la pelle scura della mia terra è diventata trasparente sugli altari» (p. 8); «Non ho capito nemmeno io. Vorrei gridarlo a queste voci di ogni tempo che mi vogliono sapiente, obbediente, silente remissiva» (p. 19); «Sono stata felice. Non serena, ieratica, pacifica, lieta, composta, misurata» (p. 29).

Lorenzo Lotto, Annunciazione, Pinacoteca Recanati

 

[continua]

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  • In copertina : Santa Maria Vergine al centro della Candida Rosa, illustrazione di Gustave Doré

 

ANCHE GLI ANGELI PIANGONO…

 

Scritto da  NORMA ALESSIO.

 

Ammirando un dipinto con soggetto sacro siamo attratti dalla scena principale, raramente ci soffermiamo ad osservare i singoli personaggi, magari anche secondari, che compongono la scena. Propongo di osservare in queste opere, solo dove sono presenti, gli angeli e come sono stati realizzati nelle varie epoche dagli artisti.

Li troviamo in affreschi, sculture, miniature, partecipi di fatti e di situazioni connessi con la tradizione oppure con la Sacra Scrittura. Dal contesto della scena in cui sono inseriti nelle varie opere pittoriche capiamo se le funzioni, che gli artisti hanno dato loro, sono mere interpretazioni o corrispondono ai racconti biblici.

Gli angeli nelle sacre scritture sono citati nei vari avvenimenti, ma mai descritti in modo preciso; solo il profeta Ezechiele riferendosi ai Cherubini nel capitolo 1 ai versetti 6-11 ne fa una descrizione in cui emerge una visione tutt’altro che umana;  ma altrove la Bibbia racconta che prendono svariate sembianze e possono anche apparire con aspetto umano.

Gli episodi del Nuovo Testamento in cui compaiono gli angeli sono quelli che accompagnano la vicenda dell’incarnazione, della passione, morte e resurrezione di Gesù: (Lc.1,11-12) l’angelo Gabriele apparve a Zaccaria che si turbò e fu preso da timore; lo stesso ne annuncia la venuta nel grembo di Maria (Lc. 1,26); cantano ai pastori di Betlemme la gioia grande di una nascita nascosta; intervengono nei sogni di Giuseppe (Mt. 1,19; Mt. 2,12; Mt. 2,19-20) e con la stella dei Magi per indicare il cammino (Lc. 2,8; Lc. 2,21); dopo il Battesimo appaiono accanto a Gesù per servirlo al termine della lotta contro il tentatore (Mt.4,6; Mt.13,41;Lc.15,10; Lc. 16,22; Lc. 18,10) Gli si accostano nell’ora della prova al giardino del Getsemani, ed infine indicheranno la tomba vuota alle donne dopo la Resurrezione (Mt. 28,2; Mc.16,15; Lc.24,2; Gv.20,12).

Le prime immagini degli “esseri spirituali” sono uomini, talora con la barba,  rappresentati senza ali, come nella antica Annunciazione della catacomba di Priscilla (II-III secolo d.C.).

Nei secoli successivi l’iconografia tradizionale si altera e la fantasia degli artisti dà agli angeli libertà di sentimenti e di atteggiamenti. Il Beato Angelico, nel XIV secolo, dipingeva in prevalenza angeli dalle tuniche rosa o blu decorate con stelle d’argento e d’oro che giocano con arpe, trombe o violini, danzano versando petali di rosa e fiori per celebrare la gioia dei santi e dei beati. Nel XV secolo poi, erano coronati di fiori, intenti a cantare le lodi agli abitanti del cielo; nella stessa epoca gli artisti fiamminghi, dipingevano gli angeli vestiti di tuniche dalle pieghe perfette oppure coperti di sontuosi paramenti di chiesa.

Il periodo più prolifico per la produzione angelica è stato il XVI secolo dove abbiamo una profusione di decorazioni delle volte e delle cupole delle chiese, insieme all’evoluzione del vestiario, la morfologia delle ali sempre più realistiche, e la loro progressiva umanizzazione.

Si osservano angeli (serafini, putti spesso rappresentati solo con una testina ricciuta e due ali)  che fluttuano tra le nuvole nelle scenografie celesti; angeli come uomini, talora anche nudi, caratterizzati però dalla bellezza, segno iconografico inconfutabile della loro natura spirituale.

 

Giotto, Compianto del Cristo morto, Cappella degli Scrovegni, Padova.

 

Un interessante esempio di lettura sul ruolo assunto dagli angeli è quella  degli affreschi del XIV secolo, a Padova nella Cappella Scrovegni ad opera di Giotto che, come lo definisce il critico d’arte Giulio Carlo Argan , è “artista tormentato da ansie religiose”. In questa circostanza l’artista si avvalse della consulenza del teologo padovano Altegrado de’ Cattanei.

Nella scena del Compianto del Cristo morto, che non trova precisa corrispondenza nei testi, è  raggiunto il massimo del pathos. Compaiono le figure angeliche (anche se il racconto non è fedele a quello del Vangelo) assumendo connotati molto umani che entrano nel vivo della storia di Gesù esprimendo il loro incontenibile, disperato dolore con gestualità accentuata; uno di essi è colpito da un dolore così insopportabile da inarcarsi all’indietro ( vedi l’immagine in copertina di articolo, ndr ); c’è chi congiunge le mani ai lati del volto in un atteggiamento di meraviglia e di incredulità, come se non possa credere alla morte di Cristo; c’è chi per la disperazione porta le mani tra i capelli e chi, infine, come gli uomini, prorompe in un pianto liberatorio del dolore. Anche nella scena della Crocifissione, sotto al braccio sinistro di Gesù un angelo rosso, comunemente percepito come gioia e serenità, urla e sta per strapparsi le vesti e gli altri piangono alzando le mani oltre il cielo dipinto.

 

Giotto, Crocifissione, Cappella degli Scrovegni, Padova

 

Giotto, pittore che ha introdotto nei suoi dipinti la naturalità delle figure con le anatomie precise e con la luce che crea le ombre, rompendo con la ieraticità della tradizione gotica, qui riesce, sempre riprendendo le parole di Argan, ad esprimere il concetto “il dolore che tocca il fondo della disperazione umana si eleva nella moralità più alta della rassegnazione e della speranza”.

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  • In copertina : Giotto, Particolare dal Compianto del Cristo morto, Cappella degli Scrovegni, Padova.

I CATTIVI DELLA BIBBIA

 

Scritto da  GIAN LUCA CARREGA.

 

 

Nelle Scritture, pare quasi scontato dirlo, non ci sono solo personaggi positivi, ma anche una pletora di figure negative che spesso rimangono in secondo piano perché nessuno si prende la briga di scrivere su di loro. Certo, Giuda può costituire una significativa eccezione, ma gente come Gezabele, Oloferne o la moglie di Potifarre rimangono degli emeriti sconosciuti.

 

Eppure il fascino che esercitano i cattivi spinge alcuni a esplorare questi personaggi “repellenti” che spesso hanno il solo scopo di fare emergere la bontà dei buoni. Tra i vari titoli che si pubblicano in America su questo argomento mi ha colpito, soprattutto per il titolo, questo testo di J.R. Forasteros: Empathy for the Devil: Finding Ourselves in the Villains of the Bible (Empatia per il diavolo: riconoscerci nei cattivi della Bibbia). Ai rockettari non sarà sfuggito il chiaro riferimento a una delle hit più famose dei Rolling Stones, Sympathy for the devil, ma ciò che conta davvero è la ricerca di una indagine psicologica sui motivi che spingono i cattivi ad essere tali.

 

 

 

 

Per dire, perché Caino diventa il primo omicida della storia ammazzando suo fratello Abele per quelli che un giudice qualificherebbe come “futili motivi”? Perché Dalila mette il suo amato Sansone nelle mani dei nemici filistei? Perché il discepolo Giuda tradisce il suo maestro Gesù? L’impressione è che molti racconti biblici adottino la stessa impostazione moralistica della tragedia greca, dove la rappresentazione del male è catartica e il male viene portato sulla scena perché lo spettatore o il lettore veda dove porta e se ne tenga lontano. In effetti non mancano pagine bibliche che hanno un’impostazione, per così dire, didattica: il faraone si ostina a mettere i bastoni tra le ruote ai giudei e alla fine viene spazzato via dal mare coi suoi carri. Però è un dato di fatto che alcuni cattivi ci ispirano, se non proprio simpatia, quantomeno una sorta di compassione. Giuda compie un’azione infame, eppure riusciamo quasi a immaginare la sua disillusione verso Gesù e a comprendere come possa essere arrivato a tanto. Ma chi prova tenerezza per Caifa? Ecco il punto, i cattivi non sono tutti uguali, alcuni hanno dei tratti più umani che ce li fanno sentire comunque vicini, altri sono così zotici e grossolani che non vogliamo avere nulla a che fare con loro.

 

 

Caifa , nella interpretazione di Anthony Quinn (” Gesù di Nazaret” di Franco Zeffirelli.)

 

 

Prendiamo il gigante filisteo Golia: spavaldo, aggressivo, beffardo. Quando Davide gli piazza una pietra in fronte tutti pensano: “Ben gli sta!”. A proposito, Davide. Non che voglia mettere nella cerchia dei cattivi il santo salmista, ma insomma, quando si concede un’avventura con la moglie di uno dei suoi generali più fedeli e per non fare scoprire la tresca fa in modo che venga ucciso, lì supera davvero il confine del lecito. È un buono che diventa cattivo e ci dispiace. Ed è un monito significativo dell’autore sacro, che rifugge le semplificazioni nette, coi buoni di qua e i cattivi di là (pensate al Tersite di Omero, una caricatura che assomma tutti i difetti possibili). No, i buoni possono diventare cattivi, come i cattivi a volte, ma raramente, si redimono. Perciò i cattivi nella Bibbia non servono solo a far trionfare i buoni, ma anche a ricordare ai lettori il dovere della scelta, cioè da che parte stare nella vita.

 

 

Caravaggio, “Davide e Golia”, dettaglio della testa di Golia

 

 

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In copertina : Giuditta e Oloferne di Caravaggio-particolare.

La presentazione di una riscrittura nuova

 

 

Vi proponiamo il video della presentazione de ” IL CRISTIANO ERRANTE – I discepoli di Emmaus ” di Alessandro Zaccuri, appena uscito da Effatà Editrice.

 

Buona visione a tutti.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Pg8Vkf0yFqI

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  • «Scrittori di Scrittura» (http://scrittoridiscrittura.it/) è un progetto che presenta al pubblico le opere di alcuni autori che si sono cimentati nella riscrittura di un brano biblico secondo la propria sensibilità. Ogni volume è corredato della breve introduzione esegetica di un biblista e della traduzione del testo originale dall’ebraico o dal greco. In questo volume, Alessandro Zaccuri riscrive i discepoli di Emmaus. 

Zaccuri, Caravaggio, Rembrandt: così ti riscrivo Emmaus

Scritto da  LORENZO CUFFINI .
Tutti hanno un nome, in questa storia: il
Maestro, che alla fine si rivela e svanisce, e
il mio compagno, che si chiamava Cleopa.
Di me soltanto non rimane che l’ombra.
Io sono un’impronta sulla strada per Emmaus.
E’ appena uscito per Effata’ Editrice, nella collana Scrittori di Scrittura, il racconto di  Alessandro ZACCURI, Il Cristiano errante .I discepoli di Emmaus , da cui sono tratte le parole  precedenti: ultimo esempio, in ordine di tempo, di come alcuni autori contemporanei abbiano accettato  la sfida di rapportarsi con  le  suggestioni, le provocazioni e gli spazi bianchi della Scrittura.
In questo caso la pagina biblica prescelta è quella dell’incontro tra il Risorto e due suoi discepoli ad Emmaus. Storia molto famosa, molto bella a leggersi, molto coinvolgente per il lettore,  frequentata nelle rappresentazioni, familiare oltremisura per il credente, con quella invocazione  ” Resta con noi, Signore” che è tra le più usuali  e domestiche per l’orecchio di ogni cristiano.
Ne Il  Cristiano errante, lo spazio che si apre e invita alla riscrittura consiste nel fatto che uno dei due discepoli protagonisti dell’incontro sia e resti senza nome Su di lui Zaccuri appunta la sua attenzione, e a lui fa ” riscrivere ” in prima persona la vicenda: dell’incontro, e della sua vita . che da quell’incontro risulta cambiata per sempre.
Ne deriva  il racconto di una esperienza viva, il senso di una chiamata personale  misteriosa e forte, il dovere ( e la necessità) di una testimonianza radicale e senza sosta, una vita completamente segnata e  la consapevolezza di essere stati tacitamente ma ineluttabilmente scelti .
Un’ombra e un’impronta, dice di sé il protagonista di Zaccuri.  Ognuno di noi  che sia in ricerca – cosciente o meno- sa quanto peso possano assumere entrambe  in un percorso di cammino spirituale personale.
Per felice coincidenza di tempi, in questi stessi  mesi altre due riscritture della stessa pagina sono sotto i riflettori  della attenzione culturale. Si tratta dei due dipinti , di Caravaggio e di Rembrandt, al centro di uno scambio di sedi espositive e di contemporanee mostre di approfondimento organizzate per l’occasione.
“Dal 14 settembre 2018 al 24 febbraio 2019 la Pinacoteca di Brera ospita La Cena dei pellegrini di Emmaus di Rembrandt, straordinaria opera del maestro olandese proveniente dal Musée Jacquemart-André di Parigi.

 

Rembrandt, La Cena dei pellegrini di Emmaus , 1628, Parigi, Musée Jacquemart-André

 

Il dipinto prenderà il posto, fino a gennaio, nella sala 28 della Pinacoteca de La Cena in Emmaus di Caravaggio, che troverà invece spazio nel museo francese in uno scambio frutto di un accordo tra le due istituzioni.
Il capolavoro di Brera, di recente riallestito in nuova collocazione con speciale illuminazione, andrà infatti in prestito alla mostra “Caravage à Rome. Amis et ennemis”, prevista al Musée Jacquemart-André, dal 21 settembre 2018 al 28 gennaio 2019.

 

Caravaggio, Cena in Emmaus, !606, Pinacoteca di Brera

 

Al termine dell’esposizione il quadro di Caravaggio tornerà alla Pinacoteca e le due opere verranno esposte insieme a Brera fino alla fine di febbraio, in un confronto che permetterà al pubblico di poter godere di un inedito e spettacolare dialogo.”

  • (Tratto da https://pinacotecabrera.org/news-pinacoteca/vi-invitiamo-a-unaltra-cena-in-emmaus/)

 

LEVIATHAN

Scritto da  DAVIDE BRACCO.

 

” E’ una favola?

No, è scritto nella Bibbia.”

 

Così il prete ortodosso Vassilij a Nikolai il protagonista di LEVIATHAN, film del 2014 di uno dei maestri del cinema contemporaneo Andrei Zvyagintsev balzato agli onori dei più soltanto nel 2017 durante il festival di Cannes quando vinse il Premio della Giuria per lo splendido Loveless.

Nikolai è un uomo sconfitto dalla vita e dai soprusi che lo squallido e corrotto Sindaco di un paesino sul mare di Barendts gli sanziona per potergli sequestrare le terre che possiede.Anche la Chiesa locale non risparmia umiliazioni e anzi si trova in combutta con lo Stato: sulle terre espropriate di Nikolai sorgerà una nuova chiesa. Soltanto le parole su Giobbe (a cui si riferisce il dialogo ad introduzione a questo testo) e le azioni caritatevoli di Vassilij sembrano confortare il sofferente ma la vicenda sconfesserà il testo biblico e il dramma umano verrà asciugato completamente da ogni forma di speranza in un senso superiore. Un nuovo richiamo a Giobbe dopo il caso dei fratelli Coen (che hanno riattualizzato il libro in ben due film, A serious man e A proposito di Davis) ma espresso in un dramma ben lontano dall’ironia dei fratelli registi e ambientato in un territorio di spazi desolati come le spiagge russe del Nord (popolate da inquietanti scheletri di balene spiaggiate) che contrappuntano le esistenze solitarie dei suoi abitanti. Il richiamo a Giobbe e ai grandi cetacei è ovviamente presente fin dal titolo dell’opera ma Zvyagintsev è un artista raro capace di calare con profonda sincerità temi e citazioni senza intenti postmoderni. Il film è infatti una chiara denuncia contro la Russia putiniana (la cui immagine campeggia in svariate scene), uno stato che sembra garantire la sicurezza dei suoi cittadini a discapito delle loro libertà , come preconizzato da un altro inevitabile richiamo ad un testo ineludibile quale il saggio Leviathan o la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile scritto nel 1651 da Thomas Hobbes.

Un film da recuperare, di rara bellezza e profondità, che nella sua crudezza e disperazione ci fa confidare ancora nella importanza del cinema.

La moglie di Caino

Scritto da MARIA NISII.

 

La storia dell’umanità raccontata dalla Bibbia “dimentica” di citare alcuni personaggi, generalmente di linea femminile, e il primo tra questi è la figlia di Adamo ed Eva, moglie di Caino. La sua omissione è curiosa, perché di fatto esiste non nominata in quel versetto che recita: “Ora Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoc” (Gen 4,17). Non nominata, la sua presenza è tuttavia indispensabile per la catena delle generazioni, che non avrebbe potuto svilupparsi con i soli figli maschi di cui la Bibbia dà conto. E come ormai sappiamo, là dove la Bibbia tace, la letteratura si fa ricca e rigogliosa e alla figlia dei progenitori dà non solo un nome– Calmana è quello con cui è più frequentemente citata -, ma pure una ragion d’essere e un carattere.

 

Questa volta ci occuperemo meno di romanzi e racconti contemporanei e invece risaliamo fino alle cronache del Quattrocento e Cinquecento. Questo richiede di precisare che la categoria di riscrittura non va intesa nel senso moderno del termine fin qui sempre assunto, perché le narrazioni cronachistiche sono il lavoro dello storico che, seppure narra integrando e spiegando, pure non ritiene di inventare. Il suo racconto dunque non sarà mai fiction, né i personaggi frutto della sua immaginazione, in quanto appartengono a una lunga e documentata tradizione. Di questa daremo conto solo in alcuni veloci passaggi.

 

Nel Fioretto della Bibbia (1515) si narra come i parti di Eva siano tutti gemellari: con Caino dunque nasce una gemella, destinata a divenirne sua moglie, di nome Eborea. Qui come in altri testi, la moglie di Caino risulta essere una sorta di “doppio” del personaggio maschile. Nel Supplementum di Jacopo Foresti (1513) si offre un’interessante interpretazione dell’omissione biblica: Mosè tace i nomi delle donne perché non può dilungarsi troppo sui dettagli e ha bisogno di arrivare velocemente alla vicenda di Abramo.[1] Quanto invece alla giustificazione del matrimonio di Caino con Calmana, l’autore cita l’autorità di Agostino: essendo gli albori dell’umanità era necessariamente consentita un’unione tra fratelli, oggi non più accettabile.

 

A metà Seicento compare una cronaca ben più antica e riproposta in una nuova e accurata edizione: gli Annali di Eutichio,un antico patriarca melkita vissuto tra il IX e il X secolo. Secondo questo testo, il parto di Caino e Abele continua a essere gemellare ogni volta. Ma perché l’incesto sia meno grave, Adamo ordina ad Abele di sposare la gemella di Caino e viceversa. Purtroppo però il caso vuole che Caino sia follemente innamorato della sua gemella, ragione per cui uccide il fratello. Come evidente, in questo modo si offre pure una spiegazione a un episodio che sembrava poco giustificabile.

 

Queste insolite narrazioni ci appariranno meno funamboliche non appena scopriremo una glossa della tradizione giudaica, secondo la quale la nascita gemellare si baserebbe sulla presenza nel testo ebraico di Genesi 4,2 (Poi partorì ancora Abele…) di una sorta di prefisso per cui il verbo usato per il parto andrebbe interpretato nel senso di “continuò a partorire” e dunque, oltre al primo figlio, potrebbero esserci stati anche un secondo e un terzo gemello o gemella.

 

Nel Seicento  la presenza di questo personaggio femminile inizia ad animare un intenso dibattito. E tuttavia il rifiuto del lato femminile era inevitabilmente non poco problematico: se non era la sorella, chi poteva essere mai la moglie di Caino? Da quali popoli poteva provenire se il mondo non conosceva altri abitanti oltre ad Adamo ed Eva?

 

La curiosità non si esaurisce e anche l’Ottocento produce le sue versioni della vicenda matrimoniale del primo fratricida della storia. Il più rilevante, il Caino di Byron (1821), dona alle figure femminili un significativo spessore psicologico. Ada, la moglie di Caino, conforta addirittura il marito con parole d’amore di una modernità stupefacente: “Mio caro Caino! …perché rimpiangerai sempre il paradiso? Non possiamo farcene da noi un altro… qui o dovunque tu voglia: dovunque sei tu, io non avverto la mancanza di questo Eden tanto rimpianto”.

 

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[1] A Mosè era tradizionalmente attribuita la redazione del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio). La storia di Abramo inizia al capitolo 12 del libro della Genesi, mentre la vicenda oggetto di nostro interesse si svolge nei primissimi capitoli del libro.

 

  • In copertina : Tintoretto, Caino e Abele (1551-2)