Riscrittori Cercansi

Scritto da  LORENZO CUFFINI.

 

Il progetto  Riscrittori di Scrittura è stato pensato per  promuovere la conoscenza del testo biblico nel suo valore letterario e culturale. L’approfondimento del contenuto della Bibbia  viene considerato un valore importante e una chiave interpretativa fondamentale per comprendere numerose espressioni culturali e artistiche della nostra società.

Pablo Picasso, Crocifissione, 1930

 

Destinatari della iniziativa sono gli studenti, e il contesto ideale  è quello delle ore di insegnamento della religione cattolica. Tuttavia il progetto ha un indirizzo aconfessionale e quindi non si esclude affatto che possa essere  sviluppato in altri contesti didattici . Ai partecipanti è lasciata libertà di espressione, purché nel rispetto della sensibilità e delle convinzioni religiose di ciascuno.

Il primo passaggio che è richiesto all’interno dell’iniziativa è una familiarizzazione con alcune pagine della Scrittura. L’esercizio della riscrittura, infatti, richiede una padronanza preliminare del testo che deve essere riscritto o reinterpretato. Il docente dovrà provvedere a svolgere personalmente questa parte o affidarla a persona competente.

La seconda parte del progetto, invece, prevede di dare spazio alla creatività degli studenti che in varie forme potranno esercitarsi nell’arte di riformulare il messaggio veicolato dalla pagina biblica.

 

Un paio di anni fa – racconta la musicologa  CHIARA BERTOGLIO –  sono stata invitata da delle maestre elementari molto vivaci per collaborare con loro, da musicista e teologa, per un progetto sulla Bibbia a scuola.

 

Su loro suggerimento, avevamo creato un “rap” a partire dal meraviglioso salmo De profundis

Anche se il genere musicale non è il mio preferito, rivedendo adesso il video mi ha colpito la bellezza delle parole e dei disegni creati dai bambini. Il testo è stato fatto interamente ed esclusivamente a partire dalle loro frasi, senza correzioni da parte degli adulti, e i disegni sono del tutto spontanei. Un meraviglioso squarcio su una fede bambina, pura ma profonda come sarebbe bello che tanti adulti potessero ancora avere.”

Si tratta di DEPROFUNDISRAP, a proposito del quale  scrive Guido Mocellin, su Avvenire del 18 luglio 2018 nell’articolo ” Rap e Parola di Dio: due incroci tra il fiume Po e il lago Vittoria”

La musica «moderna» e i testi e disegni dei bambini, accolti «senza correzioni da parte degli adulti», nulla tolgono a una delle preghiere più intense del Salterio, che anzi ci viene restituita da questo rap in tutta la sua ricchezza, comprese risonanze sociali e ambientali.” (https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/rap-e-parola-di-dio-due-incrocitra-il-fiume-po-e-il-lago-vittoria)

Come vedete, crediamo che  il progetto sia innovativo e possa essere occasione di un modo nuovo di parlare di Scrittura e Religione tra i ragazzi, a scuola. Tra di loro, tra di loro e gli insegnanti, e agganciando “la materia” col mondo fuori dalla scuola. Siamo consapevoli che  ci voglia tempo per far circolare l’idea, smuovere la gente, coinvolgere i docenti , organizzare gli studenti : per questo è importante dare visibilità e far conoscere sia il progetto che i primi elaborati presentati…

L’edizione 2018 si è conclusa il 31 maggio. Ma non è troppo presto per scaldare i motori in vista della prossima.

“RISCRITTORI CERCANSI”.

Riscrittori: DEPROFUNDISRAP

Creato da CLASSI IV A E IV B DELLA SCUOLA PRIMARIA DI VEROLENGO (TO)  per Riscrittori di Scrittura.(*)

 

 

 

 

 

.

 

 

 

 

 

(*) Riscrittori di Scrittura è un progetto elaborato dall’Ufficio di Pastorale della Cultura della diocesi di Torino in collaborazione con l’Ufficio di Pastorale Scolastica, con il supporto tecnico dell’editrice Effatà ,  destinato agli studenti con lo  scopo primario di  promuovere la conoscenza del testo biblico nel suo valore letterario e culturale.

Il primo passaggio richiesto all’interno dell’iniziativa è una familiarizzazione con alcune pagine della Scrittura. L’esercizio della riscrittura, infatti, richiede una padronanza preliminare del testo che deve essere riscritto o reinterpretato. Il secondo, invece, prevede di dare spazio alla creatività degli studenti che in varie forme possono esercitarsi nell’arte di riformulare il messaggio veicolato dalla pagina biblica.

E’ stata data facoltà di proporre la riscrittura in diverse espressioni artistiche:

  • Riscrittura letteraria: può trattarsi di un racconto, un saggio o una parafrasi. La lunghezza non deve eccedere le 10.000 battute spazi inclusi, in formato .doc o .docx.
  • Riscrittura grafico-pittorica: disegni e illustrazioni realizzati con qualsiasi tecnica devono essere inviati in formato digitale .jpeg. Graphic novels o fumetti non possono eccedere le 4 facciate.
  • Riscrittura audio/video: è possibile anche incidere un brano musicale (con formato .mp3) o girare un filmato (con formato .avi o .mpeg).

L’edizione 2018 di Riscrittori di Scrittura è terminata al 31/5/2018.

Riscrittori : ” LA STORIA DI GIONA”

Creato da ALESSANDRO TADDEI per Riscrittori di Scrittura.(*)

 

 

 

 

(*) Riscrittori di Scrittura è un progetto elaborato dall’Ufficio di Pastorale della Cultura della diocesi di Torino in collaborazione con l’Ufficio di Pastorale Scolastica, con il supporto tecnico dell’editrice Effatà ,  destinato agli studenti con lo  scopo primario di  promuovere la conoscenza del testo biblico nel suo valore letterario e culturale.

Il primo passaggio richiesto all’interno dell’iniziativa è una familiarizzazione con alcune pagine della Scrittura. L’esercizio della riscrittura, infatti, richiede una padronanza preliminare del testo che deve essere riscritto o reinterpretato. Il secondo, invece, prevede di dare spazio alla creatività degli studenti che in varie forme possono esercitarsi nell’arte di riformulare il messaggio veicolato dalla pagina biblica.

E’ stata data facoltà di proporre la riscrittura in diverse espressioni artistiche:

  • Riscrittura letteraria: può trattarsi di un racconto, un saggio o una parafrasi. La lunghezza non deve eccedere le 10.000 battute spazi inclusi, in formato .doc o .docx.
  • Riscrittura grafico-pittorica: disegni e illustrazioni realizzati con qualsiasi tecnica devono essere inviati in formato digitale .jpeg. Graphic novels o fumetti non possono eccedere le 4 facciate.
  • Riscrittura audio/video: è possibile anche incidere un brano musicale (con formato .mp3) o girare un filmato (con formato .avi o .mpeg).

L’edizione 2018 di Riscrittori di Scrittura è terminata al 31/5/2018.

San Paolo: la caduta, la chiamata e … la conversione!

Scritto da  NORMA ALESSIO.

Paolo di Tarso, mentre viaggiava verso Damasco per ottenere l’autorizzazione ad arrestare i cristiani, durante la comparizione davanti al governatore Porcio Festo [1] e al re vassallo di Roma, Marco Giulio Agrippa II, a Cesarea Marittima, racconta una prima volta che “all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». Ed egli: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Ma tu alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno.”(Atti 9,3-7)

L’evangelista Luca, una seconda volta narra in modo (quasi) uguale la “caduta di San Paolo” negli Atti degli Apostoli (22, 6-9): “verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Io risposi: «Chi sei, o Signore?». Mi disse: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti». Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava”.

Le azioni che sono comuni nei vari brani sono così sintetizzate: il viaggio verso Damasco, la luce abbagliante, la caduta, la chiamata. A queste gli artisti hanno dato livelli di importanza diversi e hanno introdotto in alcune loro interpretazioni i dettagli che caratterizzano i tre racconti. La presenza del cavallo, ad esempio, non è mai menzionata, tuttavia potrebbe essere logica poiché l’evento si verifica durante un viaggio ed è presumibile che Paolo non si stesse spostando a piedi. Un viaggio a piedi non è impossibile, dato che per la maggior parte dei suoi viaggi Paolo si muoverà così. In questo caso, però, ci sono alcuni elementi che possono giustificare la cavalcatura: la missione per conto del sinedrio e la fretta di compiere la missione (viaggiano nell’ora più calda!).

 

Caravaggio, Conversione di san Paolo – Basilica di Santa Maria del Popolo , Roma.

 

L’atteggiamento del cavallo e la sua collocazione nella scena sono diversificate nei vari dipinti: in quello di Caravaggio (realizzato nel 1600), è in primo piano e domina la composizione, ha ancora la schiuma alla bocca che fa pensare alla corsa avvenuta prima del fatto che l’aveva spaurito, guarda Paolo a terra nel momento in cui è già stato colpito dall’improvvisa manifestazione divina attraverso la luce, anzi adesso è Paolo stesso che la emana col gesto delle braccia aperte. Qui tutto è silenzioso e immobile.

 

Michelangelo, Conversione di Saulo – Cappella Paolina, Palazzi Vaticani.

 

Michelangelo, nell’affresco della Cappella Paolina (1542-45), invece, mostra lo sconvolgimento di tutti i soldati presenti come è evidenziato nel terzo racconto (Atti  26, 13-16), disposti senza un ordine e inserisce figure sospese nel vuoto senza separazione da quelle a terra: è come se tutti fossero stati coinvolti da quella chiamata  “... verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo». E io dissi: «Chi sei, o Signore?». E il Signore rispose: «Io sono Gesù, che tu perseguiti.”.

Qui il cavallo c’è, ma il resto prevale.

La luce è un altro degli elementi che compare nei dipinti a rappresentare la chiamata del Gesù Risorto; infatti, in alcuni è sostituita dal volto di un Gesù dalle sembianze di Dio, che parla a Paolo.

Singolari sono due miniature nei capolettera di Bibbie, che fin dall’Alto Medioevo si decoravano per commentare visivamente il testo sacro in maniera immediata. In una di esse non compare il cavallo, nell’altra nemmeno la luce.

Beato Angelico, Miniatura con Conversione di San Paolo

 

In quella del Beato Angelico, del XV secolo, vi è rappresentato l’essenziale: Paolo giace a terra, vestito come un cavaliere, volge lo sguardo in alto, folgorato sulla via di Damasco dalla visione di Gesù che appare come il Dio Padre avvolto da raggi di luce dorata, con una mano benedicente e l’altra a reggere il libro con le lettere Alfa e Omega e si protende in avanti, con un movimento che sembra cacciare i due soldati che fuggono stupiti dalla visione, mentre sullo sfondo emergono le mura della città di Damasco.

Anonimo, Miniatura su Bibbia figurata con Conversione di San Paolo

 

Ancora una singolare interpretazione di questo evento è nella miniatura, sempre di una Bibbia figurata del 1300 circa, conservata nella Koninklijke Bibliotheek dell’Aia, di autore anonimo, come spesso avviene in questa tipologia di opere. Qui addirittura i testi delle scritture hanno una libera interpretazione: Paolo non cade a terra, ma sviene sul cavallo, non viene folgorato dalla luce e la chiamata di Gesù avviene attraverso la scritta su un cartiglio che una mano (quella di Gesù) srotola e il cavallo ha un espressione corrucciata di chi pensa al “peso” che deve sostenere.

Da questi esempi possiamo trarre delle considerazioni: gli artisti, in vario modo e secondo la loro sensibilità e spiritualità, traducono e non solo raccontano le sacre scritture, ma ciò che rimane è sicuramente quanto sono in grado di stimolare delle reazioni emotive in chi osserva le loro opere, in qualunque tempo.

Leon Battista Alberti, trattatista e architetto del quattrocento, nel suo Della pittura, definì come supremo compito dell’artista la narrazione, insistendo sulla finalità morale dell’immagine, la quale deve toccare chi la vede così profondamente da influire sulla sua vita. A questo scopo invitò gli artisti a dare ai loro personaggi reazioni fisiche emotive naturali, perché, dice, “moverà l’istoria l’animo quando gli uomini ivi dipinti molto progeranno suo proprio movimento d’animo”.

_____________________________

[1] Festo fu procuratore della Giudea per Nerone a partire dal 59 o 60 d.C.; Agrippa II fu sopratutto incaricato da Roma di supervisionare il Tempio di Gerusalemme

  • In copertina:Michelangelo, dettaglio dalla Conversione di Saulo  (vedi sopra).

Il deserto di Dio

Scritto da MARIA NISII.

“Sono in un deserto che è circondato da attese infrante di Dio. Dio non verrà, sarà troppo tardi, non solo a Hurgada. Là, dove il tempo è immobile, anche là non verrà […] Niente verrà. Ma in verità vi dico, nel deserto, qui un tempo deve esserci stato Dio. È qui che un tempo devono averlo pensato”.(I. Bachmann)

Nel deserto, luogo dell’incontro per eccellenza con il divino, Dio sembra scomparso, esiliato, perduto. “Dio mio, perché mi hai abbandonato. Perché sono così abbandonata” si chiede l’io tormentato e folle di Ingeborg Bachmann in quella composizione a frammenti che è il Libro del deserto (Cronopio, 1999, pag. 50, 55). Si tratta di poco più di una suggestione in questo testo, eppure il Salmo 22 sembra uno dei versetti biblici maggiormente deputati a esprimere quel senso di solitudine radicale, non cercata, ma subita come una condanna. Per questo è stato adottato nelle situazioni più incredibili per esprimere la coscienza di male, che ha toccato gli uomini di ogni tempo. Anche per questo allora è tra le citazioni più richiamate nelle riscritture (cfr in questo blog il testo di Culicchia e la poesia di Guidacci), specie considerando l’ulteriore significato assunto per il fatto di essere stato pronunciato da Gesù sulla croce nel vangelo secondo Matteo (27,46) e secondo Marco (15,34).

Molto meno frequente è invece rinvenire, nell’universo delle riscritture, questa stessa espressione percepita e assunta dalla coscienza di Dio. E tale rarità non è certo effetto di una ritrosia a rappresentare il personaggio del padre divino – basti pensare a pellicole quali Una settimana da Dio o Dio esiste e vive a Bruxelles. Ciò detto, resta il fatto che il capovolgimento del punto di vista risulta alquanto inusuale. Chi ha “osato” adottarlo è stato Federigo De Benedetti (cugino del compianto Paolo) ne “I bambini di Goebels”, uno dei racconti contenuti nel testo In nome del padre. Racconti blasfemi (Instar libri, 2010):

“un’altra domanda mi faccio: gli uomini sono i miei figli, i miei figli diletti, e la sorte delle loro anime dovrebbe essere, anzi, è ciò che mi sta più a cuore: però ho rinunciato a farmene carico e le chiavi del Paradiso le ho date senza criterio a un individuo che in una sola notte era stato capace di rinnegare tre volte Gesù. Perché? Questa rinuncia non è significativa? Perché li ho abbandonati tutti, e Gesù, appunto, per primo?” (pag. 101).

Attorno al tema dell’“abbandono” ruota infatti la riflessione di Dio, qui immaginato sul lettino dello psicanalista:sono davvero gli uomini che si sono allontanati da me, si dice, o piuttosto sono stato io ad allontanarmi da loro? “Molti uomini dubitano della mia esistenza dicendo: ‘Ma Dio a sua volta chi l’ha generato?’ Sembrerà ridicolo, ma io stesso talvolta mi chiedo se esisto davvero; e mi rispondo che esisto, sì, ma per così dire esisto poco, pochissimo, sempre meno” (pag. 103).

Sono diversi i racconti di questa raccolta che si arrovellano attorno alla questione Dio, dal punto di vista del non credente – come premesso dall’autore nell’introduzione. La domanda non si spegne e il dubbio non si può risolvere neppure di fronte alle contraddizioni bibliche e storiche (due fronti considerati apparentemente sullo stesso piano). Peraltro non difetta di ironia e acume questa narrazione letteraria che talvolta mostra una sensibilità quasi teologica, oltre a una conoscenza del testo biblico non così comune ai nostri giorni. Resta interessante la scelta di assumere il linguaggio dell’abbandono: questa divinità antropomorfa è rappresentata da un vecchio malato e pieno di dilemmi, tanto quanto l’uomo a cui, di conseguenza, non può offrire consolazione né risposte.

Questa figura di vegliardo sembra altresì esprimere narrativamente il tema della secolarizzazione, quindi la perdita di senso e di contatto con le forme istituite del credere: “esisto poco, pochissimo, sempre meno”. Eppure non cessa di inquietare questo Dio. E il racconto è l’attestazione di un pensiero che cerca di assumere forma e consistenza, una via di ricerca condivisa con il lettore e magari persino con l’altro, il credente, nel tentativo di dialogo a distanza o ravvicinato (come è capitato a me, che con De Benedetti ho avviato uno scambio epistolare). Perché il deserto, luogo di incontro con Dio, può seriamente diventare luogo d’incontro tra gli uomini.

Solo, bisogna avere il coraggio di attraversarlo.

Animali comuni dei Vangeli ( e dove trovarli)

GIOTTO, Ingresso di Gesù in Gerusalemme, Cappella degli Scrovegni

 

Scritto da  GIAN LUCA CARREGA.

 

I vangeli sono principalmente racconti di incontri tra esseri umani ma in essi c’è spazio anche per gli animali che gravitano attorno a loro. Si tratta degli animali comuni nella Palestina di quel tempo, alcuni in comune col nostro habitat e altri no. Con buona pace degli amanti dei felini, non si trovano mai i gatti (a dire il vero sono menzionati solo una volta in tutta la Bibbia, cfr. Bar 6,21) e persino il miglior amico dell’uomo, il cane, si trova appena due volte: quando Gesù invita a non dare ai cani le cose sante (Mt 7,6) e quando queste bestiole leccano le ferite del povero Lazzaro (Lc 16,21).

Qui, comunque, non vogliamo occuparci di tutti gli animali dei vangeli ma solo di quelli che hanno qualcosa di importante da dirci. Partiamo dai serpenti. Va bene, non vi stanno simpatici. Neppure a Gesù, se è per questo. L’unico caso in cui si parla positivamente di serpenti è quando in Gv 3,14 Gesù si paragona al serpente che Mosè innalzò nel deserto per alludere alla sua crocifissione portatrice di salvezza. Il serpente rimane una minaccia mortale, della quale però i discepoli non dovranno preoccuparsi: li prenderanno in mano senza danno (Mc 16,18), li calpesteranno (Lc 10,19). Di certo il Signore non vuole fare loro un complimento quando chiama scribi e farisei “serpenti” e “razza di vipere” (Mt 23,33). Ma la menzione più curiosa rimane quella di Mt 10,16 dove Gesù invita i discepoli a essere “prudenti come i serpenti”. Non è molto chiaro perché i serpenti debbano essere considerati prudenti. È vero che alcuni di loro sono molto riservati e si nascondono all’apparire di un essere umano, ma non è la prima caratteristica che viene in mente. Dato che il libro della Genesi presenta il serpente come la più astuta (phronimotatos) di tutte le bestie e che Gesù invita ad essere phronimoi come loro, viene da pensare che inviti i discepoli ad un atteggiamento deciso, senza troppe esitazioni e riguardi nelle scelte essenziali.

E a proposito di astuzia, diciamo qualcosa sulle volpi, che di questa dote paiono essere l’emblema. Così è nella nostra cultura e così è anche in quella greco-romana, ma quando leggiamo in Lc 13,32 che Gesù dà della volpe a Erode Antipa, intende davvero riferirsi alla sua furbizia? Non abbiamo nessun elemento che ci faccia pensare che questo Erode fosse particolarmente astuto, forse quindi è a qualche altra caratteristica che dobbiamo ricollegarlo. Tenuto conto che gli antichi distinguevano a stento tra la volpe e lo sciacallo, può essere un riferimento al suo essere sanguinario, come dimostra la crudele esecuzione di Giovanni Battista.

E chiudiamo la rassegna con l’asino. Tutti sanno che Gesù entra in Gerusalemme a dorso di mulo, ma la questione è meno chiara di come può sembrare. I vangeli sinottici raccontano tutti e tre l’ingresso trionfale nella città santa, ma solo Matteo specifica che avviene su un’asina e il suo puledro (Mt 21,7). Marco e Luca parlano genericamente di un puledro, che almeno in teoria potrebbe essere anche di cavallo. Ma probabilmente ha ragione Matteo nell’evidenziare il parallelo con il re messianico descritto dal profeta Zaccaria (9,9) che nella sua umiltà procede cavalcando un asino: Gesù pare compiere un’azione simbolica che lo contraddistingue come sovrano mite e non come un guerriero in sella al suo destriero. Dell’asino, invece, era nota la pazienza – forse sarebbe meglio parlare di rassegnazione – con cui affrontava i carichi a cui veniva sottoposto, essendo per gli antichi l’animale più sfruttato in ambito lavorativo. Da qui se ne è celebrata la mitezza e la pazienza, al punto che la tradizione lo ha voluto accanto alla mangiatoia nella stalla di Betlemme.

 

 

Gustave Doré, Il Povero Lazzaro

Johann Sebastian Bach – Gebt mir meinen Jesus wieder

Scritto da CHIARA BERTOGLIO.

 

 

All’interno della straordinaria Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, quest’aria per basso e violino “obbligato” (cioè concertante, solista) ci offre uno sguardo particolarissimo sul tradimento di Giuda. Nella Passione secondo Matteo, il testo evangelico della Passione, che costituisce l’annuncio è inframmezzato da corali (la preghiera della Chiesa luterana) e da arie come questa (la contemplazione). Dopo aver ascoltato l’episodio di Giuda che restituisce i soldi del tradimento al Sinedrio, l’aria esprime i sentimenti di un personaggio anonimo, che “chiede indietro” Gesù ora che il denaro con cui era stato ceduto è tornato ai sommi sacerdoti. Il violino solista, la cui parte è di straordinario virtuosismo, interpreta una sorta di eroico sdegno; il ritmo iniziale esprime buona volontà, coraggio e audacia, come potrebbero essere quelli di chi si presentasse al sinedrio per “rivendicare” la liberazione di Cristo. Il virtuosismo stesso, da virtus (e da vir) ha qualcosa di nobile, fiero, quasi cavalleresco.

 

 

Il timbro vocale scelto da Bach, tuttavia, è molto interessante. Al basso, nella Passione secondo Matteo, sono prevalentemente affidati ruoli che esprimono una compassione paterna: Giuseppe di Arimatea, il Cireneo. Si tratta infatti di una voce maschile grave, che quindi trasmette l’idea di un’età avanzata, tale da esprimere una solidarietà e tenerezza che identifichiamo con l’immagine del “padre”. Basso, tuttavia, secondo una grande tradizione cui anche Bach spesso si rifà nelle Cantate, è anche il timbro vocale di Cristo: nella Passione secondo Matteo, inoltre, gli interventi del Cristo sono sempre circondati dall’alone musicale degli archi, quasi un’aureola musicale, e l’accostamento fra voce di basso e suono degli archi che troviamo in quest’aria è sottilmente allusivo alla vox Christi.

 

Testo verbale.

Gebt mir meinen Jesum wieder!

Seht, das Geld, den Mörderlohn

wirft euch der verlorne Sohn

zu den Füssen nieder!

Rendetemi il mio Gesù!

Guardate, il figlio perduto

lo getta ai vostri piedi

il denaro, compenso d’un assassinio.

 

 

Ma anche Giuda è un basso, nella Passione secondo Matteo: in un certo senso, quest’aria sembra suggerire una possibilità di redenzione anche per Giuda stesso, che, pentito, restituisce i trenta denari. Nel testo dell’aria, Giuda è definito “verlorne Sohn”, “figlio perduto”, rievocando l’espressione “figlio della perdizione” che troviamo al cap. 17 di Giovanni: un’espressione dura e apparentemente senza speranza, ma in cui il termine “figlio” quasi smorza la crudezza della “perdizione”.

Come sappiamo dal Vangelo, il pentimento di Giuda non fu sufficiente a salvarlo dalla disperazione che lo condusse al suicidio; tuttavia, forse, nella bellezza di questa musica appassionata e piena di amore per il Cristo, Bach ha voluto nascondere la speranza che anche Giuda possa aver goduto dei frutti della redenzione.

 

 

 

John Sheppard – “In pace in idipsum”

Scritto da CHIARA BERTOGLIO.

 

Il compositore inglese cinquecentesco John Sheppard fa parte della ristretta ma stupenda compagine di musicisti che dovettero destreggiarsi fra i rivolgimenti religiosi e politici dell’Inghilterra cinquecentesca: com’è noto, dopo il regno protestante di Enrico VIII e quello quasi calvinista di Edoardo VI, vi fu la restaurazione cattolica di Maria seguita dal ritorno di un protestantesimo più “addomesticato” sotto Elisabetta I. In tale contesto, in cui la politica e la religione erano strettamente intrecciate, ed in cui i vari sovrani imponevano il loro credo con la forza, la vita dei compositori di musica sacra non era certamente semplice; in alcuni casi, come avvenne a William Byrd, la presa di posizione del musicista dal punto di vista religioso equivaleva ad una scelta di campo anche assai pericolosa.

 

Tanto più straordinario che, in un simile contesto, la musica di Sheppard, come quella di Tallis e di Byrd, riesca a trasmettere una serenità ed una pace senza uguali. Notiamo questa atmosfera di trasfigurata bellezza e di incantata contemplazione nello splendido mottetto In pace in idipsum, destinato alle funzioni religiose della sera, ma anche ai riti della settimana santa: la pace in cui il salmista si “addormenta” è stata spesso interpretata come icona del sabato santo, momento di silenzio e di quiete fra la sofferenza del venerdì e la felicità della Pasqua.

La tranquillità con cui l’anima fedele si abbandona alle mani di Dio non potrebbe trovare un’espressione musicale più confortante ed efficace; questo brano di trascendente purezza può aiutare anche gli ascoltatori di oggi a contemplare persino l’idea della morte con la serenità e la fiducia che dovrebbero caratterizzare l’atteggiamento cristiano davanti al più grande mistero dell’esistenza umana.

 

  • Puoi ascoltare il brano al link seguente, nella esecuzione de The Cambridge Singers

https://www.youtube.com/watch?v=rtZji8QmvhY

  • In copertina: Anton Raphael Mengs  (1728, 1779)- Il sogno di Giuseppe

 

 

Se ti riscrivo il “figlio prodigo” in chiave pop…

La riscrittura che proponiamo oggi non necessita digrandi spiegazioni: si presenta da sé.

 

E’ la storia di due fratelli. Uno dei due è irrequieto, ribelle, fuori da ogni schema, imprevedibile e insofferente a tutto. L’altro gli vive accanto subendo lo stato delle cose con un misto di invidia e di rancore. Il padre pensa a fare il suo dovere, ma seguendo costantemente il figlio più difficile dei due, scrutandolo, cercando di capirne l’animo  e avendo paura di capirlo  fin troppo bene . Fin che questi, di punto in bianco, se ne va senza una parola. Non lo cerco perché se lo trovo lo ammazzo da me, ammette il fratello restato a casa….

 

Non abbiamo bisogno di altro : il racconto richiama direttamente alla nostra mente la parabola “del figlio prodigo”. Riscritta, naturalmente: e in versione pop, visto che qui si tratta di una canzone di Biagio Antonacci,  ( Mio fratello , 2018)   da cui il regista Gabriele Muccino ha tratto un videoclip interpretato dall’ Autore, da Beppe e Rosario Fiorello e da Mario Incudine, esponente contemporaneo del genere cuntu siciliano.

Come spesso nelle riscritture, il racconto è attualizzato, e il prodigo di Antonacci porta i segni della contemporaneità. Manca completamente la dimensione soprannaturale e didascalica  della pagina evangelica. Manca il Padre Misericordioso con il quale noi oggi indichiamo il tag della parabola stessa. O meglio: il padre c’è , ma  manca la sua rivoluzionaria e clamorosa misericordia. L’attenzione qui è portata, orizzontalmente, solo sui due fratelli, e la prospettiva di un miglioramento e di un recupero del loro rapporto  , è interamente basata sul rapporto stesso e sulla  sua natura, sulla capacità di trovare – al suo stesso interno –  possibilità di salvezza, di ripartenza, di relazione rigenerata.

_____________________________

  • Mio fratello, Biagio Antonacci e Michele Incudine

” Mio fratello era forte ribelle e più bello di me
Avevamo una donna in comune e una macchina in tre
Mi faceva conoscere gente che poi malediva
Mi parlava di stati sovrani e di nuove famiglie
Mio fratello rubava le sedie per stare più su
Mi diceva che tanta fortuna sarebbe arrivata
In un piccolo pezzo di terra mio padre pregava
Lo guardava negli occhi e temeva di averlo capito
Salvo l’uomo che bussa alla mia porta
Salvo l’uomo che canta alla finestra
Salvo l’uomo che scrive
Salvo l’uomo che ride
Salvo l’uomo e sarà un giorno di festa
Mai più mai più mai più mai più dolor
Mio fratello un bel giorno è sparito
E non ha ringraziato
C’è mia madre che ancora lo aspetta per l’ora di cena
Lui non era cattivo ma aveva un destino scolpito
Non lo cerco perché se lo trovo lo ammazzo da me
Salvo l’uomo che bussa alla mia porta
Salvo l’uomo che canta alla finestra
Salvo l’uomo che scrive
Salvo l’uomo che ride
Salvo l’uomo e sarà un giorno di festa
Mai più mai più mai più mai più dolor

  • Tu ça talii a mia pensa a taliari a tia
    Lassami campari nuddu mi po’ giudicari
    Tu ça talii a mia pensa a taliari a tia
    Lassami cantari chista è sulu na canzuni
    Calatili tutti li occhi se vi truvati davanti a li specchi
    Ca tuttu chiddu ca nun si pò ammucciari
    Agghiorna come la luci do suli
    Tira la petra cu è senza piccatu
    Nun c’è cunnanna nun c’è cunnannatu
    Haiu vistu lu munnu vutatu
    La pecura zoppa assicuta lu lupu

Salvo l’uomo che bussa alla mia porta
Salvo l’uomo che canta alla finestra
Salvo l’uomo che scrive
Salvo l’uomo che ride
Salvo l’uomo e sarà un giorno di festa
Mai più mai più mai più mai più dolor
Mai più mai più mai più mai più dolor.”

  • Traduzione dal siciliano:

“Tu che guardi me, pensa a guardare te stesso / lasciami vivere , nessuno mi puo’ giudicare / tu che guardi me, pensa a guardare te stesso / lasciami cantare, questa è solo una canzone. Abbassate tutti lo sguardo, se vi trovate davanti a uno specchio / che tutto quello che non si puo’ nascondere / splende come la luce del sole. Lanci la pietra chi è senza peccato/ non c’è condanna, non c’è condannato / ho visto il mondo rovesciato/ la pecora zoppa insegue il lupo”

_____________________________

  • Clicca qui per vedere il videoclip:

https://www.youtube.com/watch?v=9-Hur2aowlA

 

 

 

Benedetto: “Pentecoste risana e supera Babele.”

 

 

Scritto da LORENZO CUFFINI.

 

E’ il 27 maggio 2012 . Benedetto XVI, nel redigere l’Omelia per la Solennità di Pentecoste , rilegge e in qualche modo “riscrive” la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e su Maria  sovrapponendo ad essa un altro episodio famosissimo della Storia Sacra, quello che va sotto il nome della Torre di Babele.

A ben vedere, mettendo in stretta relazione i due racconti  distantissimi fra loro, fa della Pentecoste “ la festa dell’unione, della comprensione e della comunione umana.“. Nello stesso momento, ne attualizza il messaggio e la natura alla contemporaneità dei giorni nostri , caratterizzati da una  straordinaria facilità e rapidità di ogni tipo di comunicazione, ( quale non si era mai conosciuta nella storia,) senza che ne derivi un analogo risultato in termini di comprensione. Effettivamente, a considerare l’onda montante di aggressività, violenza verbale e volontà irrimemediabilmente polemica che squassa in ogni direzione i social e  il web a ogni latitudine, l’immagine di una Torre di Babele metaforica sembra ben calzante e rappresentativa.

Spingendosi lungo la stessa direttrice di lettura e interpretazione , al mondo interconnesso della comunicazione verbale sembrerebbe allora mancare proprio l’irrompere di un soffio vitale nuovo e spiazzante che rompa le catene dello scontro, della incomprensione e della incomunicabilità e  spalanchi gagliardo nuovi toni, nuovi modi e nuove  forme  di comunicare, creative, capaci di generare in maniera nuova e inattesa  comprensione e  dialogo .

Forse è il momento di un Veni Creator Spiritus…online.

” La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli, (At 2,1-11), contiene sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della costruzione della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9). Ma che cos’è Babele? E’ la descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. Ma proprio in questa situazione si verifica qualcosa di strano e di singolare. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano costruendo l’uno contro l’altro. Mentre tentavano di essere come Dio, correvano il pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme.

 

Pieter Brueghel il vecchio
Costruzione della Torre di Babele , 1560, Rotterdam

 

Questo racconto biblico contiene una sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel nostro mondo.  Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. E’ vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E come?

La risposta la troviamo nella Sacra Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare. E questo è ciò che si è verificato a Pentecoste. In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in essi il fuoco divino, un fuoco di amore capace di trasformare. La paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione.

Tiziano
Pentecoste
Chiesa di Santa Maria della Salute, Venezia 1545/6

 

Nel l Vangelo Gesù afferma: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv16,13). Qui Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano, non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito  di unità e di verità, può continuare a risuonare nei nostri cuori e nelle menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a vicenda. Lo Spirito, proprio per il fatto che agisce così, ci introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida nell’approfondirla, nel comprenderla: noi non cresciamo nella conoscenza chiudendoci nel nostro io, ma solo diventando capaci di ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore. E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.”

Citazioni tratte da:  OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI, Basilica Vaticana , Domenica, 27 maggio 2012.

https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120527_pentecoste.html

 

________________________________

  • Immagine del titolo: : Copertina dell’Album di Edoardo Bennato , La Torre di Babele