CREAZIONE (2)

 

 

Scritto da NORMA ALESSIO.

Ricca di significati simbolici è la scena della Creazione del firmamento di Palermo : l’artista ha inserito in un’unica visione le componenti dell’universo secondo la cultura biblica e orientale; il globo terrestre è una sfera di acqua e Dio sta in parte nascosto dietro l’universo e benedice, al centro la terraferma, divisa nei tre continenti allora conosciuti, Europa, Asia e Africa, circondata dall’Oceano o “acque inferiori”. Il tratto divisorio delle terre emerse è dato sinteticamente da tre mari (Mediterraneo, Ellesponto-Ponto Eusino, Mar Rosso), disposti ad Y. La fascia circolare è il “firmamento” al di sopra del quale gravitano “le acque superiori”.

 

                                          

 

 

 

 

 

 

 

Altro particolare interessante, che evidenzia una diversa interpretazione della mano creatrice, lo troviamo ad esempio sia a Venezia nella Basilica di San Marco, che a Padova, negli affreschi della cupola del battistero di San Giovanni Battista, di Giusto de’ Menabuoi (1370-1390),   dove abbiamo nell’unica scena della creazione non Dio, ma Cristo –  infatti lo si riconosce dall’aureola crucifera come il Logos, cioè la “Parola”, il Verbo di Dio – che benedice il mondo appena creato dal Padre, proprio come nel prologo del Vangelo di Giovanni (1,1-3) dove si afferma che In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste ; e ancora nella lettera di San Paolo ai Colossesi, dove si insiste che, attraverso Cristo “sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili” (Col 1,16a).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La forma che troviamo ripetuta nelle rappresentazioni medioevali è il cerchio, forma dai molti significati, tra i quali la perfezione, l’eternità, la figura dei cicli celesti, della rivoluzione dei pianeti e del ciclo dello zodiaco. A Padova, lo schema compositivo circolare ad anelli concentrici, ha al centro la terra, considerata allora al centro dell’universo, con la mappa del mondo con il mar Mediterraneo, la penisola Italiana e i tre continenti allora conosciuti, Europa, Asia e Africa; all’esterno i cerchi che corrispondono alle orbite di Sole, Luna e dei pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, e nell’ultima fascia lo zodiaco, quale rimando allegorico che va al di là della semplice trasposizione del passo biblico, ed esprime l’influsso degli astri sull’uomo e il mondo. Qui non troviamo la narrazione della creazione, ma abbiamo una mera interpretazione, così come in una miniatura francese del 1220 ca. della Bibbia nella Österreichische Nationalbibliothek di Vienna  dove è sintetizzata in un’unica immagine: Dio, in quanto Creatore ha in mano il compasso a punta secca, che troviamo citato nel libro dei Proverbi (8,27-29) “quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche nell’opera di William Blake[i], che risale al 1824, esposta a Manchester, nella Withworth Art Gallery, c’è solo Dio, rappresentato come un vecchio inginocchiato frontalmente, in posizione sciolta, chinato su un compasso a punta secca, che tiene con la sinistra a braccio teso.

                                           

Un Dio completamente in azione dinamica lo troviamo rappresentato nella creazione sulla volta della Cappella Sistina (1512) . Anche qui Dio “dice”, certo, ma la parola è già concreta nel momento in cui viene emanata. Il Dio di Michelangelo non sta parlando, ha le labbra chiuse: ha occhi sicuri, la fronte corrugata in un’estrema concentrazione, mani salde e nervose. Non è un Dio che parla rimanendo immobile, è Parola che è già azione.

 

 

 

 

La stessa azione la ritroviamo nel dipinto sulla “creazione degli animali” di Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1550–1553)  conservato alle Gallerie dell’Accademia a Venezia, dove manca l’iconografia consolidata e il linguaggio è privo di simboli e il contenuto è prontamente riconoscibile. La storia si concentra in un unico momento anche se perde il senso di tutto quel che resta non rappresentato, ma esprime il vigore dinamico del momento della creazione degli animali.

 

 

Ultimo dipinto sulla creazione  che prendiamo in considerazione è una litografia del 1960, di Marc Chagall[ii], dove la narrazione scompare e prevale l’effetto visivo di forme e colori che sembrano danzare nello spazio; qui ritorniamo alla visione e alla contemplazione in cui tutto è espressione della poesia e della stupefacente bellezza del creato: non ha più nulla dell’iconografia tradizionale, non è presente direttamente Dio, ma l’Angelo di Dio, una novità che rimanda alla tradizione rabbinica che interpreta spesso Gen 1,26 (“Facciamo l’uomo…) come un invito agli angeli che collaborano alla creazione, ma idea diffusa anche nel medioevo secondo cui Dio avrebbe demandato l’opera della creazione agli angeli.

 

                                               

 

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[i] William Blake (1757-1827) poeta, musicista, pitttore e incisore, fu uno dei pochi artisti dell’inizio del XIX secolo interessati all’Antico Testamento. Di temperamento molto religioso, Blake non apparteneva ad alcuna chiesa protestante, pur senza aver mai rinnegato il suo anglicanismo. Ma fu un lettore assiduo della Bibbia e ne illustrò gli episodi principali e ciò che poteva suggerirgli in fatto di angosce, tenebre e domande senza risposta, ma anche di consolazioni, di luci abbaglianti e di incomprensibili apocalissi.

[ii] Marc Chagall (1887-1985) pittore bielorusso naturalizzato francese, d’origine ebraica chassidica

  • In copertina: Michelangelo, Il volto di Dio, particolare dell’affresco della Creazione nella Cappella Sisitina.

CREAZIONE (1)

Scritto da NORMA ALESSIO.

“Ipse dixit et facta sunt, Ipse mandavit et creata sunt”

Perchè egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste” (Salmo 38,9)

 

Quando guardiamo la complessità della natura che ci circonda, ci interroghiamo spesso su come abbia avuto origine. I cristiani lo definiscono creato perché è derivato dall’azione compiuta da Dio nel primo racconto della Genesi, primo libro della Bibbia, per generare il mondo nell’arco di sei giorni, per concludersi nel settimo con il riposo sabbatico.

Dio vince il nulla creando attraverso la parola. La creazione è scandita in giorni, preceduta dalla scena in cui “le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”, seguita poi dal primo giorno in cui “Dio disse «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte.”

 

Monreale,  Creazione della Luce, mosaico.

 

Il secondo giorno: “Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque».

 

Monreale,  Separazione delle Acque, mosaico.

 

Terzo giorno “Dio disse «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto (…) e la terra produca germogli erbe (…) e alberi».”

Quarto giorno “Dio disse «siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; (…). e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra. E Dio fece le due luci grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte e le stelle».”

 

 

Monreale,  Creazione degli Astri, mosaico

 

Quinto giorno: “Dio disse «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie

 

Tintoretto, La creazione degli Animali

 

 

Sesto giorno “Dio disse «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie»: e continuòFacciamo l’uomo secondo la nostra somiglianza, …”.

Settimo giorno … Dio portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò da ogni suo lavoro.

In molte rappresentazioni di questo tema, soprattutto in manoscritti miniati e nei mosaici medioevali, come ad esempio a Palermo, nella Cappella Palatina del Palazzo dei Normanni (ca 1143), nel Duomo di Monreale (ca. 1174-1189), a Venezia nella Chiesa di San Marco (ca. 1215-1280) abbiamo la scansione in sequenza delle scene nei vari giorni della creazione

 

Basilica San Marco di Venezia, Cupola della Creazione

 

La prima scena che viene proposta, seppur con lievi differenze, è la premessa all’azione di Dio: lo Spirito di Dio (la colomba, il grande vento) aleggia sulle acque e il cielo fa da sfondo a Dio, il quale protende le mani verso il basso nel gesto dell’imposizione, per suscitare le cose dalla materia informe da cui sgorga un flusso d’acqua che penetra nelle acque primordiali rappresentate da linee ondulate, al cui centro c’è il volto della divinità degli abissi. Dalle acque tumultuose emerge la terra, raffigurata dalla striscia scura che si vede sopra di esse.

 

Monreale, Lo Spirito di Dio aleggia sulle acque, mosaico

 

Proseguendo con il confronto di questi cicli, Dio, a Palermo, è in posizione eretta in tutte le scene in cui agisce, mentre a Monreale, il Dio architetto, con in mano il rotolo della legge, è seduto in tutti i riquadri su una sfera, l’unus mundus, cioè il suo progetto di modello immutabile del cosmo e a cui tutto deve ritornare. La mano benedice in nome della Trinità, con il pollice che tocca l’anulare e il mignolo.

Monreale, Creazione della terraferma, mosaico

 

Nel primo giorno, insieme con la creazione della luce, a Monreale viene introdotta la creazione degli angeli quali creature celesti, anche se la Bibbia non lo esplicita e la loro presenza si perpetua anche nelle altre scene dello stesso ciclo a Venezia nella cosiddetta “cupola della creazione”, dove il numero degli angeli è pari a quello del giorno della creazione.

 

(Fine prima parte – Continua)

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  • In copertina: Mosaici di Monreale,  Creazione degli Astri, particolare

La Madre

Scritto da  MARIKA BONONI.

 

La figura di Maria, che la Chiesa venera come Madre Santissima, ha affascinato molti artisti. Personalità di ogni genere hanno infatti cercato di colmare il vuoto narrativo dei Vangeli con opere e storie diverse. Si tratta di ascolto, un ascolto della Parola che nell’artista, anche se non credente, fiorisce in un racconto, un dipinto, un canto.

Fra queste opere di riscrittura si annoverano sia alcune fra le più celebri canzoni di Fabrizio De Andrè, sia alcune tra le più piacevoli pagine dello scrittore napoletano Erri De Luca. Entrambi personalità in ricerca, De Luca e De Andrè, così diversi ma ugualmente amabili, esplorano con delicatezza un aspetto di Maria, quello umano, che sembra voler giungere dritto al cuore.

Anche se la maternità divina viene solo accennata, l’unicità di Maria, per questi autori, è da ricercare talvolta nel suo candore e nella sua innocenza, talvolta nel suo semplice essere madre. Se del primo aspetto nell’universo femminile troviamo solo un barlume della luce di Maria, è il secondo (la maternità) che rende affini le madri con la Madre per eccellenza. Non alla madre senza peccato, non alla perfetta, obbediente serva del Signore, ma a quella madre che da sola partorisce in una mangiatoia e patisce, come tutte, i dolori del parto; alla madre che si sente sopraffatta dall’amore per la sua creatura quando per la prima volta la tiene fra le braccia; alla madre che, sotto la croce, insieme al figlio, vede morire una parte di sè.

 

 

Fino alla prima luce Ieshu è solamente mio. […]

Fuori c’è il mondo, i padri, le leggi, gli eserciti, i registri in cui scrivere il tuo nome […]Poi entreranno e tu non sarai più mio.

Ma finché dura la notte, finché la luce di una stella vagante è a picco su di noi, noi siamo i soli al mondo.”  (E.De Luca In nome della madre p.67-68)

 

Ecco i pensieri della giovane genitrice che, sola con il figlio appena venuto al mondo, lo stringe a sè chiedendosi “È così per ogni madre o questa notte è l’unica al mondo?” (p. 73). Erri De Luca in questo esile libretto (In nome della madre) ci racconta la storia di Maria e della sua maternità straordinaria, il suo coraggio e la sua incredibile forza, i pensieri e le emozioni che tutte le “madri illuminate” sentono crescere in petto in quella prima, unica, magica notte che trascorrono abbracciate al loro bambino e che le fa sussurrare “di tutte loro, solo io la tua”. (p.32)

 

 

 

Nascita e morte: due momenti cruciali dell’esistenza di Gesù, il primo narrato da De Luca, il secondo da De Andrè. Cosa accumuna i due racconti? Il punto di vista, quello di Maria.

Tito, non sei figlio di Dio

ma c’è chi muore nel dirti addio

Dimaco, ignori chi fu tuo padre

ma più di te muore tua madre”

(F. De Andrè Tre madri)

 

Sono ancor più madri, così, quelle dei figli abbietti e le madri degli “ultimi”, “ultime” anch’esse. Le genitrici dei tre crocifissi (Gesù, Tito e Dimaco) nella canzone Tre madri contenuta nell’album di Fabrizio De Andrè La buona novella, si ritrovano insieme ai piedi dei condannati e Maria sul Golgota, nella poesia del cantautore genovese, non è tanto diversa dalle altre, accomunate tutte dallo stesso dolore che strazia le donne in egual misura. E a nulla serve l’offerta di conforto che le madri dei “ladroni” porgono a Maria, quasi rimproverandola per il suo “eccessivo” dolore:

 

Con troppe lacrime piangi, Maria,

solo l’immagine d’un’agonia:

sai che alla vita, nel terzo giorno,

il figlio tuo farà ritorno:

lascia noi piangere, un po’ più forte,

chi non risorgerà più dalla morte

 

perché  Maria, come ogni donna dinanzi al figlio morente, piange di Gesù “Le braccia magre, la fronte, il volto,/ogni sua vita che vive ancora” e che lei vede “spegnersi ora per ora” .

(Clicca il link qui sotto per ascoltare il brano)

http://(https://youtu.be/-49UpTKWZUw)

Come la Maria di De Luca che vuole restare sola fino all’alba (in modo tale da poter essere,per una manciata di ore, solo madre di Gesù e non madre di Dio) allo stesso modo la Maria di De Andrè negli ultimi versi della canzone “Tre madri” esclama disperata: “Non fossi stato figlio di Dio/ t’avrei ancora per figlio mio”. No, non si tratta di blasfemia, non si tratta di giudicare in modo meno aulico una figura che nella storia dell’umanità ha un posto d’onore. Si tratta invece di arricchirne il significato dandole quel tocco di umanità che la tradizione non ha mai negato e di cui la modernità, forse, ha un disperato bisogno.

 

Gustav Klimt, La Madre

 

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  • In copertina: James Nachtwey, Pietà

Se l’Arte riscrive il dolore…

Scritto da LORENZO CUFFINI.

 

«Oddio, oddio, oddio, Dio santo… ». La voce registrata in un video di un uomo che vedeva crollare davanti a sé il Ponte Morandi sale a ogni sillaba di tono, inorridita e incredula. Non è possibile – pare di sentire i pensieri dell’uomo – deve essere un incubo. Non può, un colosso di cemento armato e acciaio come quello, spezzarsi come un pezzo di gesso su una lavagna e lasciare due monconi sospesi sul vuoto, e, sotto, macerie immani, su cui i soccorritori si arrampicano, affannate febbrili formiche. Genova, l’apocalisse sull’autostrada, almeno ventisei morti alle undici e trentasette di una vigilia di Ferragosto.

( Marina CorradiLa prospettiva degli uomini. La tragedia di Genova e noi, padroni di niente, su AVVENIRE del 15 agosto 2018)

Un triplice grido, una triplice manifestazione di orrore, che i telegiornali e i social hanno riportato nelle nostre case. L’irrompere improvviso e assurdo della tragedia nel clima festaiolo, nel cuore delle vacanze. Ancora una volta, strada aperta, anzi spalancata, a quel ” perché?!” che tutti ci riguarda. Domanda particolarmente familiare ai cristiani, che percorre tutta la Scrittura  e tocca profondità impensabili  nel venerdì santo del Calvario.

 

Francis Bacon, 1944

 

Dio, la sofferenza, l’uomo. Su questa triade, meno teologica di quella trinitaria, ma tutta affondata nella esperienza di chiunque, hanno riflettuto infinite volte gli artisti nei secoli, riscrivendone la natura, le combinazioni, la prospettiva di fede. Così, davanti a quel triplice grido di chi si è visto materializzare rovina e morte nel telefonino, viene bene ricordarne “un altro”; anch’esso triplice, e manifestato in pittura.

 

 

Si tratta di ” Tre studi per figure alla base di una Crocifissione“, dipinto da Francis Bacon nel 1944 e oggi conservato alla Tate Britain  Gallery di Londra. Non c’è molto da aggiungere alle  tre figure, tre esseri indefiniti ma in grado di esprimere con immediatezza la violenza, l’assurdità, la bruttezza anche del dolore. La prima porta una benda sugli occhi, come a non volere guardare tanto orrore; la seconda sembra esplodere in un urlo incontenibile e senza fine; la terza, la più “classica” e “umana” nelle forme, è comunque contorta, come schiacciata e deformata dal peso insostenibile del soffrire.

 

 

Sempre la Corradi:

Allora in noi che stiamo a guardare può sorgere interiormente un oscuro spavento. Perché ogni giorno progettiamo, disponiamo, parliamo come fossimo i sicuri padroni della nostra vita. Ma in un momento simili eventi – così vicini, così tragici – ci contraddicono duramente….come una lama aguzza nel nostro quieto vivere “.

Ai piedi della Croce, che   per il cristiano riassume il senso stesso della esistenza e si configura come il luogo della vera salvezza per tutti, Bacon colloca in tutta la sua crudezza la violenza e la disumanità della morte , a cui pure la Croce stessa porta via, e per sempre , l’ultima parola.

 

Edward Elgar – The Light of Life

Scritto da CHIARA BERTOGLIO.

Dopo aver ascoltato il brano di Handel in cui la creazione della luce nella Genesi è utilizzata come potente evocazione della condizione di chi non può vederla, oggi ascoltiamo un altro frammento da un altro grande oratorio, composto da Edward Elgar ed interamente dedicato alla vicenda – narrata dal Vangelo di Giovanni – del cieco nato guarito da Gesù. Si tratta di un oratorio che val la pena di ascoltare interamente, anche per il bel libretto che drammatizza una storia già profondamente coinvolgente anche sotto il profilo umano.

 

Propongo all’ascolto il brano che, dopo una “meditazione” (ouverture) strumentale, apre l’Oratorio vero e proprio. Si tratta di una preghiera liturgica, ispirata dai salmi, intonata da un coro di leviti, i sacerdoti ebrei, che si trovano all’interno del Tempio di Gerusalemme. L’inno che innalzano al Creatore è una lode solenne, devota, maestosa e pia, il cui testo è intessuto di rimandi biblici – in particolare al salmo detto Grande Hallel -, in cui però vengono selezionati e privilegiati i versetti che hanno a che fare con la luce e le creature della luce (sole, luna, e stelle).

 

Al canto di lode e trionfo dei sacerdoti si contrappone quello triste, malinconico e ripiegato su se stesso del cieco nato, la cui menomazione fa sì che egli si senta tagliato fuori non solo dalla vita “normale”, ma anche dalla religione e dalla liturgia: se i leviti lodano Dio per queste sue creature così belle, come potrà lodarLo chi tali creature non ha mai potuto vedere? La cecità fisica diventa così, come nel Vangelo, un simbolo di una cecità spirituale, ancora più grave; l’Oratorio, infatti, proseguirà con la domanda provocatoria e drammatica rivolta a Gesù, cui viene chiesto se sia il cieco o i suoi genitori ad aver peccato per meritare una tale sorte.

 

 

Come la storia andrà a finire è cosa nota a tutti coloro che hanno familiarità con la narrazione evangelica; qui ci interessa notare la bellissima contrapposizione letteraria e musicale fra la comunità orante dei Leviti, intenta a celebrare le lodi divine, e la fragile, ferita umanità del cieco, la cui preghiera è personale, assorta e commossa.

 

  • Per ascoltare clicca qui sotto:

https://www.youtube.com/watch?v=3PzjAv_wXTQ&list=PL1WHcsys6FZ8LfWwvEQ5pWRtpNyy1b5Tl

 

  • Testo:

No. 2.

Chorus and Solo

Chorus of Levites (within the Temple Courts)

Seek Him that maketh the seven stars and Orion,

and turneth the shadow of death into the morning,

and maketh the day dark with night.

The Lord is His name.

O give thanks unto the Lord: for His mercy endureth for ever.

Who hath made great lights: for His mercy endureth for ever.

The sun to rule the day; the moon and stars to govern the night: for His mercy endureth for ever.

Tenor Solo, The Blind Man (outside the Temple)

O Thou, in Heaven’s dome,

In Light’s eternal home,

For Whom the cloud Of night’s endowed

With splendour like the sun:

To me the day and the night

Are equal: both are night.

O God, I pray for light.

Chorus

Seek Him etc.

Tenor Solo

All, all is dark to me:

I lose my way to Thee;

I cannot prove Thy truth and love;

Lord, grant that I may see.

Oh, hateful is the night

Which hides Thee from my sight:

O God! I pray for light.

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  • In copertina : Rupnik, Guarigione del cieco nato, mosaico ( particolare)

Georg Friedrich Handel – Samson

 

Scritto da CHIARA BERTOGLIO.

 

In tutta la Bibbia, ma anche in altre grandi tradizioni culturali e religiose, la luce è uno dei simboli più universali ed efficaci per parlare di Dio. La luce è vita; è ciò che ci permette di vedere; è spesso associata al calore, come nel sole o nel fuoco; talora è anche manifestazione spaventosa, come nei fulmini e nelle esplosioni. Nel Prologo del Vangelo di Giovanni, si fa costante riferimento al Logos divino come alla luce vera, quella che illumina ogni uomo. Per dire Dio, noi esseri umani difficilmente troviamo simboli più adatti di quello della luce.

Ma come vive, una persona non vedente, questo simbolo? C’è una nostalgia ancora più grande e più intensa di quella di chi vede, che può suscitare un desiderio ancor più profondo di Colui che dalla luce è simboleggiato? Oppure vi è una sensazione di risentimento, di impoverimento, di mancanza pesante e inspiegabile?

 

In questo articolo e nel prossimo vedremo come la fantasia di poeti e musicisti ha riscritto due episodi della Scrittura ispirati a persone non vedenti ed al loro rapporto con la luce. Nel primo caso, affrontiamo il Samson, grande oratorio (ma non fra i più noti) di G. F. Haendel, in cui è narrata la celebre vicenda dell’eroe biblico Sansone, la cui storia non è necessario riassumere qui. Vorrei proporre all’ascolto un recitativo di Micah, amico di Sansone: brano venato di malinconia per la sorte di Sansone, accecato dai Filistei, ed in cui vedere la luce è praticamente assimilato alla vita stessa. Tale recitativo è subito seguito da un coro degli israeliti, che racconta l’episodio della creazione della luce descritto nella Genesi. Coloro che hanno più familiarità con il repertorio della musica classica avranno certamente presente l’indimenticabile versione che F. J. Haydn ha proposto della creazione nella luce nell’oratorio Die Schöpfung. Handel, invece, fa cantare “la voce di Dio” al coro maschile all’unisono, quasi – forse – a suggerire che è la Trinità (unità e pluralità) ad operare nella creazione. Alla Parola divina segue la “vita della luce”, evocata da una musica festosa e gioiosa. I raggi del sole sono suggeriti da movimenti veloci e sciolti dei violini e dall’uso della tonalità maggiore. Contrastando con questa luminosità, la citazione del “dark servant”, il servo di Dio che vive nell’oscurità, è resa con movimenti incerti, quasi persi, con un effetto simile a quello utilizzato dallo stesso Handel in “The people that walked in darkness” nel più celebre oratorio The Messiah. Il brano si chiude con una preghiera accorata, che forma un potente contrasto con la precedente narrazione gioiosa e brillante.

Georg Friedrich Händel (1685-1759) , SAMSON , Oratorio, HWV 57

Ascolta qui:

https://youtu.be/_G9ftGhLxaM?t=35m19s

 

Testo:

13. Accompagnato

Micah

Since light so necessary is to life

That in the soul ‘tis almost life itself,

Why to the tender eyes is sight confin’d,

So obvious and so easy to be quench’d;

Why not as feelings through all parts diffus’d,

That we might look at will through every pore?

14. Chorus of Israelites

O first created beam! And thou great word!

“Let there be light!” — And light was over all,

One heav’nly blaze shone round this earthly ball.

To thy dark servant, life, by light afford!

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  • In copertina: Rembrandt, Sansone accecato dai Filistei, 1636

Il Battesimo di Cristo in sala

Scritto da DAVIDE  BRACCO.

In quanto sacramento di ingresso nella religione cristiana il battesimo assume spesso un significato anche simbolico in occasione di narrazioni ad argomento cristologico. Nel portare all’estremo questa impostazione si può notare come il racconto del battesimo amministrato da Giovanni e ricevuto da Gesù si presti – in almeno tre casi illustri– come chiave interpretativa (un ingresso al cinema) nei confronti di tre diversi stili cinematografici.

 

Il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli rappresenta in primis il calligrafismo inteso come vera cifra stilistica. Girato a colori con un budget notevole lo sceneggiato (come si definiva nel 1977) è un vero kolossal dove tutto è mostrato e mai suggerito fin dalla prima comparsa del Nazareno sulle rive del Giordano. Una sequenza oleografica che accompagna lo spettatore davanti all’avvenimento battesimale con procedimenti banali fin dal tema musicale che irrompe con enfasi giusto insieme al primo piano di Gesù assorto davanti al Battista. Tutto è descritto eniente suggerito come nel caso della colomba che – riprendendo Matteo – simboleggia lo spirito di Dio che discende sul Messia.

Da ” Gesù di Nazaret ” di Franco Zeffirelli

 

https://www.youtube.com/watch?v=osg1EtsreW0

 

Una nuova ripresa celebre del testo di Matteo è naturalmente Il vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini del 1964. Un’opera epocale che anche in questa sequenza presenta i tratti più significativi del film quali il desiderio del regista di verismo nella scelta degli attori (qui evidenziati in primi piani che denotano la loro “naturalità non professionale”) e di pittorialità nella composizione scenica che spesso richiama la plasticità di Piero della Francesca. Diversamente da Zeffirelli la scelta del tema musicale è non originale (Mozart) e la colomba è sostituita da una voce off che richiama espressamente il Divino.

Da ” Il Vangelo secondo Matteo” di Pierpaolo Pasolini

 

https://www.youtube.com/watch?v=uJQx2Fr20dg&t=48s

 

Anche uno degli inventori del cinema moderno, Roberto Rossellini, si avvicinò al racconto evangelico in un momento finale della sua filmografia caratterizzata da un progetto enciclopedico che pensava alla televisione come un mezzo didattico capace di veicolare ai più biografie illustri e ritratti d’epoca. Nascono negli anni settanta opere dedicate a Socrate, Cartesio, Pascal, Agostino, Luigi XIV e anche Il Messia.

La sequenza del battesimo conformemente al mandato appare in Rossellini come una espressione del grado zero della rappresentazione artistica unicamente qui al servizio del messaggio: colonna sonora soltanto accennata, recitazione senza pathos con attori che si prestano alla Parola in una scena girata quasi in un unico piano sequenza che non vuole sedurre lo spettatore con artifici visivi o di montaggio.

Da ” Il Messia ” di Roberto Rossellini

 

https://www.youtube.com/watch?v=AsBgLiUPIyU

 

Quando a riscrivere è la Sindone (3)…….

“….Insieme al percorso verso la Sindone e al suo significato, è questo appello a venire qui  che dà a pensare. Prima del «segno» della Sindone, interpella il «segno» di questo invito, di questa proposta, di questa provocazione.

Non si tratta propriamente una novità. Le Ostensioni della Sindone hanno una lunga e articolata storia. […] Forse perché la «venerazione» dell’agosto 2018 è rivolta esclusivamente ai giovani, il legame tra giovani e Sindone rivela però ora tutta la sua originalità. C’è infatti qualcosa di più profondo, di ancor più paradossale e, per certi versi, intrigante, che ritroviamo in altre esperienze di fede dedicate ai giovani.

[…] Non si tratta di ipotizzare un legame tra i giovani – di epoche e provenienze diverse – e il mistero della Croce e della Sindone. Esso è un dato di fatto. Ma cosa può svelare, in una…notte di mezza estate?»

(dal testo di meditazione e di approfondimento edito da Effatà e preparato per i duemila giovani che si sono iscritti all’eccezionale venerazione della Sindone a loro riservata, nella notte tra il 10 e l’11 agosto 2018.)

Già: che cosa puo’ svelare ?

Nel mezzo del suo silenzio, un risposta folgorante. Che ri- scrive l’idea stessa di Dio.

 

 

” A – B – C

Le ricordate, no, le tre opzioni?

La domanda era: chi è quest’uomo?

La risposta A è : non è mai esistito.

B: è esistito, ma non sappiamo chi sia stato.

C: è il Figlio di Dio, Dio Lui stesso.

Ora, se fossero vere la A o la B, non ci sarebbe altro da aggiungere.

Se non che questa immagine – oltre al passato – rimanda anche al presente.

Alle innumerevoli, infinite immagini dello stesso tipo che ogni giorno si ripropongono. Ai quattro angoli del globo.

Ma… e se fosse vera la C?

Certo, potrebbe essersi sbagliato Lui.O potrebbero avere esagerato i suoi discepoli.

Però non possiamo escludere la possibilità che avessero ragione.

Se davvero quest’uomo, morto, fosse per un caso Dio…Beh, allora cambierebbe tutto.

Perché allora Dio sarebbe un’altra cosa rispetto a quello che si pensa.

Collega di umanità.

Complice di corpo.

Esperto delle mie esperienze.

Uomo dei miei dolori.

Un Dio fratello.

Amico.

Che sa quello che sento e capisce quello che provo.

Allora, spiega tutto, questa risposta C?

Tutto chiaro, certificato,lampante?

Ma no. Per niente.

Però una piccola rivoluzionaria risposta, questa opzione la regala.

Ed è la risposta alla domanda che ci tormenta tutti, se siamo credenti.

E che alimenta le ragioni dei non credenti.

Ma dove era Dio?

Dio, dov’era?

Dove era Dio quando mi è arrivato addosso il dolore?

Dove era Dio quando ho incontrato la sofferenza innocente? Davanti alle catastrofi, alle stragi?

Questa immagine, nel suo silenzio, ci dà , folgorante, una risposta.

Era qui, Dio.

Avvolto in questo lenzuolo.

O in un lenzuolo come questo.

Morto per noi.

Per salvarci e liberarci tutti. Nessuno escluso.”

  • Testo tratto da “SINgDONE, Uomo tra noi”, 2015Concerto reading per la Sindone, by LaPastCulTo.

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https://www.youtube.com/watch?v=2xhmQ3EiSKg

E se Dio fosse uno di noi – Eugenio Finardi. 1996

 

E se Dio fosse uno di noi
Solo è perso come noi

E se Lui fosse qui
Seduto in fronte a te
Diresti sempre si
O chiederesti:
“Come mai ci hai messo qui
con tutte queste illusioni
e tentazioni e delusioni!”
E, e, poi perché
E se, Dio c’è
E se e se c’è

E se Dio fosse uno di noi
Solo e perso come noi
Anche Lui con i suoi guai
Nessuno che Lo chiama mai…

Io so cosa farei
Lo guarderei dritto negli occhi
E chiederei
Se c’era almeno una ragione
O se è una punizione
Oppure è stato solo un caso
O una disattenzione
E, dai, se ci sei
E, dai, come mai
E, dai, se lo sai…

E se Dio fosse uno di noi
Solo e perso come noi
Anche Lui con i suoi guai
Nessuno che Lo chiama mai
Solo per dire: “come stai?”
E invece chiedono attenzioni
Di far miracoli o perdoni
Oppure dare assoluzioni

E se Dio fosse uno di noi
Solo e perso come noi
Anche Lui con i suoi guai
Nessuno che Lo chiama mai
Solo per dire: “come stai?”

( Eugenio Finardi)

Quando a riscrivere è la Sindone (2)….

“….non è così immediato da intuire il senso del recarsi a venerare, o a guardare, o anche solo a vedere un lenzuolo funebre, di venerdì notte, in agosto, in piena estate, mentre sulle spiagge, sulle montagne e nelle nostre città impazza la festa, freme la movida e brulica il divertimento!

Eppure un appello – che ha quasi il gusto di una provocazione – è stato rivolto a tutti i giovani del Piemonte e della Valle D’Aosta, ma a anche a quanti, non solo in Italia, percepiscono il fascino misterioso di quel Telo.”

Così si legge nel  testo di meditazione e di approfondimento edito da Effatà Editrice e preparato per i duemila giovani che si sono iscritti all’eccezionale venerazione della Sindone a loro riservata, nella notte tra il 10 e l’11 agosto 2018, organizzata  in occasione del Sinodo per i giovani.

Il “fascino misterioso di quel Telo” ha a che fare intimamente con la sofferenza. E’ di questo che “parla”, in modo  universale, trasversale e drammatico, che coinvolge  tutti, e che a tutti spalanca domande vertiginose, concatenate, senza facili risposte di nessun tipo. In questo senso possiamo dire che la Sindone  non solo riscrive   la Passione di Gesù Cristo, ma riscrive anche le infinite storie di dolore – e di ferocia – che si rispecchiano in essa, facendo del nostro Dio  Qualcuno che ci è   collega e fratello.

 

 

“Comunque la mettiamo, non è facile rispondere su chi sia quest’uomo.

Ma di una cosa, guardando questa figura, possiamo avere la certezza.

Chiunque sia, ha sofferto – letteralmente – da morire.

Qualunque cosa sia, questa immagine sembra avere a che fare con la cronaca nera.

Più che con la storia, l’archeologia, per non parlare della religione.

Girala come vuoi, ma questa immagine racconta sempre una storiaccia.

Amico mio: che cosa ti hanno fatto?!

Possiamo guardarti come in uno specchio, e vederci riflessi e riprodotti tutti quanti i segni di un nostro corpo sofferente.

Ma possiamo anche guardarti come la prova visiva, se mai ne avessimo dubitato, di quanta violenza e ferocia sia capace l’uomo.

Ogni uomo.

Metti uno in grado di avere potere e dominio pieno, assoluto, incontrastato, sulla vita e sulla morte di un altro uomo e, prima o poi, ottieni questo.

Prima o poi, si arriva a Te.

Chiunque Tu sia stato, amico mio, sei un uomo come me.

Sei uno di noi.

Uomo, tra noi.”

  • Testo tratto da “SINgDONE, Uomo tra noi”, 2015Concerto reading per la Sindone, by LaPastCulTo.

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https://www.youtube.com/watch?v=Wrz8dS5CkqE

  • I Nomadi – Auschwitz live Casalromano (MN) 1989.

 

“Son morto con altri cento,
son morto ch’ero bambino:
passato per il camino,
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c’era la neve:
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’inverno
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone,
ma un solo grande silenzio;
è strano: non riesco ancora
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello,
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone,
ancora non è contento
di sangue la belva umana,
e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare,
e il vento si poserà”

(Francesco Guccini)

Quando a riscrivere è la Sindone…

“In una notte di mezza estate, la notte delle stelle cadenti, la notte di San Lorenzo, la Chiesa di Torino invita i giovani a compiere un pellegrinaggio a piedi per andare a vedere quello che, ad uno sguardo distaccato, è un lenzuolo funebre. Prima e al di là di ciò che la Sindone rappresenta, significa ed evoca, si tratta indubbiamente di un’iniziativa quantomeno singolare, per alcuni forse incomprensibile, per molti certamente inutile, per alcuni anche ridicola.”

Inizia così,il testo di meditazione e di approfondimento edito da Effatà Editrice e preparato per i duemila giovani che si sono iscritti all’eccezionale venerazione della Sindone a loro riservata, nella notte tra il 10 e l’11 agosto 2018, organizzata  in occasione del Sinodo per i giovani.

Ancora una volta, il lenzuolo di Torino richiama, in modo tutto speciale, a un incontro – personale e comunitario – che non lascia indifferenti. Se è possibile  una riscrittura per immagini della Parola – e abbiamo visto che lo è –  questa immagine particolarissima riscrive in modo potente e evocativo come nessun’ altra il mistero della Passione, il concetto stesso ed inaudito del Dio che si è fatto uomo.

Who is this broken man?”

Così chiede Pilato in Jesus Christ Superstar, quando Gesù gli viene portato davanti.

Who is this broken man?

Ma chi è, quest’uomo fatto a pezzi, questo rottame d’uomo?

Possiamo farci la stessa domanda anche noi, oggi, davanti a questo volto.

 

Ci sono un sacco di questioni grandi legate a questa immagine della Sindone.

La formazione.La datazione.L’origine. La provenienza.

Ma il fatto vero è che questa immagine, qualunque cosa sia, rimanda a un evento, e a un uomo.

Sull’evento, quasi non ci piove.

Una morte violenta.Compatibile con la crocifissione praticata dai Romani.

E’ su quell’uomo , che vengono fuori i problemi.

Qualcuno dice: “Quest’uomo non è mai esistito”. Fine della storia.

Dice qualcun altro: ” E’ esistito, quest’uomo. O almeno, potrebbe essere esisitito. Ma noi non ne sappiamoe non ne potremo mai sapere nulla.”

Un anonimo,insomma. Uno “fatto fuori”: uno dei tanti fatti fuori della Storia.

Ci sono poi quattro libretti, che portano il titolo di ” vangelo” : la buona notizia. Loro ci parlano di lui in maniera sorprendente. Coloro che li hanno compilati ci dicono: ” Quest’uomo è esistito, sappiamo chi è, ne conosciamo il nome: Gesù di Nazaret.”

Un nome qualunque, se non fosse che quest’uomo avrebbe indicato se stesso come il Figlio di Dio.

Dio Lui stesso.

Dio?! Questo uomo, chiaramente morto?!

Dio!

Vedete dunque.

La domanda vera, quella che tocca anche a noi, oggi, è sempre quella.

Who is this broken man?

Insomma: Tu, chi sei?

  • Testo tratto da “SINgDONE, Uomo tra noi”, 2015, Concerto reading per la Sindone, by LaPastCulTo.

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https://www.youtube.com/watch?v=U7jRVMcA53A

 

Pilate: 
Who is this broken man cluttering up my hallway? 
Who is this unfortunate? 

Soldier: 
Someone Christ – king of the Jews 

Pilate: 
Oh so this is Jesus Christ, I am really quite surprised 
You look so small – not a king at all 
We all know that you are news – but are you king 
King of the Jews? 

Jesus:
That’s what you say

Pilate: 
What do you mean by that? That is not an answer 
You’re deep in trouble friend – 
Someone Christ – king of the Jews 
How can someone in your state be so cool about your fate? 
An amazing thing – this silent king 
Since you come from Galilee then you need not come to me 
You’re Herod’s race! You’re Herod’s case! 

Mob: 
Hosanna Hey Sanna Sanna Sanna Ho 
Sanna Hey Sanna Ho and how 
Hey JC, JC please explain to me 
You had everything where is it now?

  • Tratto da  : “Pilate and  Christ ”  –  Jesus Christ Superstar , 1973, regia di Norman Jewison